Area
Cultura delle Risorse Umane

Topic
Leadership

Serena Apicella

N° 91

10 novembre 2021

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Come avere successo nell’era post pandemia

Quando a novembre 2019 leggevo di ciò che stava accadendo in Cina, la cosa mi sembrava davvero molto ma molto lontana.

A gennaio 2020 però, memore di un’altra Pandemia, nemmeno lontanamente paragonabile a questa, ma che avevo già vissuto, mi attivai per comprare disinfettanti da distribuire nelle sale riunioni e mascherine chirurgiche da far recapitare alla forza di vendita. Mai avrei creduto non solo che servissero, ma che addirittura diventasse un problema reperire questi prodotti sul mercato.

Da marzo 2020 la mia vita è cambiata.

E non solo la mia.

Mi sento di dire che il mondo per come lo conoscevamo prima di quella data non sarà più lo stesso.

Illuso chi pensa di poter tornare dove eravamo.

Ma questo è davvero qualcosa di negativo?

Dobbiamo disperarci perché non saremo più quelli di prima?

Personalmente non credo. Infatti, quello che il Covid dovrebbe averci evidenziato è quanto poco felici fossimo prima della pandemia, dei criceti che correvano su una ruota, così impegnati a correre da aver smesso di chiedersi il perché lo stessero facendo.

Ignorando per un momento, se mai sia possibile, l’impatto che abbiamo purtroppo avuto in termini di vite umane, il Covid ha il merito di aver sdoganato una serie di temi che erano sì sul piatto di alcune multinazionali, ma non della maggioranza, e certamente non erano nemmeno lontanamente nel radar delle medie aziende: smart-working, benessere psico-fisico, attenzione all’ambiente, diversità e inclusione sono 4 dei macro temi che dubito sarebbero così velocemente schizzati in cima alla lista di priorità di alcune aziende, soprattutto in Italia, se non ci fosse stato il Covid.

Se questi quattro temi non bastassero per riconoscere un effetto positivo a questa Pandemia, possiamo aggiungerne un quinto, non meno importante dei precedenti, la “servant leadership”, o “leadership gentile” o anche “leadership empatica”.

Comunque la si chiami, il concetto di fondo è che questa situazione ha evidenziato come uno stile di leadership direttivo, fondato sull’accentramento, dove non c’è fiducia nei collaboratori ma solo (o prevalentemente) controllo, non permette alle aziende di evolvere.

Ciò che serve in azienda sono quelle che Larry Spears aveva individuato come le competenze chiave del servant leader:

  • Ascolto - ascoltare con attenzione il detto e il non detto degli altri ma, al contempo, saper ascoltare anche sé stessi.

  • Empatia - comprendere gli stati emotivi altrui ed accettarli così come sono, senza manipolazioni.

  • Capacità di cura - saper stare vicino agli altri, offrire loro supporto per affrontare situazioni difficili; ma anche prendersi cura di sé stessi.

  • Consapevolezza - essere coscienti delle proprie emozioni e azioni e comprenderne le conseguenze sugli altri.

  • Persuasione - ottenere il sostegno e l’adesione degli altri alle proprie scelte grazie alla capacità di saperle motivare senza ricorrere alla gerarchia o all’autorità.

  • Concettualizzazione - saper vedere e analizzare i problemi da un punto di vista più ampio, visionario, e non limitarsi a perseguire obiettivi di breve termine.

  • Lungimiranza - comprendere le lezioni del passato per applicarle alla realtà del presente in modo efficace e saper stimare i potenziali effetti delle proprie intuizioni.

  • Stewardship - gestire eticamente e responsabilmente le risorse affidate, anteporre il bene comune al tornaconto personale.

  • Impegno alla crescita delle persone - responsabilità della crescita non solo professionale ma anche personale degli altri, attraverso incoraggiamento, riconoscimento e fornendo gli strumenti adatti affinchè le persone trovino la propria strada.

