Lo stress digitale: un nuovo fenomeno da monitorare e gestire
Introduzione
Le tecnologie digitali hanno introdotto sostanziali modifiche nella sfera lavorativa di un numero estremamente elevato di persone. Tali modifiche, spesso si sono concretizzate nella velocizzazione di molti processi, in particolare quelli comunicativi e organizzativi, e nella creazione di nuove opportunità di business, costituendo un fattore positivo per la produttività. A livello globale, la digitalizzazione delle aziende è stata un processo nel complesso piuttosto rapido e pervasivo, che ha visto emergere nel panorama economico mondiale nuovi attori di primissimo piano, in pochi anni.
A fianco delle numerose opportunità e dei cambiamenti positivi che hanno accompagnato la diffusione delle nuove tecnologie digitali, sono emerse tuttavia anche alcune criticità. Una di queste è il cosiddetto “stress digitale”. Tradizionalmente, con il termine stress si indica quella situazione in cui il carico di richieste cognitive supera le risorse disponibili a fronteggiarle (Lazarus e Folkman 1984). Con il termine stress digitale, come è facile intuire, ci si riferisce allo stress che deriva dall’uso delle tecnologie digitali.
Alcuni fattori stressanti introdotti dalle tecnologie digitali
Un primo fattore di stress digitale è rappresentato certamente dalla carenza di competenze digitali. La digitalizzazione di un ambiente di lavoro a fronte di scarse competenze, infatti, può comportare una richiesta eccessiva e di conseguenza un elevato stress da parte dei lavoratori, che può nascere dalla richiesta di usare programmi complessi o poco adatti ad alcuni compiti di lavoro. Per questa ragione, è importante che la digitalizzazione in azienda vada sempre di pari passo a un processo di monitoraggio delle competenze digitali e dell’usabilità degli strumenti così come alla realizzazione di processi di formazione.
Un secondo importante fattore di stress digitale nasce da un’inadeguata dotazione tecnologica e da un design poco user-friendly. Lavorare per lunghi periodi con dispositivi lenti, malfunzionanti, o con software progettati per altri compiti può incidere negativamente sul benessere lavorativo.
Tra i fattori di stress digitale più comuni che si sono affermati negli ultimi anni, spesso troviamo il numero di e-mail. Si stima che ogni giorno vengano scambiate in media 125 miliardi di mail di lavoro (Radicati 2015). Ricevere un numero di e-mail molto elevato è stressante per una serie di motivi. In primis, è possibile avvertire la sensazione di non riuscire a gestire questo grande flusso di informazioni, subendo quello che è stato definito come sovraccarico informativo (information overload). Tra queste informazioni potrebbe esserci qualcosa di importante o urgente, che rischia dunque di passare inosservato a causa della dimensione del flusso di informazioni. In secondo luogo, lo stress emerge anche come conseguenza delle possibili ripercussioni di una nostra mancata risposta a un mittente. Tale comportamento, potrebbe essere interpretato dal mittente come una mancanza di interesse nei suoi confronti e in tal modo ripercuotersi negativamente a livello relazionale (Fasoli 2019).
Più in generale, il digitale ha introdotto un elevato numero di notifiche e segnali, che ci vengono recapitati dai nostri device potenzialmente in ogni momento. Uno dei comportamenti che tendiamo a mettere in atto automaticamente per affrontare la nostra vita digitale è quindi l’interruzione. Ci interrompiamo spesso per monitorare i nostri dispositivi e i contenuti che essi ci offrono, a volte come riflesso di fronte alla ricezione di una notifica (interruzioni top-down) e in altre occasioni in modo spontaneo, senza nessuno stimolo esterno e senza quasi accorgercene (interruzioni bottom up). Durante la nostra vita lavorativa, chi subisce queste interruzioni tende ad avere performance meno brillanti (Bailey & Konstan, 2006) e in generale soddisfazione minore. Infatti, le interruzioni hanno un costo (Kirkcaldy & Martin, 2000) sia perché sottraggono tempo all’attività lavorativa sia perché, nel momento in cui l’attenzione torna a essere posta sull’attività di lavoro precedentemente interrotta, è necessario del tempo e dello sforzo per riuscire a ri-ottenere una buona concentrazione.
Un altro comportamento che viene messo in atto per cercare di affrontare il grande numero di stimoli digitali che oggi subiamo è il multitasking, che consiste nel cercare di svolgere più compiti nello stesso lasso di tempo. Quando pratichiamo il multitasking, la nostra attenzione viene continuamente spostata da un compito all’altro: si tratta dunque più di uno slittamento continuo dell’attenzione che non di una “divisione” dell’attenzione. Per esempio, scriviamo un messaggio di testo mentre siamo impegnati in una riunione di lavoro, cercando allo stesso tempo di trovare le parole giuste e di non perderci il significato di quello che sta dicendo il nostro collega. Tuttavia, nemmeno il multitasking è efficace, dato che le scienze cognitive e la psicologia hanno mostrato come le nostre performance si abbassino drasticamente mentre siamo impegnati in questa attività (Gorlick 2009). Maggiore è la difficoltà dei compiti che stiamo cercando di svolgere in contemporanea, peggiori quindi saranno i nostri risultati. Fino a qualche anno fa, si credeva che la capacità di svolgere multitasking fosse una questione di abitudine e che i più giovani, essendo nati in un ambiente molto più tecnologizzato, fossero più bravi degli adulti. In realtà, oggi è evidente che ciò non è vero e che anche loro fanno registrare le medesime difficoltà degli adulti (Ophir et al. 2009).
