
Neurodivergenza nei team: una leva per l’innovazione e la collaborazione
Il tema della neurodivergenza sta assumendo crescente rilevanza nelle riflessioni HR, ponendosi come leva strategica per ripensare la cultura organizzativa in chiave inclusiva e orientata all’innovazione.
In uno dei recenti incontri promossi da ISPER, si è aperto un confronto su come valorizzare la neurodivergenza nei contesti di lavoro, con l’obiettivo di ampliare la consapevolezza organizzativa rispetto alla diversità cognitiva.
Secondo le stime più accreditate, una persona su cinque è neurodivergente.
Capire cosa questo significhi davvero, oltre le etichette, è il primo passo per creare ambienti di lavoro capaci di accogliere e far fiorire tutte le intelligenze.
Neurodiversità e neurodivergenza: comprendere il contesto
Per molto tempo, condizioni come il disturbo dello spettro autistico, i disturbi specifici dell’apprendimento o l’ADHD sono state lette esclusivamente attraverso la lente del deficit.
Questo approccio binario - che oppone la “normalità” alla “disfunzione” - ha prodotto standard rigidi e una visione limitata del potenziale umano.
Il concetto di neurodiversità, introdotto alla fine degli anni ’90 dalla sociologa autistica Judy Singer, propone invece una prospettiva più ampia, simile a quella della biodiversità: ogni cervello funziona in modo unico e questa variabilità non solo è naturale, ma è auspicabile.
Il termine neurodivergenza, invece, indica condizioni specifiche che divergono dallo standard tipico di funzionamento cognitivo, come ad esempio la dislessia o l’ADHD.
Ma si tratta di differenze, non di malattie né di disabilità: sono modi alternativi di elaborare le informazioni, con potenziali punti di forza specifici.
Un altro modo di pensare: le risorse nascoste della diversità cognitiva
Le neuroscienze confermano che il cervello neurodivergente si attiva in modo diverso rispetto a quello neurotipico.
Non è né migliore né peggiore: è semplicemente diverso.
Questo non è sinonimo di minor valore, ma di funzionamento alternativo.
Le differenze cognitive possono tradursi in competenze distintive come: pensiero laterale, creatività, visione d’insieme, attenzione ai dettagli, capacità di visual thinking, problem solving, empatia e resilienza.
Un esempio emblematico è quello delle persone dislessiche.
Studi di neuroimaging mostrano che, a fronte di una difficoltà nella decodifica del testo, il cervello attiva aree cerebrali alternative, spesso anteriori, sviluppando altre competenze, in particolare visive e verbali.
Queste competenze, spesso invisibili nei modelli valutativi tradizionali, sono invece cruciali per i team che lavorano in contesti ad alta complessità e necessitano di soluzioni innovative.
Tecnologie inclusive e strumenti di ottimizzazione
Molte tecnologie oggi disponibili - spesso già presenti nei pacchetti aziendali standard - offrono strumenti utili per favorire l’inclusione neurodivergente.
Si pensi, ad esempio, alla possibilità di utilizzare lettura e scrittura audio, testi immersivi o formati visivi più accessibili.
Il punto centrale non è adottare “strumenti speciali”, ma creare un ambiente in cui le differenze siano riconosciute e supportate senza necessità di esporsi.
Per una persona dislessica, ad esempio, la possibilità di ascoltare un testo anziché leggerlo, o scrivere tramite audio, non è solo uno strumento compensativo: è una modalità di ottimizzazione.
E proprio perché queste tecnologie sono ormai diffuse e “normali”, il loro uso non stigmatizza, ma include.
In quest’ottica, gli strumenti diventano ottimizzatori di potenziale, accessibili a tutti e non stigmatizzanti.
L’adozione diffusa di soluzioni inclusive giova a tutta l’azienda. È il principio del design universale, che rende l’ambiente accessibile a tutti e tutte, proprio come una rampa serve tanto alla carrozzina quanto al passeggino o al carrello.


Oltre la disclosure: ambienti inclusivi per tutti
Un aspetto particolarmente delicato riguarda il tema della disclosure: la scelta da parte delle persone neurodivergenti di comunicare la propria condizione.
Ad oggi, meno del 30% delle persone neurodivergenti si dichiara nel contesto lavorativo, anche in Paesi dove la normativa è avanzata.
Il rischio di stigma, discriminazione o esclusione è ancora alto.
Per questo, è necessario ripensare gli ambienti e i processi con un nuovo approccio: progettare spazi di lavoro, comunicazione e collaborazione in ottica “brain-friendly”, ovvero adatti alla variabilità cognitiva.
Un approccio che parte dalla neurodivergenza, ma genera benefici per tutti.
Un esempio concreto: la comunicazione inclusiva
Un’azione semplice ma efficace è la progettazione accessibile dei contenuti aziendali: report, documentazione interna, comunicazione esterna.
Migliorare la leggibilità (font, interlinea, struttura visiva) e la comprensibilità (lessico chiaro, paragrafi brevi, linguaggio semplice) riduce il carico cognitivo non solo per chi ha difficoltà di lettura, ma per chiunque lavori in contesti complessi, internazionali o multitasking.
Progettare in chiave inclusiva significa rispondere a esigenze specifiche creando valore per tutti.
Questo approccio abbatte il bisogno di dichiarazione, elimina la stigmatizzazione e rende l’organizzazione realmente accessibile.
Un nuovo mindset per le aziende
La sfida è superare la frammentazione e le iniziative spot. Occorre costruire percorsi trasversali, capaci di includere la complessità delle neurodivergenze e la loro coesistenza.
Ma soprattutto, è necessario un cambiamento culturale: dal modello neurotipico dominante a un nuovo mindset che riconosca nella variabilità cognitiva non un’eccezione, ma la norma.
Parlare di neurodivergenza significa, in ultima analisi, ripensare il benessere cognitivo in azienda, in una prospettiva di universal design applicato non solo agli spazi fisici, ma ai processi, alle relazioni, alla cultura.
Solo così la neurodiversità può diventare un reale vantaggio competitivo.
Inclusione e fidelizzazione: il valore per l’organizzazione
Valorizzare le diversità cognitive non è solo una questione etica o sociale.
È anche una scelta strategica: crea engagement, fidelizzazione, riduce il turnover, migliora le performance.
Offrire strumenti adeguati, progettare spazi accessibili, formare manager e team alla collaborazione inclusiva significa creare un ambiente in cui tutti possano contribuire con le proprie capacità.
Non a caso, le politiche di diversity & inclusion si stanno sempre più connettendo alle strategie di welfare e di benessere organizzativo.
Un ambiente inclusivo è anche un ambiente più produttivo e sostenibile.
L'articolo è liberamente tratto dagli interventi di Elio Benvenuti e Sara Bocchicchio, con il coordinamento di Rossella Cardinale, in occasione del Web Focus per la Community HR organizzato da ISPER il 26 marzo 2025 dal titolo "Dalla gestione delle neurodivergenze alla creazione di team neurodiversi".
Articolo scritto per "ISPER HR Review" - n° 252 del 4 Giugno 2025 - da Centro Studi ISPER
Immagine di apertura: elaborazione su Foto generata da ChatGPT
Frecce: elaborazione su foto di Veronica Bosley da Pixabay