  • Costruire comunità - fare squadra, creare un clima positivo di sostegno reciproco anche all’interno di piccoli team.

“Il servant leader è capace di empowerment, di investire e lavorare su se stesso per rendere gli altri in grado di rendere al meglio, di incoraggiare la reciprocità, la collegialità, il sostegno e l’apprendimento sociale.

È un leader giardiniere, che fa crescere e fiorire i collaboratori come belle piante, è un coach per tutti i suoi dipendenti”. (Umberto Santucci, http://www.umbertosantucci.it/servant-leader/)

Il Covid ha esasperato l’incertezza, complessità e ambiguità del mondo in cui le aziende si muovono e, soprattutto, ci ha costretti a vedere che siamo tutti inevitabilmente connessi e umani, quindi fallibili e vulnerabili.

Inoltre, ha annullato la distinzione tra la persona e il professionista, ricordandoci che siamo tutti esseri umani, in quanto tali fragili e soggetti alle emozioni, termine di cui poco si è parlato in azienda negli ultimi 20 anni, quasi che provare paura, rabbia, gioia o disgusto fosse qualcosa di vietato sul posto di lavoro, qualcosa di cui vergognarsi, da nascondere, soprattutto quando si ricopriva una posizione manageriale, e ancora di più se si era parte del top management.

Oggi questo modello è, a mio avviso, superato, ecco perché un servant leader diventa indispensabile in un contesto dove emerge una nuova sensibilità individuale, nuove esigenze e consapevolezze che richiedono un’attenzione reale ai bisogni degli individui per attrarre e trattenere le persone di talento.

Personalmente quello che il Covid mi ha ricordato con forza è che felicità e produttività vanno a braccetto, e la salute psicofisica è il risultato di quanto stiamo bene o male nel nostro ruolo.

Per anni sono andata avanti a 2 bustine di gaviscon al giorno, finché ho capito che il problema non era (solo) quello che mangiavo, ma il passare tanto tempo in un ambiente in cui non ero a mio agio, dove non avevo i riconoscimenti e la qualità di relazioni che desideravo.

Ma cambiare azienda spesso non è la soluzione ai problemi, anche questo ho imparato bene nella mia carriera.

E allora cosa fare? Bisogna lavorare per aiutare i manager a crescere, accompagnarli quando serve per supportarli nel creare uno stile manageriale fondato sulla fiducia e sulla delega.

Un manager che non ha fiducia nasconde un’insicurezza di fondo e, a lungo andare, mette a rischio i risultati aziendali poiché tende ad accentrare su di sé tutte le responsabilità togliendo così iniziativa e opportunità di crescita alle sue persone e perdendo la possibilità di sentire punti di vista differenti dal suo che potrebbero portare innovazione e sviluppo.

Inoltre, sovraccaricandosi anche delle responsabilità dei propri collaboratori, il manager accentratore finisce con lo sbagliare più frequentemente perché non può controllare e meno che mai conoscere tutto.

La funzione Risorse Umane gioca un ruolo chiave nel guidare questo cambiamento epocale: non solo siamo responsabili di creare le opportunità per costruire e diffondere una cultura che favorisca il dialogo e la crescita, ma siamo responsabili di scegliere e aiutare a scegliere persone che quella cultura la alimentino e la facciano evolvere sempre di più.

Per poterlo fare noi professionisti HR dobbiamo crearci una credibilità fondata non solo sulla conoscenza degli strumenti del nostro mestiere ma anche sulla conoscenza del business, uniti ad una grande capacità di ascolto e assertività che ci aiuti ad essere dei partner credibili per il management aziendale.

Tratto da "Personale e Lavoro n° 638 - Novembre 2021" - Uno dei servizi dell'Abbonamento ISPER

Foto elaborazione su foto di Goumbik da Pixabay
Frecce: elaborazione su foto di Veronica Bosley da Pixabay