ISPER HR Review
Settimanale sul mondo HR
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ISSN 3035-4420 - ISPER HR Review
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La recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio ormai consolidato: l’abuso dei permessi concessi ai sensi della Legge 104/1992 per l’assistenza a familiari disabili può legittimamente condurre al licenziamento per giusta causa. Il caso in esame riguarda un lavoratore che, anziché dedicare il tempo concesso ai fini assistenziali, lo utilizzava in parte per attività personali, come dimostrato da un’indagine investigativa. La decisione della Suprema Corte si inserisce in un filone giurisprudenziale che mira a tutelare l’effettività del beneficio, garantendo che venga utilizzato esclusivamente per la finalità per cui è stato previsto.
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Dal 1° aprile 2024, la legislazione temporanea che garantiva il diritto di smart working ai lavoratori disabili, è stata sostituita dall’art. 18, comma 3-bis, della Legge n. 81/2017 che prevede ora una semplice “priorità” per svolgere la prestazione di lavoro in modalità di lavoro agile, laddove vi siano degli accordi individuali di smart working, a favore di:
• lavoratori e lavoratrici disabili in situazione di gravità accertata;
• genitori di figli fino a 12 anni di età;
• genitori di figli disabili;
• caregiver.
La legislazione nazionale e sovranazionale prevede, però, anche l’obbligo per i datori di lavoro di adottare, nei confronti delle persone con disabilità, degli accomodamenti ragionevoli, come ad esempio una modifica alla mansione o all’ambiente di lavoro, necessaria per consentire a un dipendente con disabilità di svolgere il proprio lavoro.
Con la circolare emanata dall’Agenzia delle Entrate n. 20/E del 4/11/2024, sono state fornite le istruzioni operative agli uffici in materia di residenza fiscale delle persone fisiche e delle società ed enti a seguito delle modifiche apportate dal decreto legislativo 27 dicembre 2023, n. 209.
Nello specifico l’articolo 2 della citata prassi, evidenzia la nuova definizione di residenza fiscale delle persone fisiche.
“Pappagalli stocastici”.
Così Emily Banter e colleghi hanno caratterizzato i Large Language Models (LLM): sebbene in grado di generare testi apparentemente coerenti e plausibili, essenzialmente si limitano a collegare probabilisticamente parole e frasi.
Come dei pappagalli, appunto, ripetono contenuti basati su dati di addestramento, senza una vera comprensione.
I LLM, o modelli di linguaggio su larga scala, sono avanzati sistemi di intelligenza artificiale progettati per comprendere (con i limiti sopra esposti) e generare linguaggio umano in risposta a input forniti dagli utenti, sfruttando algoritmi di apprendimento automatico e reti neurali.
La vicenda in esame, recentemente scrutinata dalla Suprema Corte di Cassazione e che ha suscitato dibattiti non solo nella comunità scientifica - giuslavoristica, ma nell’intero mondo “HR”, muove da un licenziamento disciplinare, irrogato nel 2019 da parte di una società per azioni nei confronti di una lavoratrice, cui era stato contestato di aver pubblicato, sul proprio profilo Facebook, una serie di frasi diffamatorie ed offensive, sia nei confronti della società datrice di lavoro, sia nei confronti della persona dell’amministratore delegato della medesima.
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