Area
Diritto del Lavoro

Topic
Licenziamento

Pasquale Dui

N° 171

21 giugno 2023

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Il licenziamento per ragioni oggettive ed economiche: rassegna di giurisprudenza

In tema di licenziamento del dirigente, motivato da ragioni oggettive/economiche, si assiste ad una generale compressione delle tutele del manager, sia in relazione a fattispecie di soppressione della mansione o del posto, sia in relazione a casi di ristrutturazione aziendale.

Il fenomeno è immediatamente percepibile e dà luogo a situazioni di estrema incertezza per i dirigenti che, in relazione ad un presupposto, generale e più favorevole trattamento normativo ed economico del loro rapporto di lavoro, sono i primi soggetti su cui cade l’attenzione dell’azienda in situazioni di esigenze generali di riduzione dei costi, sussistenti effettivamente ed accertabile.

Ristrutturazione e riorganizzazione aziendale

A proposito di ristrutturazione e/o riorganizzazione aziendale, la giurisprudenza ha avuto modo di statuire che il relativo licenziamento di un dirigente può essere effettuato anche prima dell’attuazione della ristrutturazione, ed in vista della medesima, che trovi esecuzione nel corso o al termine del periodo di preavviso, dovendosi ritenere del tutto legittimo e giustificato il relativo recesso (Cass. 19 novembre 1997, n. 11519, la quale rileva che, ragionando diversamente, si arriverebbe a conseguenze inaccettabili sul piano economico, per cui l’imprenditore dovrebbe o pagare sempre l’indennità di preavviso o mantenere per tutto il decorso del termine di preavviso personale in esubero rispetto alle reali necessità dell’azienda).

In un caso specifico, la S.C. ha respinto il ricorso avverso la decisione di merito che aveva giudicato non pretestuoso, né arbitrario, ma rispondente ad una genuina volontà di razionalizzazione aziendale, il licenziamento intimato al dirigente da una impresa con tasso quadriennale di perdita del fatturato pari al 9,4% (Cass. 8 marzo 2012, n. 3628).

Giustificatezza e giustificato motivo

Sotto un diverso profilo, la giustificazione del licenziamento è stata ravvisata nell'esistenza di un piano effettivo di razionalizzazione aziendale, senza attribuire rilievo alla verifica circa la sussistenza di una crisi economica tale da rendere necessaria la ristrutturazione ovvero alla redistribuzione ad altro personale delle mansioni già affidate al dirigente (Cass. 26 ottobre 2018 n. 27199).

Questo, peraltro, con l’avvertenza per cui è privo di giustificatezza il licenziamento intimato al dirigente per asserita riorganizzazione aziendale, quando gli stessi compiti risultino assegnati ad altro soggetto, nella fattispecie un dirigente di società collegata (Trib. Roma 24 marzo 2004).

Secondo una sentenza di merito, stante l'autonomia concettuale del requisito della giustificatezza contrattuale rispetto a quello di giustificato motivo (nel senso che il criterio di valutazione del primo, di natura prettamente convenzionale, risulta più ampio di quello del secondo, tipizzato dall'art. 3 l. n. 604 del 1966), la soppressione della posizione organizzativa di direttore generale, quale insindacabile scelta imprenditoriale giustificata dalla necessità di fronteggiare situazioni di perdite economiche dell'azienda, giustifica il licenziamento del dirigente (Trib. Napoli 17 gennaio 2012, n. 75).

Il ragionamento è reso ancora più pregnante dalla Suprema Corte, secondo cui per stabilire se sia giustificato il licenziamento di un dirigente intimato per ragioni di ristrutturazione aziendale, non è dirimente la circostanza che le mansioni da questi precedentemente svolte vengano affidate ad altro dirigente in aggiunta a quelle sue proprie, in quanto quel che rileva è che presso l'azienda non esista più una posizione lavorativa esattamente sovrapponibile a quella del lavoratore licenziato (Cass. 22 ottobre 2010, n. 21748).

