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Amministrazione Personale

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Personale Internazionale

Luigi Rodella

N° 251

28 maggio 2025

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Nuovo regime agevolativo per i lavoratori impatriati: la residenza minima all’estero è variabile

Al fine di favorire il rientro in Italia dei lavoratori emigrati all'estero, il nostro Paese in questi anni ha concesso degli incentivi di natura fiscale per sostenerne il rimpatrio.

L’ultima normativa contenuta nell’articolo 5 del decreto legislativo 27 dicembre 2023, n. 209 (decreto internazionalizzazione), ha reso più difficile il rientro in Italia dei lavoratori operanti all’estero, aumentandone i requisiti temporali di permanenza all’estero.

Recentemente l’Agenzia delle entrate, nella risposta contenuta nell’interpello 41/2025, ha cercato di chiarire l’articolo 5 del citato decreto legislativo, rispondendo ad un quesito posto da un lavoratore, operante in Francia, che intende rientrare in Italia.

Il quesito si poneva in questi termini:

Il lavoratore rientrante in Italia, evidenzia che:

  • è cittadino italiano residente in Francia.
  • negli anni in cui era residente in Italia (dal 2015 al 2018) ha prestato attività di lavoro dipendente presso due diversi datori di lavoro;
  • nel 2018 si è trasferito in Francia per lavorare presso una società appartenente allo stesso gruppo di cui fa parte la società per cui ha lavorato in Italia nel 2015 e nel 2016; è sua intenzione rientrare in Italia a gennaio 2025 per lavorare presso la società per la quale aveva lavorato in Italia nel 2015 e nel 2016.

Ciò posto, il lavoratore chiede se possa fruire, dal periodo d'imposta 2025 e per i quattro anni successivi, del "nuovo regime agevolativo a favore dei lavoratori impatriati" di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 27 dicembre 2023, n. 209, essendo stato all'estero per sei anni e, in particolare, se la circostanza che al rientro in Italia lavorerà per il datore di lavoro per il quale era stato impiegato in Italia dal 2015 al 2016, quindi non immediatamente prima del trasferimento all'estero, determini, invece, il prolungamento del periodo minimo di pregressa permanenza all'estero, ai fini dell'applicazione del predetto regime.

L’Agenzia delle entrate, rispondendo all’interpello, nel preambolo chiarisce l’articolo 5 e la sua portata, per poi successivamente fornire al lavoratore la propria interpretazione.

ESAME DELL’ARTICOLO 5

Comma 1

Il comma 1 dispone: "I redditi di lavoro dipendente, i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, i redditi di lavoro autonomo derivanti dall'esercizio di arti e professioni prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell'articolo 2 del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, entro il limite annuo di 600.000 euro concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 50 per cento del loro ammontare al ricorrere delle seguenti condizioni:

  1. i lavoratori si impegnano a risiedere fiscalmente in Italia per un periodo di almeno quattro anni (la precedente normativa prevedeva 2 anni)
  2. i lavoratori non sono stati fiscalmente residenti in Italia nei tre periodi d'imposta precedenti il loro trasferimento (la precedente normativa prevedeva due anni).
    Se il lavoratore presta l'attività lavorativa nel territorio dello Stato in favore dello stesso soggetto presso il quale è stato impiegato all'estero prima del trasferimento oppure in favore di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo, il requisito minimo di permanenza all'estero è di:
  1. sei periodi d'imposta, se il lavoratore non è stato in precedenza impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto oppure di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo;
  2. sette periodi d'imposta, se il lavoratore, prima del suo trasferimento all'estero, è stato impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto oppure di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo;
  1. l'attività lavorativa è prestata per la maggior parte del periodo d'imposta nel territorio dello Stato;
  2. i lavoratori sono in possesso dei requisiti di elevata qualificazione o specializzazione come definiti dal decreto legislativo 28 giugno 2012, n. 108 e dal decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206. (Questa norma è peggiorativa in quanto il precedente articolo 16 comma 1 del D.lgs. 147/2015, modificato dall'articolo 5 del D.L. n. 34 del 30/4/2019 convertito legge 58/2019, prevedeva i benefici per tutti i lavoratori a prescindere dai requisiti di elevata qualificazione e specializzazione).

Comma 2

Il comma 2 dispone: Ai fini del comma 1, lettera b), si considerano appartenenti allo stesso gruppo i soggetti tra i quali sussiste un rapporto di controllo diretto o indiretto ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, numero 1), del codice civile ovvero che, ai sensi della stessa norma, sono sottoposti al comune controllo diretto o indiretto da parte di un altro soggetto.

L’Agenzia precisa:

La sussistenza di tale condizione deve essere valutata nel periodo d'imposta in cui il lavoratore trasferisce la residenza fiscale in Italia.

