Area
Diritto del Lavoro

Topic
Licenziamento

Maurizio de la Forest de Divonne

N° 136

21 settembre 2022

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È legittimo il licenziamento del dirigente iscritto nel registro degli indagati?

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza n. 34720 del 16 novembre 2021, ha espresso il principio secondo cui “La "giusta causa" di licenziamento ex art. 2119 c.c., postula il concreto ed indispensabile accertamento delle condotte contestate, considerate nel loro aspetto oggettivo e soggettivo, volto a verificare l'idoneità lesiva del vincolo fiduciario dell'addebito contestato; in questa prospettiva, il dato oggettivo del mero "coinvolgimento" del lavoratore in un'indagine penale, sia pure per fatti di rilevante gravità come il peculato e la bancarotta fraudolenta, non dà specifica contezza sia della mancanza colpevole della quale il lavoratore può essere chiamato a rispondere disciplinarmente sia del concreto ruolo svolto dal dirigente nella vicenda e quindi della riferibilità allo stesso delle condotte oggetto di addebito”.

Il Supremo Collegio prende le mosse dal licenziamento per giusta causa di un Direttore Generale, per fatti ritenuti di oggettiva gravità dai giudici di merito (relativi a peculato e bancarotta fraudolenta in danno di una società a proprietà pubblica, che lo vedano sottoposto a procedimento penale e alla misura cautelare degli arresti domiciliari).

La Corte di Appello di Napoli confermava la pronuncia del giudice di prime cure che aveva respinto la domanda proposta dal ricorrente, ritenendo che il suo coinvolgimento in un procedimento penale per gravi reati comportasse una lesione del vincolo fiduciario, tale da impedire la prosecuzione del rapporto di lavoro.

Approdata in Cassazione, la controversia rileva particolarmente, in quanto incentrata sul licenziamento per giusta causa basato su fatti penalmente rilevanti, sebbene ancora in corso di accertamento.

Sul tema è opportuno ricordare che la responsabilità penale e quella disciplinare corrono su binari distinti, tanto che il lavoratore, ha rimarcato la Suprema Corte, non può essere licenziato per il solo fatto di essere indagato in un procedimento penale (peraltro, senza condizionamento alcuno del principio costituzionale di non colpevolezza fino alla condanna definitiva).

La Suprema Corte, nel dettaglio, ha evidenziato che il Giudice di seconde cure, avendo ancorato la responsabilità del dirigente al solo fatto oggettivo del suo coinvolgimento in un’indagine penale, senza alcuno specifico accertamento dei fatti contestati in via disciplinare, sia incorsa in errate interpretazioni delle norme civilistiche, oltreché del diritto “vivente”.

La Cassazione ha rilevato, in particolare, una vera e propria distorsione del criterio di distribuzione dell’onere della prova pacificamente gravante sul datore: è quest’ultimo che deve, infatti, dimostrare le condotte oggetto di addebito nei loro profili oggettivi e soggettivi e la loro idoneità a ledere il vincolo fiduciario esistente in ogni rapporto di lavoro.

Nel caso di specie, la Suprema Corte ha, in definitiva, censurato la condotta datoriale con la quale è stata contestata una condotta innegabilmente grave, quando tuttavia il procedimento penale era per così dire ancora in uno stato embrionale e il datore di lavoro non era ancora in grado di procedere consapevolmente con la contestazione disciplinare.

La Cassazione ha, conseguentemente, “rimproverato” alla Corte d’Appello di aver reputato legittimo il licenziamento, semplicemente basandosi sul mero coinvolgimento del dirigente in un’indagine penale relativa a fatti gravi “e ciò a prescindere dalla stessa verifica in tale sede o in sede disciplinare della sussistenza e riferibilità degli illeciti ascritti”.

Inoltre, nessuna ammissione dei fatti da parte del dirigente pareva rinvenibile nelle sue difese, all’epoca del recesso datoriale, che rappresenta il limite temporale di sussistenza delle condizioni di legittimità del licenziamento e che non possono essere verificate in relazione a circostanze sopravvenute.

A quella data non era intervenuta alcuna sentenza penale di condanna (dalla quale attingere eventuali ed ulteriori elementi di prova) e nessuna rilevanza potevano avere le condanne, per alcuni reati, sopravvenute solo nel corso della causa di lavoro, come era emerso in sede di discussione orale.

In conclusione la pronuncia in commento conferma che, al fine di procedere con il licenziamento disciplinare, in relazione a fatti astrattamente costituenti reato, non è necessaria una sentenza definitiva di condanna, ma nel contempo nemmeno sufficiente il mero coinvolgimento del dipendente in un’indagine né il relativo rinvio a giudizio: è necessario infatti comunque accertare, di volta in volta, l’effettiva sussistenza dei fatti contestati e la loro idoneità a integrare i presupposti giustificativi del licenziamento.

Dal che, la Suprema Corte ha cassato la sentenza con rinvio alla Corte di Appello per la rivalutazione dei presupposti giustificativi del licenziamento.


Tratto da "Sentenze e Commenti" - 157 - Luglio 2022 - Uno dei servizi dell'Abbonamento ISPER

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