Riduzione dei costi

In ogni caso, non è irragionevole né incomprensibile puntare alla riduzione dei costi, anche soltanto attraverso il solo licenziamento del dipendente di maggior livello retributivo, purché, tuttavia, si dia corso, a scopo di risparmio, ad una soppressione reale ed effettiva della funzione dirigenziale e non ci si limiti ad una mera redistribuzione degli incarichi (Trib. Roma 24 marzo 2004), ovvero risulti che le mansioni svolte dal dirigente licenziato siano state in realtà assegnate per lo più a lavoratori assunti successivamente al licenziamento (Trib. Bergamo 25 luglio 2006).

In particolare, nel caso di specie, il giudice non ha rilevato alcuna ristrutturazione né alcun ridimensionamento dell’impresa e, quindi, in definitiva, alcun risparmio duraturo ed avvertibile, restando, anzi, del tutto inalterata l’organizzazione aziendale e risultando, invece, l’unico effetto di precostituire le condizioni per procedere al licenziamento del dirigente, che è obiettivo di per sé infondato.

Piuttosto, è da segnalare la significativa posizione assunta da una decisione della S.C. che ha confermato la decisione di merito nella quale il tribunale, pur negando che fosse stata operata una vera e propria ristrutturazione, ha peraltro riconosciuto effettivamente la necessità reale e non fittizia di ridurre i costi particolarmente elevati del trattamento retributivo corrisposto al dirigente, ma ha escluso che detta esigenza costituisse quel motivo serio e ragionevole, coerente con la realtà aziendale, tale da rendere giustificato il licenziamento, disattendendo, peraltro, l’orientamento interpretativo e giurisprudenziale formatosi con riferimento alla nozione, necessariamente più rigorosa del giustificato motivo di cui all’art. 3, legge n. 604/1966 (Cass. 20 novembre 2001, n. 14604; più di recente, v. Cass. 10 gennaio 2019, n. 436; Cass. 17 agosto 2021, n. 23044).

In un altro caso è sembrato “motivo serio e sufficiente di giustificazione” del licenziamento la nuova organizzazione dell’attività aziendale, consistente nell’accentrare nelle funzioni di dirigenti della capogruppo, le attività che prima erano svolte nell’ambito europeo dalla società interessata, nel settore di produzione e vendita di elettrodomestici cc.dd. bianchi.

Tra queste funzioni sono state soppresse anche quelle del dirigente, assunto per la sua specifica competenza per incrementare nel mercato europeo le vendite di tali prodotti e per sviluppare l’acquisizione di aziende (Trib. Milano 17 maggio 1995).

Tra l’altro, nel caso specifico, è stato escluso anche il diritto del dirigente ad una ricollocazione presso altre società del gruppo che, avendo una diversa ed autonoma personalità giuridica, non hanno assunto obblighi nei confronti del lavoratore; la lettera di assunzione, infatti, non riconosceva un diritto al dirigente, ma riservava alla società stipulante il potere di pretendere l’esplicazione di attività nell’interesse di altre società del gruppo, come sempre avviene nelle assunzioni in multinazionali in cui gli interessi delle società sono comuni o collegati.

È stato dichiarato legittimo il licenziamento di un dirigente dovuto alla necessità di ridurre le spese di esercizio, in vista di un processo di sostanziale dismissione dell’azienda, essendo, in questo senso, del tutto ragionevole puntare alla diminuzione dei costi anche attraverso il solo licenziamento del dipendente di maggior livello retributivo, soprattutto qualora la stessa funzione di questi all'interno dell'organizzazione produttiva, come nel caso specifico, risulti, per ragioni oggettive, in via di esaurimento (Trib. Milano 4 giugno 1994).

In effetti, la società, che si trovava in una situazione marcata di crisi economica e finanziaria, valutato il prevedibile decorso successivo e programmato svolgimento, anche nei tempi, delle operazioni di chiusura, ha comunicato al responsabile della produzione - dirigente - il licenziamento con preavviso, scaduto il quale hanno avuto luogo, sostanzialmente, la dismissione della produzione e, successivamente, la chiusura.

