Area
Cultura delle Risorse Umane

Topic
Scenario

Giuseppe Scaratti

N° 18

20 maggio 2020

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Per un nuovo manifesto dell’HRM

Mi è stato chiesto un contributo per la rivista dopo un mio intervento del 2019 centrato sulle sfide per nuove competenze e processi organizzativi, proposto all’interno di un ciclo di incontri dedicati allo smart working e a rinnovate forme di lavoro a fronte delle trasformazioni generate dalla quarta rivoluzione industriale.

La mia risposta è stata affermativa, ma la traduzione in pratica dell’impegno assunto si è protratta, come succede, per vari motivi di impegno istituzionale e di lavoro.

La finestra per realizzare la scrittura dell’articolo si è aperta nel periodo COVID 19, a fronte del penoso quanto inevitabile lockdown condiviso da tutti i cittadini e della conseguente disponibilità di tempo da dedicare a vari impegni in giacenza, in tal modo recuperati e aggiornati nell’agenda delle cose da fare.

L’accenno a questa sequenza temporale non è secondario, né marginale, rispetto alle riflessioni che intendo proporre, in quanto il tema dell’incontro richiamato riguardava il cambiamento del lavoro nell’azienda come infosfera.

Il termine esprime una metafora ripresa dai noti contributi di Luciano Floridi (2017; 2020), che ha icasticamente descritto la nostra epoca come era dell’iperstoria, in cui le tecnologie di terzo ordine (big data, intelligenza artificiale, domotica, internet delle cose…) stanno riconfigurando le ICT e le informazioni da esse veicolate.

Di qui l’imbricazione di contesti esistenziali e lavorativi on e off line, tradotti da Floridi nella altrettanto efficace crasi di on life, a significare il nostro essere immersi in un contesto simile al territorio delle mangrovie, che crescono alla confluenza del fiume e del mare, dove acqua dolce e salata si intrecciano e consentono nuove forme di vita sociale, partecipativa, produttiva, lavorativa.

L’immagine evoca lo spazio, aperto dalla quarta rivoluzione industriale, che si offre alla nostra iniziativa per coniugare natura e tecnologia, sostenibilità ecologica e tecnologica, assumendo le opportunità emergenti e contenendo i rischi che il nuovo scenario pure introduce sulla scena.

Uno spazio che la vicenda coronavirus sembra dilatare e accelerare, mettendo in primo piano inedite tensioni come quella tra salvaguardia della salute/sicurezza e quella della libertà di ognuno, emblematicamente evocata dall’isolamento imposto e condiviso per contenere l’espandersi della pandemia.

Una situazione che la disponibilità del digitale ci sta consentendo di affrontare e sostenere, sia attraverso forme di smartworking, sia tramite le molteplici opportunità e potenzialità che la connessione internet ha messo a disposizione per affrontare le diverse implicazioni (sociali, lavorative, esistenziali) che l’attuale scenario ha drammaticamente sollecitato.

È come se il coronavirus avesse di fatto velocizzato e reso più urgenti una sfida che la quarta rivoluzione industriale ha aperto, relativa a nuove domande, a un inedito design concettuale capace di generare rinnovate visioni, un approccio relazionale in grado di innestare nuovi sguardi e interpretazioni, per traguardare uno sviluppo più sostenibile e insieme contenere i rischi di manipolazione che la diffusione di un’era digitale senza etica comporta.

In gioco è la possibilità di sfruttare il nostro capitale generativo (sociale, intellettuale, culturale, istituzionale, civico) per riconfigurare esperienze, significati e mondi, mettendo in rapporto lo straordinario potenziale delle tecnologie digitali con le sfide trasversali che stiamo affrontando (climatiche, demografiche, di giustizia sociale, di modelli di produzione, consumo, partecipazione).

A tale tensione evolutiva non può rimanere estranea una profonda riflessione sui modelli di management attualmente diffusi e in specifico un conseguente sforzo di ripensamento e riconfigurazione dei modi di concepire e realizzare in pratica la funzione e le attività connesse alla gestione delle risorse umane.