I fattori stressanti digitali, quindi, in molti casi ci spingono a interromperci spesso e a fare multitasking, ma questi comportamenti sono deleteri per le nostre performance lavorative. Come se non bastasse, interruzioni e multitasking sembrano essere a loro volta ulteriormente stressanti, dando luogo quindi a quello che è stato definito stress di secondo livello (Fasoli 2019).
I dati oggi in Italia
Ad oggi, non sono disponibili molti dati riguardanti lo stress digitale lavorativo a livello nazionale. Tuttavia, sono state effettuate alcune indagini a livello locale. Una di queste ha riguardato i dipendenti del Comune di Bologna ed è stata condotta dalla società di consulenza SCS consulting, nell’ambito di un progetto di digitalizzazione dell’ente e di supporto allo sviluppo di un mindset digitale, grazie anche all’impiego di un test sviluppato dal gruppo di ricerca del Centro di Ricerca Benessere Digitale dell’Università Bicocca. Il test che è stato somministrato è composto da 18 domande a 7 modalità di risposta (da 1 “per nulla d’accordo” a 7 “completamente d’accordo”) e mira a misurare le competenze digitali percepite e il cosiddetto “uso problematico dei nuovi media”, che comprende anche lo stress digitale. Per esempio, il test comprendeva item come il seguente: “L’uso che faccio di smartphone/pc/tablet mi fa perdere tempo prezioso che potrei dedicare a cose più importanti”.
Dall’indagine è emerso come il cosiddetto uso problematico riguardi in media il 18 per cento dei lavoratori, che sarebbero anche i più soggetti a stress digitale. Sempre questi dati mostrano come l’uso problematico sia però più diffuso nelle fasce più giovani. Nella fascia tra i 31 e i 40 anni è il 20 per cento a rientrare in questa categoria, mentre per i lavoratori di età uguale o inferiore a 30 anni arriviamo addirittura al 25%. Tali dati, se pur riguardanti un campione limitato, fanno sospettare che il problema dello stress digitale in Italia non possa essere liquidato come irrilevante o minoritario, soprattutto per le fasce più giovani. A testimonianza di ciò, registriamo la nascita di nuove iniziative formative volte a contrastare questo fenomeno attraverso la formazione aziendale, come quella lanciata da Niuko Innovation and Knowledge, società di formazione di Confindustria Vicenza.
Affrontare lo stress
Come si è visto, una buona parte dello stress digitale nasce dalla difficoltà a gestire il flusso elevato di informazioni. Un altro aspetto importante riguarda la sovrapposizione tra tempo lavorativo e tempo libero. Da un lato, infatti, le tecnologie digitali permettono a molti di noi di lavorare ovunque (il che è ovviamente un vantaggio), ma dall’altro in tal modo esse vanno potenzialmente a sfumare quella linea di demarcazione tra tempo lavorativo e vita privata che è fondamentale per il nostro benessere personale. Di conseguenza, sta ai lavoratori la capacità di ricreare dei confini filtrando le informazioni e gestendole in modo efficace, cioè riducendo le interruzioni eccessive e la frammentazione del tempo lavorativo. Qui di seguito descriviamo brevemente alcune soluzioni che possono essere d’aiuto per ridurre lo stress digitale al lavoro e nella vita privata.
ll monitoraggio dell’uso della Rete
Il primo passo per risolvere un problema è conoscerlo. Per questo la prima cosa da fare è installare un’app come RescueTime (www.rescuetime.com) per monitorare l’uso che si fa dello smartphone e quanto tempo si usa online e, in particolare, sui social. In realtà tutti i maggiori sistemi operativi hanno ormai integrato una funzionalità del genere: Android, per esempio, mette a disposizione “Benessere digitale” che, tra le altre cose, permette di limitare il tempo perso su alcune app. In ogni caso, una volta capito quali sono le app che provocano problemi, le si può silenziare a tempo anche grazie a Siempo (www.getsiempo.com).
La tecnica del pomodoro
Non ha senso ragionare solo in negativo: lo smartphone può anche essere un ottimo alleato per il lavoro. Per esempio si può usare un’app come Goodtime (https://github.com/goodtime-productivity/Goodtime) per mettere in pratica la tecnica del pomodoro così come immaginata tanti anni fa dal programmatore Cirillo. In pratica si lavora con la massima concentrazione per venti minuti, quindi si fa una pausa. Avanti così fino al quarto ciclo, quando ci si può concedere una pausa più lunga. Ecco, Goodtime aiuta a tracciare tempo e cicli.