In altri termini, il periodo minimo di pregressa permanenza all'estero viene innalzato da tre periodi d'imposta a:

  1. sei periodi d'imposta, se il lavoratore, prima del trasferimento all'estero, non è stato in precedenza impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto per il quale ha lavorato all'estero oppure di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo;
  2. sette periodi d'imposta, se il lavoratore, prima del suo trasferimento all'estero, è stato in precedenza impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto per il quale ha lavorato all'estero oppure di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo.

Ad esempio, il lavoratore impiegato all'estero presso la Società Alfa che, al trasferimento in Italia, continua a lavorare per tale Società (o per una società del medesimo gruppo) potrà applicare il nuovo regime, nel rispetto di ogni altra condizione, se è stato residente all'estero per un periodo minimo di sei anni.

Inoltre, se il lavoratore già lavorava per la Società Alfa (o per una società del medesimo gruppo) prima del trasferimento all'estero potrà applicare il nuovo regime, nel rispetto di ogni altra condizione, se è stato residente all'estero per un periodo minimo di sette anni.

Si ritiene, al riguardo, che, ai fini della determinazione del periodo minimo di residenza all'estero, occorra valutare se, al rientro in Italia, il contribuente continuerà a lavorare per lo stesso datore di lavoro (medesima società o altra società riconducibile al medesimo gruppo come definito ai sensi dell'articolo 2359, comma 1, n. 1) e 2), del codice civile) per il quale ha lavorato all'estero durante il periodo d'imposta precedente il trasferimento della residenza in Italia o, comunque, fino alla data in cui avviene tale trasferimento.

Pertanto, ad esempio, per il contribuente che rientra in Italia nel 2024 per svolgere l'attività lavorativa in favore dello stesso datore di lavoro per il quale ha lavorato all'estero fino al 2020, avendo successivamente interrotto il rapporto di lavoro con tale soggetto, il periodo minimo di permanenza all'estero è di tre anni.

Ciò in quanto non c'è coincidenza tra il datore di lavoro (medesima società o altra società riconducibile al medesimo gruppo come definito ai sensi dell'articolo 2359, comma 1, n. 1) e 2), del codice civile) per il quale il lavoratore è stato impiegato all'estero nel periodo d'imposta precedente il rientro in Italia e quello presso il quale lavorerà dopo il trasferimento in Italia.

Qualora, inoltre, vi sia coincidenza tra il datore di lavoro (medesima società/ gruppo) per il quale il lavoratore è stato impiegato all'estero prima del rientro in Italia e quello presso il quale lavorerà dopo il trasferimento in Italia, al fine di stabilire il periodo minimo di pregressa permanenza all'estero che, da tre, aumenta a sei o sette anni, a seconda che si tratti o meno del medesimo soggetto (datore/gruppo) presso cui era svolta l'attività lavorativa in Italia prima del trasferimento all'estero, occorre verificare se continuerà a lavorare per lo stesso datore di lavoro per il quale ha lavorato all'estero e se questo coincida con il datore di lavoro presso il quale ha lavorato durante il periodo d'imposta precedente il trasferimento all'estero o, comunque, fino alla data in cui avviene tale trasferimento.

In altri termini, ad esempio, per il contribuente che rientra in Italia nel 2024 per svolgere l'attività lavorativa in favore dello stesso datore di lavoro per il quale ha lavorato all'estero, il periodo minimo di permanenza all'estero è di sei anni se non c'è coincidenza tra il datore di lavoro per il quale il lavoratore è stato impiegato all'estero nel periodo d'imposta precedente o, comunque, fino alla data del rientro in Italia e quello presso il quale lavorerà dopo il trasferimento in Italia.

Parere dell’Agenzia:

Sulla base di tali premesse l’Agenzia delle entrate conclude:

"Ciò posto, nel caso in esame, il lavoratore dichiara che al rientro in Italia nel 2025 lavorerà per la stessa società per la quale aveva già lavorato in Italia fino al 2016 quindi non immediatamente prima del trasferimento all'estero.

Pertanto, in applicazione delle disposizioni e dei principi sopra illustrati, nel caso di specie, il periodo minimo di residenza all'estero, ai fini dell'applicazione del nuovo regime è di sei periodi di imposta.
Ciò in quanto, in base a quanto affermato dal lavoratore, non c'è coincidenza tra il datore di lavoro (società/gruppo) per il quale il lavoratore è stato impiegato in Italia nel periodo immediatamente precedente il trasferimento all'estero e quello presso il quale inizierà a lavorare dopo il trasferimento in Italia."


Articolo scritto per "ISPER HR Review" - n° 251 del 28 Maggio 2025 - da Luigi Rodella

Immagine di apertura: elaborazione su Foto generata con ChatGPT
Frecce: elaborazione su foto di Veronica Bosley da Pixabay