In questo senso, la giurisprudenza ha chiarito - in un caso analogo - che deve ritenersi legittimo il licenziamento di un dirigente (direttore amministrativo) per soppressione del posto, da parte di azienda in fase di cessazione della sua attività, ritenendosi inutilizzabile - nel caso di specie - l’istituto del repêchage nei confronti di dipendenti di grado elevato, che costituirebbe “un’interferenza nella libertà imprenditoriale” (Pret. Milano 18 febbraio 1987).

Soppressione del posto

In un caso specifico, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto giustificato il licenziamento del responsabile della produzione del reparto stampa, a causa della soppressione del posto, con suddivisione delle relative mansioni tra il responsabile della produzione aziendale ed i capi reparto (Cass. 20 giugno 2016, n. 12668; Cass. 3 dicembre 2019, n. 31526).

Sotto un differente approccio si è distinta una giurisprudenza che attribuisce estremo rilievo, nella valutazione dei profili di giustificatezza, a “ragioni di natura puramente economica, atteso che qualsiasi impresa ha l’indefettibile esigenza di procurarsi, al minor costo possibile, i fattori della produzione (ivi compreso il lavoro)” e che, comunque, “il procedimento di licenziamento deve essere funzionale al successo dell’impresa, che si persegue soprattutto mirando ad un lucro”, nella logica della regola assiomatica e riassuntiva per cui “la decisione di assumere o licenziare un dirigente costituisce una tipica scelta imprenditoriale il cui fine non può essere altro che il successo dell’impresa” (Trib. Arezzo 12 ottobre 2002).

In tema di licenziamento del dirigente, la nozione di “giustificatezza” non deve necessariamente coincidere con l'impossibilità della continuazione del rapporto di lavoro e con una situazione di grave crisi aziendale tale da rendere impossibile o particolarmente onerosa tale prosecuzione (è stata confermata, nella specie, la legittimità del licenziamento di un dirigente, atteso che, a fronte delle necessità datoriali di ridurre il costo del lavoro e gli organici in relazione a risultati insoddisfacenti sia dal punto di vista reddituale che gestionale, la scelta aveva riguardato un lavoratore che già aveva raggiunto i limiti del pensionamento) (Cass. 16 febbraio 2015, n. 3045).

Fermo restando quanto sinora detto, va sempre ricordato il limite generale che si frappone ad un legittimo esercizio del potere di recesso, consistente nella veridicità dei motivi addotti e, conseguentemente, nella corrispondente valutazione complessiva in termini di buona fede del relativo comportamento: in questi termini, la Suprema corte ha statuito l’inesistenza della giustificatezza in fattispecie nella quale le risultanze dell'istruttoria avevano permesso di accertare sia che il dirigente licenziato non era mai stato addetto al settore la cui ristrutturazione era stata indicata quale causa della risoluzione del rapporto, sia che la riorganizzazione di altri settori dell'azienda, pure richiamata per giustificare il recesso, era stata effettuata in un tempo apprezzabilmente anteriore al licenziamento (Cass. 20 giugno 2003, n. 9896).

Piuttosto severo, su questi profili, l’approccio di altra giurisprudenza della S.C., la quale, dopo aver ribadito, “l’onere probatorio del datore di lavoro in ordine alla veridicità, fondatezza ed idoneità dei motivi addotti a giustificazione del recesso”, sulla base di tali principi ha confermato la decisione di merito che aveva escluso la legittimità del licenziamento di un dirigente di azienda industriale basato su esigenze di soppressione del settore marketing, pur a fronte di una aumentata o inalterata produttività dello specifico settore cui era preposto il dirigente licenziato, e, dunque, in ultima analisi, rivelatesi alla realtà dei fatti inveritiere (Cass. 12 febbraio 2000, n. 1591).


Articolo scritto per "ISPER HR Review" - n° 171 del 21 Giugno 2023 - da Pasquale Dui

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Frecce: elaborazione su foto di Veronica Bosley da Pixabay