La mail bankruptcy
L’impiegato medio controlla la casella email 36 volte ogni ora e ogni settimana impiega 13 ore per aprire, leggere, archiviare, cancellare e rispondere alle mail. A ogni mail ricevuta la distrazione costa 16 minuti per ritrovare la concentrazione su quel che si stava facendo. Che cosa succede se le mail da gestire, ogni giorno, sono centinaia? E soprattutto che cosa succede se si accumula un arretrato impossibile da smaltire? La soluzione esiste, ma è estrema.
Avete mai sentito parlare della “bancarotta delle email”? Un po’ come le aziende che dichiarano fallimento quando i debiti non sono più sopportabili, può capitare che alcuni professionisti accumulino una tal quantità di posta elettronica arretrata da arrendersi, gettare la spugna.
L’espressione “mail bankrupcy”, attribuita per la prima volta a Lawrence Lessig nel 2004, rappresenta una soluzione estrema: si danno per persi i vecchi messaggi e non si risponde più, per ripartire da zero con una casella postale immacolata. Chiaramente bisogna in qualche modo avvertire chi si aspettava una risposta: per esempio inserendo una risposta automatica o un messaggio in coda a ogni nuova mail. Pro e contro di questa opzione: il pro è che chi ri-scrive è davvero interessato o motivato; il contro è che si può fare una volta sola o poco più, pena la perdita di credibilità.
Dimezzare il volume delle email
Meglio evitare di dover arrivare agli estremi appena visti, causa di technostress. Esistono degli strumenti che permettono di comunicare via digitale in modo efficace senza il proliferare di troppe mail.
Il primo esempio è Slack (https://slack.com): si presenta proprio come lo strumento che vuole “ammazzare” le mail. Leggenda vuole che nel 2010 uno dei team di sviluppo guidato da Stewart Butterfield (fondatore di Flickr) fosse occupato nello sviluppo del videogioco Glitch, ma il tempo impiegato dai vari programmatori e designer per scambiarsi email e messaggi chat divenne ben presto ingestibile. Il team decise quindi di investire su un progetto parallelo: un’app che permettesse di raccogliere messaggi e allegati di vari servizi mail e messaggistica in un unico contenitore. Dopo tre anni il progetto iniziò a camminare con le proprie gambe.
Il secondo strumento, simile a Slack, è Trello (https://trello.com): la sua bacheca, le liste e le schede consentono di organizzare e stabilire la priorità dei progetti in modo flessibile e, perché no, divertente. Ma soprattutto vi è la possibilità di scambiare messaggi e condividere documenti senza dover inviare decine di email con l’ennesima versione “1.2-DEF.doc” del progetto e intestazioni “RE:RE:RE:RE:FWD: Progetto.doc”.
La task automation
Chi l’ha detto che, in tema di technostress, la tecnologia sia il problema e non, in alcuni casi, la soluzione? In attesa che androidi e intelligenze artificiale risolvano la maggior parte dei problemi degli umani, si può già fare affidamento sui sistemi di automazione per sgravare uomini e donne da molte incombenze. Per esempio strumenti come Zapier (https://zapier.com) e IFTTT (https://ifttt.com) consentono di automatizzare molti compiti (task) integrando servizi diversi. Per esempio è possibile far dialogare Gmail con Dropbox per fare in modo che ogni volta che il capo ci manda un allegato venga automaticamente salvato in una cartella predeterminata. Altro esempio: si possono integrare gli impegni di Slack e Google Calendar. In attesa di avere dei chatbot che parlano con colleghi e capi al posto nostro, è già un piccolo aiuto.
Bibliografia
Bailey, B. P., & Konstan, J. A. (2006). On the need for attention-aware systems: Measuring effects of interruption on task performance, error rate, and affective state. Computers in Human Behavior, 22(4), 685-708.
Fasoli, M. (2019). Il benessere digitale. Il Mulino.
Folkman, S., & Lazarus, R. S. (1984). Stress, appraisal, and coping (pp. 150-153). New York: Springer Publishing Company.
Gorlick, A. (2009). Media multitaskers pay mental price, Stanford study shows. Standford Report.
Kirkcaldy, B. D., & Martin, T. (2000). Job stress and satisfaction among nurses: individual differences. Stress Medicine, 16(2), 77-89.
Ophir, E., Nass, C., & Wagner, A. D. (2009). Cognitive control in media multitaskers. Proceedings of the National Academy of Sciences, 106(37), 15583-15587. Radicati, S., & Levenstein, J. (2015). Email Statistics Report, 2015-2019. Radicati Group, Palo Alto, CA, USA, Tech. Rep.
Tratto da "Personale e Lavoro - Rivista di cultura delle Risorse Umane" n. 621 Aprile 2020 - Uno dei servizi dell'Abbonamento ISPER