
L'intelligenza Artigianale ai tempi dell'Intelligenza Artificiale
Darwin sosteneva che non è il più forte della specie che sopravvive, né il più intelligente, ma quello più reattivo al cambiamento.
La velocità con cui il mondo sta evolvendo impone oggi anche alle organizzazioni una maggiore capacità di adattamento; per restare competitive, le aziende sono chiamate a ripensare i propri strumenti e il proprio approccio nei confronti del business, qualunque esso sia.
Negli ultimi anni, l’Artificial Intelligence (AI) si è rivelata un alleato potente di questa trasformazione, con un valore di mercato che potrebbe superare i 700 miliardi di dollari entro il 20271, offrendo benefici tangibili in termini di miglioramento della produttività, riduzione dei costi operativi e una maggiore agilità decisionale basata su dati oggettivi.
Nel cominciare ad approcciarla spesso prevale un sentimento di paura, associabile quasi a un senso di inferiorità e disagio di fronte a un qualcosa di così potente e - nella sua essenza - ignoto.
Pervasivamente, l’AI sta guadagnando sempre più terreno: l’iniziale scetticismo sta lasciando spazio a una curiosità dinamica, che apre la strada a prospettive inedite e approcci innovativi.
Ciò funziona se proviamo a concepire questo strumento come un copilota di rally: non è lui che guida, ma è colui che vede chiaramente e che ci indica la direzione.
E lo fa in tempi brevissimi, processando centinaia di migliaia di dati in una frazione di secondo.
Non solo: nel momento in cui l’uomo è condizionato dai propri bias, l’AI interviene, fornendo un’oggettività che solo l’analisi del dato riesce a produrre.
Ecco allora il copilota, che è in grado di aggiustare il tiro quando è necessario.
E ancora, grazie all’impiego di algoritmi adattivi e opportunamente “addestrati” all’interno dei Learning Management System più avanzati, è possibile analizzare i progressi e personalizzare i percorsi formativi individuali, consentendo alle aziende di colmare più rapidamente i gap di competenze e ingaggiando le risorse sulla base delle skills più richieste.
L’analisi semantica avanzata dell’AI (sentiment analysis), pertanto, sarà in grado di offrirci una comprensione più profonda delle dinamiche aziendali, rendendo possibile l’individuazione di problemi latenti e suggerendoci modalità di risoluzione proattiva delle criticità mantenendo alto il livello di benessere.
In questo modo, l'AI si pone come un collaboratore prezioso nei nostri confronti, il radar che ci supporta nella navigazione in un ambiente in continua evoluzione hyper-VUCA.
Nel libro The Future of Employment: How Susceptible Are Jobs to Computerisation? di Frey e Osborne2 viene analizzato l’impatto della tecnologia sull’occupazione, individuando le professioni più inclini all’automatizzazione e offrendo al lettore una prospettiva su come l’AI possa trasformare il mercato del lavoro, delineando possibili strategie di adattamento.
“La tecnologia non distrugge il lavoro, ma ne trasforma continuamente la natura”. Parafrasando, quindi, sarà fondamentale comprendere come l’innovazione digitale ri-plasmerà le nostre attività, i nostri ruoli così come siamo abituati a concepirli.
È evidente come l’AI si qualifichi quale partner imprescindibile in attività tradizionalmente assolte dall’uomo, con sensibili vantaggi.
L'automazione di compiti operativi e ripetitivi, quindi, ci consentirà di guadagnare tempo (il “tempo giusto”, come lo chiamavano gli antichi greci, kairos) da dedicare ad attività più creative e ad alto valore aggiunto, essenziali per ispirare e guidare i processi di cambiamento.
Ci stiamo dirigendo verso un domani in cui la tecnologia sarà ancora più presente nelle nostre vite, semplificandole.
Sempre più importante, pertanto, sarà riscoprire il valore del tempo libero come risorsa e riconoscere che il nostro cervello ha bisogno di pause.
Concederci tempo, il tempo “vuoto” descritto da Kahneman3, è, in definitiva, il regalo più prezioso che possiamo farci.
AI, dunque, come alleato ideale nella gestione della complessità e come propulsore del cambiamento.
Un elemento che però da solo non basta.
Perché questa nuova rivoluzione si compia, credo sia necessario ripensare le modalità con cui generiamo valore, consentendo un cambio di paradigma.
Ed è proprio ciò che ha fatto illimity sin dalla sua nascita: abbiamo scelto di fare del digitale non solo un elemento fondante e distintivo del modello di business, ma anche il principale driver di competitività, con l’obiettivo di integrare tecnologia e capitale umano in un ecosistema che si evolve costantemente.
Penso che l'AI sia lontana dall'essere un sostituto, ma ci offra l'opportunità di ampliare il nostro know-how e di porre maggiore enfasi sulla dimensione umana del lavoro.
Ciò significa che, in un futuro prossimo, saremo chiamati a sviluppare e affinare abilità legate all'intelligenza emotiva, relazionale e sentimentale.