È infatti indubbio che lo scenario contemporaneo presenti profondi, rapidi e sfidanti mutamenti che stanno caratterizzando i sistemi di produzione di beni e servizi: sollecitazioni e pressioni interne ed esterne hanno alimentato e stanno determinando processi complessi di attuazione di nuove modalità e routine operative, di apprendimenti veloci e di nuove soluzioni a problemi inediti. Le profonde, radicali quanto rapide trasformazioni del mondo tecnologico e scientifico stanno drasticamente modificando i nostri modi di produrre, di consumare, di partecipare, di esistere.

Anche le organizzazioni sono coinvolte in tale dinamica evolutiva che sta trasformando radicalmente il rapporto tra persone, tecnologie e interazioni sul lavoro e con i suoi oggetti materiali e immateriali. Possiamo pensare all’internet delle cose e a sensori che permettono il controllo su oggetti, cose e i loro trasferimenti; al machine learning e alle condizioni del suo impiego; alla robotica e alla sua estensione ai veicoli, ai servizi, ai materiali, alle pratiche operative.

Si riconfigurano competenze, saperi specialistici, pratiche comunicative e organizzative.

L’HRM deve tener conto di come le organizzazioni stiano diventando ambienti tecnologicamente densi e quali nuove transazioni prendano corpo nell’interazione tra attori umani, tecnologie e artefatti professionali.

Le varie figure organizzative sono coinvolte, con diverse responsabilità, nell’adat-tamento di artefatti a situazioni materiali e immateriali, nella ri-significazione delle tecniche nel passaggio all’attività quotidiana, nella riconfigurazione di routine esistenti, nella ridefinizione di visioni professionali, nell’attivazione (enactment) degli oggetti tecnologici nella pratica.

Lo stesso smartworking, divenuto punto di riferimento trasversale nel contesto coronavirus, introduce trasformazioni delle visioni professionali, generando adattamenti delle tecnologie nel loro concreto uso all’interno delle pratiche quotidiane, aprendo questioni sulle modalità di coordinamento e gestione degli spazi e dei tempi, in generale sollecitando interpretazioni del legame tra tecnologia, procedure organizzative e relazioni interprofes-sionali.

Diventa pertanto cruciale interrogarsi su modalità di integrazione tra tecnologie e sistemi sociali, sull’intreccio tra lavoro in presenza e a distanza, sui requisiti professionali oggi richiesti e su come supportarli, sulle pratiche di gestione di tali processi e sul conseguente approccio a modalità costanti di apprendimento organizzativo.

È interessante a tale proposito evidenziare come, accanto a evidenti spinte per la necessaria acquisizione di competenze tecniche e metodologiche (analisi dei dati, programmazione e coding...), siano richieste e rappresentate come decisive, nella letteratura scientifica, anche capacità personali, relazionali e sociali (disposizione mentale, capacità di lavorare in gruppo, motivazione ad apprendere, condivisione di conoscenza, comunicazione e linguaggio…) (Hecklaua et al., 2016).

Né stupisce incontrare, nella lista delle competenze chiave segnalate dal World Economic Forum, competenze quali critical thinking, open mindset, social and emotional intelligence, cooperating and networking.

Di fronte a tali prospettive si riconfigura una concezione di management che, con A. Cunliffe (2017), possiamo descrivere come relazionale, riflessivo ed etico:

