Area
Diritto del Lavoro

Topic
Licenziamento

Anna de la Forest de Divonne

N° 92

17 novembre 2021

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Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: onere della prova e obbligo di repêchage

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1508/2021, del 25.1.2021, ha espresso il seguente principio: “L’obbligo per il datore di lavoro di dimostrare l'impossibilità di adibire il dipendente da licenziare in altri posti di lavoro rispetto a quello da sopprimere (cd. obbligo di repèchage) è incompatibile con motivazioni strettamente collegate alla mera riduzione dei costi per il personale (come nel caso di specie) in quanto, in tal caso, il mantenimento in servizio del dipendente, seppure in altre mansioni, contrasterebbe con tale esigenza”.

La Corte ha, così, rigettato il ricorso presentato da un lavoratore che aveva impugnato avanti al Giudice del lavoro di Palmi il proprio licenziamento, in ragione della insussistenza del giustificato motivo oggettivo e della mancata indicazione, da parte dell’azienda, delle ragioni a sostegno del licenziamento stesso, oltre che per la violazione dei principi di correttezza e buona fede nella scelta dei lavoratori da licenziare.

Tanto in primo, quanto in secondo grado, i Giudici avevano confermato la, sia pur parziale, legittimità del licenziamento comminato: il giustificato motivo addotto non risultava manifestamente insussistente, poiché erano state provate dalla società le perdite economiche che avevano causato il numero di licenziamenti intimati; veniva, tuttavia, accertata la violazione dei principi di correttezza e buona fede in ordine alla selezione dei lavoratori da licenziare e, pertanto, corrisposta al ricorrente un’indennità risarcitoria, quantificata in venti mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Con ricorso per cassazione, il lavoratore quindi insisteva affinché venisse valutata la sussistenza del motivo di licenziamento, sulla base degli elementi di fatto esistenti al momento della comunicazione del recesso ed invocava l’applicazione della tutela reintegratoria debole, negata dai Giudici di Appello.

Nel decidere la causa, la Corte di Cassazione ha deciso di conformarsi ai precedenti giurisprudenziali sussistenti in tema di onere probatorio in capo al datore di lavoro: “In materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (L. n. 604 del 1966, art. 3) grava sul datore di lavoro l'onere di provare, tra l'altro, le ragioni inerenti alle attività produttive che rendono impossibile impiegare il dipendente nella organizzazione aziendale, da accertare in base agli elementi di fatto sussistenti alla data della comunicazione del recesso, spettando al giudice di verificarne l'effettiva ricorrenza attraverso un apprezzamento delle prove incensurabile in sede di legittimità, se effettuato con una motivazione coerente e completa (Cass. n. 17928 del 2002; Cass. n. 12261 del 2003; Cass. n. 6363 del 2000)”.

Sulla base di questo principio, i Giudici di Piazza Cavour hanno quindi condiviso l’iter logico-argomentativo intrapreso dalla Corte territoriale che, tramite una valutazione complessiva ed analitica di tutto il contesto probatorio, aveva individuato la sussistenza del giustificato motivo oggettivo sia nella riduzione dei costi aziendali che nelle ragioni relative all’attività produttiva.

Gli elementi probatori valutati dai Giudici di Appello erano stati, infatti: le perdite economiche degli anni precedenti il licenziamento, la irreversibilità del calo di fatturato, la situazione di crisi del settore, l'accumulo di ore pagate e non lavorate, la circostanza di analoghi licenziamenti, da parte di altre due società che, in definitiva, confermavano la generale crisi economica.

Nella pronuncia in esame emerge dunque come il licenziamento, motivatamente collegato alla mera riduzione dei costi per il personale, come quello del caso di specie, faccia venire meno l’obbligo per il datore di lavoro di dimostrare l'impossibilità di adibire il dipendente da licenziare in altri posti di lavoro rispetto a quello da sopprimere (cd. obbligo di repèchage).

Tale obbligo, infatti, non può ritenersi violato “quando l'ipotetica ricollocazione del lavoratore nella compagine aziendale non è compatibile con il concreto assetto organizzativo stabilito dalla parte datoriale” (Cass. n. 21715 del 2018).

In relazione alla contestata scelta dei lavoratori da licenziare, peraltro, la Cassazione ha confermato la decisione assunta dai Giudici di secondo grado circa il riconoscimento dell’indennità risarcitoria di cui all'art. 18, commi 5 e 7 St. lav., escludendo che ricorra, in tale caso, la manifesta insussistenza delle ragioni economiche poste a fondamento del recesso.

In conclusione, con la pronuncia in esame, la Corte di Cassazione non si è discostata dai precedenti già espressi in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ed onere probatorio, accordando al datore di lavoro la tutela, a mio avviso fondamentale, a lui garantita dall’art. 41 della Costituzione in materia di libertà dell’iniziativa economica.

Si tratta di una decisione del tutto condivisibile e ragionevole.

Diversamente opinando si rischia, invero, di ingessare eccessivamente un mercato già duramente immobilizzato dal blocco dei licenziamenti.


Tratto da "Sentenze e Commenti" - n° 148 - Ottobre 2021 - Uno dei servizi dell'Abbonamento ISPER

Foto di testa: eleborazione su foto di Khalid Mehmood da Pixabay
Frecce: elaborazione su foto di Veronica Bosley da Pixabay