In quest’ottica, coltivare una sensibilità tecnologica sarà fondamentale, ma parallelamente crescerà l'importanza di possedere competenze in psicologia, sociologia, antropologia e comunicazione efficace.
Dovremo spingerci sempre di più verso un modello c.d. multi-skilled-based, capace di interpretare una plasticità simile a quella del nostro cervello nel conformarsi e riconformarsi di continuo agli stimoli, alle necessità e ai cambiamenti esterni.
Un ecosistema skill oriented, infatti, è in grado di captare le ultime tendenze, quelle di un mondo lavorativo ormai “liquido” (dove la visione tradizionale, limitata ai ristretti confini di una job description, evidenzia la sua età e i suoi limiti), e di creare un modello più efficace.
Lo scenario del prossimo presente sarà quello in cui le skill, più che il ruolo e la seniority, sono il vero biglietto da visita, e le organizzazioni virtuose saranno proprio quelle in grado di valorizzare le proprie persone e le loro capacità.
Stiamo parlando di più di un semplice strumento: una logica secondo la quale formare non significa solo trasmettere conoscenze, ma dare alle persone l’occasione di essere protagoniste della propria crescita.
Ci troviamo di fronte a un cambiamento nel cambiamento: mentre il mondo intorno a noi si modifica, lo fa anche l’AI.
In questo scenario credo sia fondamentale cavalcare l’onda della trasformazione ed esserne parte attiva, piuttosto che lasciarsi travolgere.


Illimity ha reso questo approccio il suo cavallo di battaglia, promuovendo nel 2023 la costituzione di una vera e propria task force dedicata allo studio dell’AI, aperta a colleghi di tutte le divisioni e con profili diversificati.
Abbiamo tutti lavorato con sinergia e costanza per sviluppare degli use case, incrociando idee e progetti con l’obiettivo di indagare le potenzialità dei tool e le possibili evoluzioni.
Naturalmente, tutto questo non è privo di sforzo.
Mantenere uno sguardo vigile, sempre, faticosamente proiettato in avanti, anzi, ci costa - costa in termini di tempo, di risorse, con la consapevolezza di un ritorno dell’investimento non garantito.
Se sceglieremo di stare da questa parte, però, potremo sfruttare pienamente uno dei grandi privilegi connessi all’impiego dell’AI, quello di farne un “terzo occhio” in grado non solo di rispondere alle esigenze del presente, ma anche di guardare al futuro e anticipare i trend del domani. Questo vorrà dire, per le organizzazioni, acquisire un vantaggio strategico fondamentale, prevedendo l’evoluzione del mercato del lavoro e offrendo alle persone gli strumenti per rimanere competitive.
Affinché la fatica diventi conquista, penso sia fondamentale alimentare e diffondere attivamente una cultura e un mindset digitale a tutti i livelli organizzativi.
Come?
Innanzitutto imparando a disimparare.
Con questo brillante concetto che sposo, il sociologo A.Toffler si riferisce alla capacità di superare gli ostacoli mentali che ci impediscono di adattarci a nuove prospettive, accettando informazioni che apparentemente sembrano contrastare le conoscenze acquisite in precedenza.
Seppur sembri un ossimoro, l’abilità di imparare a disimparare è fondamentale in contesti hyper-loop come quello tecnologico e professionale.
In secondo luogo, credo sia essenziale aiutare le persone a parlarsi attraverso lo stesso linguaggio offrendo occasioni di (in)formazione e sensibilizzazione sul tema.
Oltre alla task force, per esempio, abbiamo ideato una newsletter periodica chiamata “illimityAI” - che diffonde contenuti, interviste e spunti tematici - e cerchiamo di stimolare il pensiero critico e indipendente condividendo case history presenti sul mercato, oltre a raccogliere survey interne sulle aspettative individuali rispetto alle sue applicazioni pratiche.
Quali sono, quindi, le parole chiave che mi vengono in mente rispetto al concetto di trasformazione digitale?
Almeno quattro: approccio data driven, re/upskilling, futuro e consapevolezza.
Quest’ultima, senza dubbio, la più importante.
Dare in pasto a una macchina una grande quantità di dati, infatti, solleva inevitabilmente molteplici domande su come quei dati sensibili vengano processati e dove finiscano.
Se non ci preoccuperemo di controllare adeguatamente gli algoritmi utilizzati, i danni prodotti potrebbero essere molti di più dei benefici attesi.
Parliamo di fughe di dati e utilizzi impropri degli stessi o, ancora, del rischio che le macchine agiscano riproducendo e alimentando gli stessi bias che dovrebbero eliminare.
La sfida a cui questo potentissimo strumento ci mette davanti è davvero impegnativa: penso sia necessario riconsiderare la nostra etica a fronte del potenziale impatto sulle persone.
La partita richiederà un esercizio di introspezione profondo, perché giocare sporco e ottenere tutto in modo più semplice e veloce è una tentazione che dovremo vincere.