  • relazionale in quanto dialogico, polivocale e costruttivo, in grado di entrare in rapporto con diversi punti di vista, esperienze e prospettive, sviluppando trasparenza e fiducia, impegno e investimento.
    Significa alimentare e sostenere il quadro di senso e riconoscimento del proprio lavoro, le cose da fare e come farle, i rapporti di potere, la divisione del lavoro e le possibilità di sviluppo esistenti, interpretando il proprio ruolo come manager di prossimità;
  • riflessivo in riferimento al necessario esercizio di pensiero critico, alla messa in dubbio di aspetti dati per scontati, alla rielaborazione di routine e habitus consolidati nell’organizzazione, aprendo la possibilità di considerare e affrontare i problemi, di non eluderli e attivando momenti di discussione plurale in cui i lavoratori si confrontano tra loro sulle situazioni concrete, le difficoltà e le contraddizioni, ricercando comprensioni e soluzioni condivise ai problemi, istituendo le regole e i riferimenti del lavoro concreto;
  • etico in quanto improntato a discorsi che evocano il valore del soggetto, il contributo personale, la logica di generare valore; l’imprenditività come orientamento al bene personale connesso al bene comune; la possibilità di porre e porsi delle domande, di riconoscere ed esprimere desideri, sentimenti ed emozioni, di sviluppare capacità di azione dotata di valenza politica in senso lato.

Sintonizzarsi su tale prospettiva significa prendere sul serio ciò che la Business Roundtable, un’associazione di oltre 180 amministratori delegati delle principali società americane, guidata da Jamie Dimon, ceo di JP Morgan, ha dichiarato nell’agosto 2019, raccomandando alle aziende di cambiare il modo in cui operano e di concentrarsi sui propri dipendenti, sui luoghi in cui conducono gli affari e sui loro fornitori per garantire che tutti siano trattati in modo equo, anteponendo questi aspetti alle esigenze e desideri degli azionisti.

Di seguito alcune indicazioni rilasciate nel comunicato stampa:

  • offrire valore ai nostri clienti. Promuoveremo la tradizione delle aziende americane all’avanguardia nel soddisfare o superare le aspettative dei clienti;
  • investire nei nostri dipendenti. Questo inizia compensandoli equamente e fornendo importanti benefici. Include anche il supporto attraverso la formazione e l’educazione che aiutino a sviluppare nuove competenze per un mondo in rapido cambiamento;
  • promuovere la diversità e l’inclusione, la dignità e il rispetto;
  • trattare in modo equo ed etico con i nostri fornitori.
    Siamo impegnati a servire come buoni partner per le altre società, grandi e piccole, che ci aiutano a soddisfare i nostri obiettivi;
  • supportare le comunità in cui lavoriamo. Rispettiamo le persone nelle nostre comunità e proteggiamo l’ambiente adottando pratiche sostenibili in tutte le nostre attività.

Di fatto una dichiarazione dei massimi dirigenti che vanno oltre la tradizionale dottrina economica, secondo cui l’unico scopo del business è generare e massimizzare i profitti per gli azionisti.

Si può sicuramente discutere sulla portata ed efficacia di tali dichiarazioni, ma non si può eludere, a fronte delle accelerazioni che il coronavirus sembra iniettare rispetto alle pressioni introdotte dalla quarta rivoluzione industriale, di porsi in un’ottica di forte rielaborazione critica dell’attuale mainstream nel modo di concepire il modello di produzione e la funzione manageriale che lo supporta.

La prospettiva di una alleanza sostenibile tra natura e tecnologia e di un ridisegno delle consuete modalità di funzionamento dei processi organizzativi sembra ancorarsi a una serie di considerazioni trasversali e a conseguenti statements per un possibile nuovo manifesto dell’HRM.

Le considerazioni riguardano, da un lato, il doversi confrontare con dimensioni lavorative e organizzative che sono riconducibili a processi, più che a variabili standardizzabili in sequenze tayloristicamente riproducibili indipendentemente dai contesti e dalle situazioni di riferimento.

L’acquisizione di un context driven approach, anziché di una logica context free, rappresenta uno dei più rilevanti guadagni di una aggiornata psicologia del lavoro e delle organizzazioni, da E. Schein, a K. Weick fino a H. Mintzberg.

Dall’altro, si tratta di confrontarsi con la strutturale ambivalenza delle dimensioni organizzative, secondo un orientamento che superi le interpretazioni universalistiche del funzionamento organizzativo e ne enfatizzi il carattere situato, legato a culture, interpretazioni e usi, che producono e riproducono quotidianamente il sistema di attività di cui sono espressione.

