Area
Diritto del Lavoro

Topic
Privacy

Pasquale Dui e Luigi Antonio Beccaria

N° 223

18 settembre 2024

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Art. 4 Statuto lavoratori e controlli sull’attività lavorativa

L'articolo esamina le evoluzioni normative legate all'articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori in Italia, focalizzandosi sulla regolamentazione del controllo a distanza dei lavoratori e l'adeguamento alla tecnologia.

Originariamente, nel 1970, la legge vietava l'uso di apparecchiature audiovisive per controllare l'attività lavorativa, proteggendo così la privacy dei lavoratori.

Tuttavia, con il passare del tempo e l'avanzamento tecnologico, questa normativa è stata aggiornata con il Jobs Act del 2014-2015, specificamente con il D.Lgs. n. 151/2015.

Questo decreto ha introdotto nuove deroghe che permettono, sotto certe condizioni, l'uso di strumenti di controllo a distanza, pur richiedendo l'accordo con le rappresentanze sindacali o un'autorizzazione dall'Ispettorato del Lavoro.

Come noto, l’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, sin dalla sua originaria formulazione del 1970, è stato concepito come una norma di bilanciamento tra i poteri (di controllo in primis, e conseguentemente anche disciplinare) del datore di lavoro e il diritto alla riservatezza del lavoratore; diritto, quest’ultimo, che, sebbene all’epoca non fosse esplicitamente normato all’interno del nostro ordinamento, era comunque desumibile dalla lettura congiunta di varie norme costituzionali, tra cui quelle contenute negli artt. 2, 13, 14, 15 e 21 Cost.

Con notevole lungimiranza, il legislatore del 1970 aveva previsto, al primo comma della succitata norma, con formula lessicalmente aperta, il divieto dell’impiego di “impianti audiovisivi e altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori”, in tal modo anticipando l’evoluzione tecnologica che avrebbe caratterizzato la società nei decenni a venire, e riuscendo ad approntare una tutela ampia anche a fronte di fattispecie concrete all’epoca nemmeno ipotizzabili, ma che risultavano particolarmente intrusive per la possibilità di un controllo costante ed invisibile agli occhi del controllato, come nel Panopticon benthamiano o nel 1984 di Orwell.

Purtuttavia, la necessità di adeguare la normativa all’evoluzione tecnologica e (conseguentemente) sociale ed economica, ha imposto un inevitabile ripensamento della normativa de qua, infine confluito nel più ampio quadro di Decreti Legislativi succedutisi negli anni 2014 - 2015 e ricordato con il nome di “Jobs Act”.

Nello specifico, la norma dello Statuto dei Lavoratori è stata sostituita dall’art. 23 del D.Lgs. n. 151/2015, il quale ha comportato uno spostamento nel baricentro tra le due divergenti esigenze il cui contemperamento costituisce il vincolo teleologico della legge; infatti, se la formulazione originaria prevedeva un generale divieto di controlli a distanza, individuati come fattispecie insidiosa rispetto ai controlli cosiddetti “uomo a uomo”, come da gergo sindacale dell’epoca, temperato solo da alcune eccezioni, la novella legislativa ha introdotto una serie di deroghe che rafforzano la posizione del datore di lavoro in ordine alla possibilità di controllare l’attività dei lavoratori.

Fermo restando che, come nel 1970 (ma con un sensibile e significativo “cambio di prospettiva”, per cui l’incipit della norma non contiene più un divieto, bensì una facoltà), “gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale” e richiedono, per la loro validità, la stipulazione di un accordo con le rappresentanze sindacali ovvero l’emissione di un provvedimento autorizzativo da parte dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro (esattamente come nella previsione originale).

La vera novità introdotta nel 2015 è quella costituita dal combinato disposto tra i commi 2 e 3, ai sensi dei quali, rispettivamente, “La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze” e “Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196”.

In sintesi, il nuovo articolo 4, al di là della vincolatività dei controlli effettuati con impianti audiovisivi, rende lecito il controllo sui cosiddetti “strumenti di lavoro”, a condizione che il lavoratore sia correttamente informato delle forme di controllo inerenti allo strumento (e pertanto dovendo il datore di lavoro fornire un’informativa ai sensi dell’art. 13 del Regolamento Europeo n. 679/2016, emanato in seguito alla riforma del Jobs Act e direttamente applicabile in Italia per la sua natura self executing dal 25 maggio 2018), e soprattutto rende utilizzabili le informazioni così apprese “a tutti i fini”, ivi compresi quelli disciplinari, che possono dunque sfociare nell’irrogazione di provvedimenti che, se correttamente osservanti il principio di proporzionalità, possono condurre sino alla sanzione espulsiva (licenziamento disciplinare/per giusta causa).