“La scienza”, scriveva Henri Poincaré, matematico francese, “è fatta di dati come una casa è fatta di pietre. Ma un ammasso di dati non è scienza più di quanto un mucchio di pietre sia una vera casa”4.
L’eccesso di dati, dunque, di per sé non sempre porta a decisioni migliori: senza una guida strategica e un’interpretazione consapevole, anzi, l’AI rischia di amplificare errori invece di risolverli.
Automazione e sensibilità umana, quindi, vanno bilanciate secondo una strategia chiara e strutturata, perché la tecnologia da sola non basta.
Il sodalizio uomo-tecnologie sarebbe a mio avviso da intendersi come uno scambio e un apporto reciproco di risorse: la macchina porta efficienza, rapidità, precisione, mentre la mente umana è essenziale per leggere e interpretare i contesti e prendere decisioni strategiche.
Ecco, dunque, la vera sfida per le organizzazioni di oggi: la capacità di integrare il digitale mantenendo al centro il cosiddetto tocco umano.
L’AI deve servire le persone, non sostituirle.
Il nostro cervello resta la macchina più affascinante: questo perché - come afferma il Professor M. Massimini - possiede la capacità di apprendere in modo contestuale: quando impara qualcosa di nuovo, lo integra con ciò che già conosce, un processo che le macchine, anche le più avanzate, non sono in grado di replicare.
Diversamente da queste ultime, infatti, il cervello non si limita a tracciare correlazioni grezze tra i dati, ma è in grado di formulare spiegazioni, generando lunghe catene di pensiero.
Un concetto davvero bellissimo che a mio avviso riflette tutto questo è quello di intelligenza artigianale: mi ricorda qualcosa di plastico e in continuo divenire, che si estende lungo la dimensione del tempo e dello spazio.
Parliamo di un tipo di intelligenza che l’uomo ha affinato in decine di migliaia di anni, nella solitudine ma anche nella relazione, adattandola e migliorandola di volta in volta in risposta alle intelligenze altrui, tra loro simili ma anche percettibilmente diverse l'una dall'altra.
È proprio questo senso di artigianalità che secondo me farà sì che la nostra intelligenza non potrà mai essere del tutto sostituita dall’artificialità, ma accresciuta e amplificata.
In questo senso, adottare strumenti AI-driven non significa metterci in stand-by, a riposo - è un segno, semmai, che dobbiamo rimboccarci le maniche e fare di più, molto di più.
Se le macchine riescono a gestire e processare quasi tutto, noi dobbiamo mettere le mani su quel “quasi”, fare ancora meglio e dargli senso, dargli umanità.
Il nodo della matassa spetta a noi, e dovremo essere sempre più bravi perché la partita si gioca sulle attività ad alto valore aggiunto: saranno intelligenza emotiva, relazionale e sentimenti i futuri attori protagonisti nella lettura e interpretazione dei contesti complessi.
Ci muoviamo in scenari articolati e in continuo mutamento: non credo che il mio pensiero sia più giusto di altri perché non esiste una prospettiva più giusta da seguire, né un’unica strada percorribile.
Ben venga, anzi, la pluralità, perché a mio avviso la complessità non è qualcosa che va dominato ma un mosaico da interpretare e co-costruire, dove ciascuno di noi può contribuire con il suo unico e prezioso pezzetto.
Il mio augurio è quello di mantenere un approccio che guarda sempre oltre, senza mai fermarsi: dobbiamo continuare a dimostrare di essere “illimitati” anche nel mindset, adottando una linea di pensiero out of the box e guardare oltre le opportunità di breve periodo, senza commettere l’errore di sentirci arrivati.
Il paradigma andrà man mano ad invertirsi, passando da come noi diamo forma all’AI a come l’AI darà a noi la forma.
In questo senso, dunque, l’AI andrebbe inteso come un acceleratore di opportunità, non un freddo esecutore di processi.
Credo che le aziende che sapranno adottare questo approccio consapevole saranno quelle che riusciranno a guidare il futuro, dimostrando che tecnologie e capitale umano possono crescere insieme.
Tratto da "Personale e Lavoro" Rivista di cultura delle Risorse Umane - n° 675 - Marzo 2025 - Uno dei servizi dell'"Abbonamento ISPER
Immagine di apertura: elaborazione su Foto generata da ChatGPT
Frecce: elaborazione su foto di Veronica Bosley da Pixabay
Note
- Bain & Company (2024). Market for AI products and services could reach up to $990 billion by 2027, finds Bain & Company’s 5th annual Global Technology Report, https://www.bain.com/about/media-center/press-releases/2024
- Frey, C., & Osborne, M. (2016). The future of employment: how susceptible are jobs to computerisation? Technological Forecasting and Social Change, 114, 254-280
- Kahnneman, D. Pensieri lenti e veloci (2011)
- Poincaré, H. (1902), La scienza e l’ipotesi