Di qui la possibile declinazione di alcuni enunciati che possono essere considerati come una prima indicazione di un embrionale nuovo manifesto per un rinnovato HRM:

  1. concepire il passaggio da società della produzione, della prestazione e consumo, verso nuove prospettive di economia contributiva e generativa;
  2. superare spirito e sistema neo-managerialista, basato sulla prevaricazione della massimizzazione del valore a favore degli azionisti rispetto ad altri valori.
    Come icasticamente ricordato da Andrea Zanzotto e Marzio Breda possiamo parlare di progresso scorsoio: soldi e mai bellezza, soldi e mai cultura, soldi e mai pensiero;
  3. integrare tradizionali paradigmi epistemologici ed ontologici basati su costrutti di evidenza, universalismo, neutralità e oggettività (ottica osservativa), assumendo epistemologie che riconoscano l’intreccio tra doxa e episteme (ottica costruttiva);
  4. passare da mera adesione a meccanismi di arruolamento per riconoscere aspetti più autentici di agency e di authorship;
  5. costruire identità organizzative basate su partecipazione e legami con il territorio;
  6. andare oltre manipolazione e omologazione per sviluppare costanti processi di negoziazione e di apprendimento;
  7. sviluppare un’estetica e un’etica del buon lavoro;
  8. alimentare la tensione verso un management sostenibile;
  9. diffondere discorsi di fiducia, collaborazione, comprensione, cooperazione, senso collettivo;
  10. generare valore condiviso/ fiducia e investimento contributivo a tutti i livelli/ chiarezza nella gestione, valutazione, sviluppo, remunerazione/ confronto/ trasparenza/ generosità eccedente/ orientamento ai valori e al senso/identità dell’organizzazione.

A supporto di tali enunciazioni stanno ancoraggi e riferimenti teorici che sarebbe troppo lungo esporre nei limiti dello spazio concesso a questo contributo, ma che possono essere tranquillamente rintracciati nella letteratura relativa ai Critical Management Studies e alle connesse concezioni epistemologiche, ontologiche e gnoseologiche che ne costituiscono il background teorico-concettuale (Alvesson, Spicer, 2017; Bodega, Scaratti, 2013).

La posta in gioco, peraltro, non è tanto una disquisizione astratta su posizioni paradigmatiche da assumere (sebbene pertinente e necessaria a certi livelli di discussione), quanto la necessità di orientare culture lavorative, professionali e organizzative verso la sfida di generare valore collettivo, affrontando inedite articolazioni e complessità connesse ai problemi che si affacciano e impongono trasformazioni radicali.

Servono visioni e nuove configurazioni, aperte a molteplici possibili soluzioni e capacità di una progettualità tanto coraggiosa e creativa, quanto sostenibile e capace di intercettare e trasformare pratiche e consuetudini correnti.

Bibliografia

  • Alvesson, M., Spicer, A. (2017) Il parodosso della stupidità. Il potere e le trappole della stupidità nel mondo del lavoro. Cortina, Milano.
  • Bodega D., Scaratti G. (2013), Organizzazione. Egea, Milano.
  • Cunliffe, A. (2017) Il Management. Approcci, culture, etica, Cortina, Milano.
  • Floridi, L. (2017), La quarta rivoluzione industriale. Come l’infosfera sta trasformando il mondo. Cortina, Milano.
  • Floridi, L. (2020), Il verde e il blu. Idee ingénue per migliorare la politica. Cortina, Milano.
  • Hecklaua F., Galeitzkea M., Flachsa S., Kohlb H. (2016) Holistic approach for human resource management in Industry 4.0, ScienceDirect, Procedia CIRP 54 (2016) 1-6 Available online at www.sciencedirect.com, open access article under the CC BY-NC-ND license (http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/4.0/), doi: 10.1016/j.procir.2016.05.102

Tratto da "Personale e Lavoro n° 622 - Maggio 2020" - Uno dei servizi dell'Abbonamento ISPER