Si tenga sempre presente che, tanto nel trattamento dei dati quanto nella eventuale adozione dei provvedimenti disciplinari conseguenti, dovrà essere osservato in primis il principio di liceità e minimizzazione del trattamento, con tutte le eventuali ricadute concrete che ciò è suscettibile di comportare (ad esempio, i dati biometrici - tipicamente le impronte digitali o il cosiddetto “Face ID” - non potranno essere impiegati ai fini dell’accesso dei lavoratori ai locali aziendali, in quanto ciò costituirebbe una forma di controllo eccessivamente pervasiva; possono però essere richiesti a pochi lavoratori selezionati per accedere a locali riservati in cui sono, ad esempio, contenute informazioni particolarmente rilevanti), e, a valle, il principio di proporzionalità tra illecito contestato e sanzione irrogata, come è normale che sia in provvedimenti di ‘giustizia privata’ quali sono le sanzioni disciplinari irrogate dal datore di lavoro.

Una volta individuato il quadro normativo e programmatico, e tenendo conto che la giurisprudenza di legittimità sul punto è da considerarsi ancora in itinere per la relativa novità della riforma, può essere utile effettuare una rassegna di quelli che sono considerati “strumenti di lavoro” e i limiti di controllo ad essi relativi.

Molto di recente la Suprema Corte (Cass. 15391/2024) ha statuito che i dati acquisiti dal sistema “telepass” in uso al lavoratore sono inutilizzabili a fini probatori e disciplinari nel caso in cui la società datrice di lavoro non abbia allegato e provato, da un lato, che l’installazione dello strumento rientrava tra i controlli c.d. difensivi, e, dall’altro lato, le specifiche circostanze che l’avevano indotta ad attivare quel tipo di controllo tecnologico.

Sempre il formante giurisprudenziale, anche in epoca antecedente alla riforma (a maggior ragione, in quanto la novella legislativa, al ricorrere di determinati requisiti e garanzie, amplia, come detto, il perimetro dei controlli a distanza) la legittimità dei controlli cd. difensivi in senso stretto presuppone il “fondato sospetto” del datore di lavoro circa comportamenti illeciti di uno o più lavoratori; ne consegue che spetta al datore l’onere di allegare, prima, e di provare, poi, le specifiche circostanze che l’hanno indotto ad attivare il controllo tecnologico “ex post”, sia perché solo il predetto sospetto consente l’azione datoriale fuori del perimetro di applicazione diretta dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, sia perché, in via generale, incombe sul datore, ex art. 5 della legge n. 604 del 1966, la dimostrazione del complesso degli elementi che giustificano il licenziamento.

Proseguendo nella rassegna degli “strumenti di lavoro” ex art. 4, comma 3, si riscontra una difformità interpretativa relativamente ai sistemi di Global Positioning System (GPS) e cronotachigrafi, in quanto parte della giurisprudenza e degli enti istituzionali tendono a considerarli come strumenti di lavoro, e dunque suscettibili di controllo previa consegna di adeguata informativa, mentre altri li vedono esclusivamente come strumenti di controllo.

Sul punto si veda, ex multis, il provvedimento n. 370 del 04.10.2011 del Garante della Privacy, il quale ha riconosciuto la liceità di detti sistemi ove essi siano impiegati per soddisfare esigenze organizzative, produttive del datore di lavoro, ovvero per motivi di sicurezza; parimenti, con provvedimento n. 134 del 01.08.2012, il Garante ha ritenuto lecito, in quanto perseguiva la finalità della sicurezza del lavoro dei dipendenti, un sistema di geolocalizzazione di autovetture fornite ai lavoratori di una società di vigilanza, il quale, in ossequio al principio di minimizzazione, non consentiva la visualizzazione in tempo reale degli spostamenti dei veicoli e non operava in maniera continuativa, con ciò evitando quel controllo sistematico che il legislatore ha inteso evitare.

Per quanto riguarda, invece, lo smartphone fornito in dotazione al lavoratore, si ricorda come il controllo e la registrazione delle conversazioni effettuate dal medesimo sono vietati e presidiati da sanzione penale, in ossequio a quanto previsto dall’art. 15 Cost., secondo cui la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili; purtuttavia risulta lecito il controllo effettuato dal datore di lavoro al fine di accertare eventuali condotte illecite del lavoratore attraverso la verifica dei tabulati telefonici o la verifica dei costi da addebitare allo stesso, sempre previa informativa fornita nel rispetto dei parametri europei.


Articolo scritto per "ISPER HR Review" - n° 223 del 18 Settembre 2024 - da Pasquale Dui e Luigi Antonio Beccaria

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Frecce: elaborazione su foto di Veronica Bosley da Pixabay