
Conciliazione sindacale e valutazione della C.D. “Sede Protetta”
(commento a Cass. 8 aprile 2025, n. 9286)
La fase di merito e i fatti di causa
La Corte d'Appello di Bari ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa sede di rigetto delle domande proposte da un lavoratore contro la società di cui era stato dipendente dal 2019 con qualifica di operaio gommista - livello D2 CCNL Dipendenti dell'Industria Metalmeccanica Privata e dell'Installazione di Impianti, collegate all'impugnativa del licenziamento per giusta causa irrogatogli con lettera del 7.7.2021.
In particolare, la Corte territoriale ha giudicato dirimente la circostanza della sottoscrizione da parte del lavoratore di verbale di conciliazione nella stessa data del licenziamento, sottoscritto dal ricorrente e dalla società datrice di lavoro, in presenza di rappresentante sindacale di Bari (cui il lavoratore non era iscritto), presso la sede dell'azienda stessa, ritenendo provata l'effettività dell'assistenza prestata dal rappresentante sindacale, e che la sottoscrizione presso la sede della società di per sé non determinasse l'inidoneità dell'assistenza del rappresentante sindacale.
Per la cassazione della predetta sentenza ha ricorso il lavoratore con 2 motivi, cui resiste con controricorso parte datoriale.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, parte ricorrente censura la sentenza impugnata (art. 360, n. 3, c.p.c.) per violazione o falsa applicazione dell'art. 411, comma 3, c.p.c., in relazione all' art. 2113, comma 4, c.c.; sostiene l'impugnabilità nel caso concreto del verbale di conciliazione di cui all'art. 411, comma 3, c.p.c. per la rilevanza della sede sindacale in cui il verbale di conciliazione deve essere stipulato, nonché della riferibilità al lavoratore dei rappresentanti sindacali stipulanti, ai fini della effettività dell'assistenza prestata.
Con il secondo motivo viene dedotta (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione o falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 152/1997 e del decreto del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale del 30.10.2007, con riguardo alla rilevanza delle comunicazioni effettuate dal datore di lavoro ai Centri per l'Impiego a mezzo del "Modello Unificato-Lav", al valore probatorio di quanto ivi attestato, all'opponibilità delle stesse al datore di lavoro da cui promanano.
Il primo motivo è stato ritenuto fondato, con conseguente assorbimento del secondo.
La norma di cui all'art. 2113, ultimo comma, c.c., conferisce caratteristiche di inoppugnabilità alla "conciliazione intervenuta ai sensi degli articoli 185, 410, 411, 412 ter e 412 quater del codice di procedura civile".
La Suprema Corte ha in proposito precisato (da ultimo, v. Cass, n 25796/2023) che, in tema di conciliazione in sede sindacale, ai fini dell'inoppugnabilità delle rinunce e delle transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro previsti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi, è necessario che l'accordo sia stato raggiunto con un'assistenza sindacale effettiva, tale da porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura.
Infatti, costituisce principio consolidato in materia quello del decisivo rilievo dell'effettività dell'assistenza sindacale, nel senso che le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro previsti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione conclusi in sede sindacale, non sono impugnabili, a condizione che l'assistenza prestata dai rappresentanti sindacali sia stata effettiva, così da porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura, nonché, nel caso di transazione, a condizione che dall'atto stesso si evincano la questione controversa oggetto della lite e le reciproche concessioni in cui si risolve il contratto transattivo ai sensi dell'art. 1965 c. c. (cfr. Cass. n. 24024/2013; v. anche Cass. n. 13217/2008, sempre sulla necessità di effettiva assistenza del lavoratore da parte di esponenti dell'organizzazione sindacale indicati dal medesimo, dovendosi valutare, a tal fine, se, in relazione alle concrete modalità di espletamento della conciliazione, sia stata correttamente attuata la funzione di supporto che la legge assegna al sindacato nella fattispecie conciliativa; Cass. n. 12858/2003).
Poiché la sottoscrizione dell'accordo presso la sede di un sindacato non costituisce un requisito formale, ma funzionale, in quanto volto ad assicurare che la volontà del lavoratore sia espressa in modo genuino e non coartato, la stipula in una sede diversa non produce di per sé effetto invalidante sulla transazione, se il datore di lavoro prova che il dipendente ha avuto, grazie all'effettiva assistenza sindacale, piena consapevolezza delle dichiarazioni negoziali sottoscritte (Cass n. 1975/2024).


In questo perimetro, essendo l'effettività dell'assistenza sindacale la caratteristica centrale dell'accertamento della genuinità della volontà del lavoratore ai fini dell'inoppugnabilità della conciliazione, la sede di stipula e di sottoscrizione dell'accordo non è un requisito neutro (così come l'affiliazione o meno al sindacato di iscrizione, o comunque di fiducia e scelta del lavoratore, del rappresentante sindacale che fornisca assistenza nella procedura), ma concorre alla funzionalità delle forme prescritte in relazione alla suddetta effettività.
Tanto premesso, il Collegio giudicante ha inteso dare continuità ai principi affermati dalla stessa Corte (Cass. n. 10065/2024), secondo cui la conciliazione in sede sindacale non può essere validamente conclusa presso la sede aziendale, non potendo quest'ultima essere annoverata tra le sedi protette, mancando del carattere di neutralità indispensabile a garantire, unitamente all'assistenza prestata dal rappresentante sindacale, la libera determinazione della volontà del lavoratore.
Ciò in quanto, in materia il legislatore ha ritenuto necessaria una forma peculiare di protezione del lavoratore, realizzata attraverso la previsione dell'invalidità delle rinunzie e transazioni aventi ad oggetto diritti inderogabili e l'introduzione di un termine di decadenza per l'impugnativa, così da riservare al lavoratore la possibilità di riflettere sulla convenienza dell'atto compiuto e di ricevere consigli al riguardo; tale forma di protezione giuridica non è necessaria (art. 2113, ultimo comma, c.c.) in presenza di adeguate garanzie costituite dall'intervento di organi pubblici qualificati, operanti in sedi cd. protette, quali la sede giudiziale (artt. 185 e 420 c.p.c.), le Commissioni di conciliazione presso la Direzione Provinciale del Lavoro, ora Ispettorato Territoriale del Lavoro (art. 410 e 411, commi 1 e 2, comma c.p.c.), le sedi sindacali (art. 411, comma 3, c.p.c.), oltre ai collegi di conciliazione e arbitrato (art. 412 - ter e quater, c.p.c.).
Al contrario, modalità quali quelle seguite nel caso in esame (sottoscrizione dal datore di lavoro e dal lavoratore, seppure alla presenza di un rappresentante sindacale, presso i locali della società) non soddisfano i requisiti normativamente previsti ai fini della validità delle rinunce e transazioni in base alle disposizioni richiamate, dato che la protezione del lavoratore non è affidata unicamente all'assistenza del rappresentante sindacale, ma anche al luogo in cui la conciliazione avviene, quali concomitanti accorgimenti necessari al fine di garantire la libera determinazione del lavoratore nella rinuncia a diritti previsti da disposizioni inderogabili e l'assenza di condizionamenti.
Di conseguenza, la sentenza impugnata, non conforme ai principi di diritto sopra riepilogati, in accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, è stata cassata, con rinvio alla Corte d'Appello di Bari, in diversa composizione, per provvedere all'esame nel merito della fattispecie concreta tenuto conto della valida impugnazione, nella specie, del verbale di conciliazione inter partes.
Articolo scritto per "ISPER HR Review" - n° 250 del 7 Maggio 2025 - da Pasquale Dui e Luigi Antonio Beccaria
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