Il premio di produttività: attenzione ai valori incrementali, ma cum grano salis
In questo momento storico il parlare di produttività affascina le organizzazioni, consapevoli che si tratta di un elemento cruciale nella vita delle aziende e non solo.
La produttività, che non è necessariamente delle aziende profit, ma anche delle no profit e delle organizzazioni istituzionali (in quanto tutte hanno obiettivi da raggiungere), rappresenta un tema vasto che racchiude anche molti profili sia di quella che si definisce faccia soft delle risorse umane, ad esempio quello dell’appartenenza, sia di quella hard.
In questo intervento la affronteremo dal punto di vista giuridico/normativo/amministrativo, ed in particolare per quanto definito dalla legge di Stabilità del 2016.
Parleremo anche della sua veste retributiva e “agevolativa” dal punto di vista fiscale.
La legge che abbiamo appena richiamato prevede l'applicazione di un'imposta sostitutiva dell'Irpef e delle relative addizionali nella misura del 10 per cento sui premi di risultato di ammontare variabile, la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione.
Tutto questo deve avere una caratteristica specifica: deve essere misurabile e verificabile sulla base dei criteri stabiliti dalla legge stessa, che sono stati definiti ed esplicitati, in particolare, dal decreto di attuazione del 25 marzo 2016.
Ricordiamo, per inciso, che l’aliquota dell'imposta sostitutiva, per il 2024, è ridotta al 5 per cento.
Scopo di questo intervento è quello di affrontare il tema della produttività da un punto di vista specifico su cui spesso si fa confusione: quello del concetto di incrementalità, quale “conditio sine qua non” per godere dei benefici fiscali.
L'articolo 2, comma 1, del decreto di attuazione definisce, come abbiamo detto parlando del tema in generale, i premi di risultato come «somme di ammontare variabile la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione».
Prima di entrare a commentare l’istituto di cui ci stiamo occupando, è opportuno ricordare che questi incrementi, o, per meglio dire, i criteri incrementali ai quali devono essere ancorati i premi di risultato, sono stabiliti dalla contrattazione collettiva aziendale e territoriale (di secondo livello).
È il contratto (e quindi la negoziazione tra le parti) a dover definire come questa incrementalità si attua nel concreto e, in particolare, esso deve, anche secondo la prassi dell’agenzia delle entrate, «prevedere criteri di misurazione e verifica degli incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, che possono consistere nell'aumento della produzione o in risparmi dei fattori produttivi ovvero nel miglioramento della qualità dei prodotti e dei processi, anche attraverso la riorganizzazione dell'orario di lavoro non straordinario o il ricorso al lavoro agile quale modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, rispetto ad un periodo congruo definito dall'accordo, il cui raggiungimento sia verificabile in modo obiettivo attraverso il riscontro di indicatori numerici o di altro genere appositamente individuati».
La incrementalità è ancorata al cosiddetto periodo congruo.
Anche su questo tema (e sul suo significato) è opportuno spendere due parole.
Preliminarmente dobbiamo ricordare che la durata (e la sua definizione) del periodo congruo è rimesso alla contrattazione collettiva.
Esso va inteso, secondo costante prassi, come il periodo di maturazione del premio di risultato, ovvero l'arco temporale, individuato dal contratto, al termine del quale deve essere verificato l'incremento di produttività, redditività ecc., costituente il presupposto per l'applicazione del regime premiale.
Questo periodo può essere definito come un anno, due anni, tre anni, ma anche sei mesi, in quanto ciò che rileva è che il risultato conseguito dall'azienda in tale periodo sia misurabile e, al contempo, risulti maggiore rispetto al risultato antecedente l'inizio del periodo considerato.
Chiariti tutti gli elementi “accessori” passiamo ad occuparci degli incrementi.
Questi devono essere oggettivi e verificabili.
Su questo il concetto più importante da evidenziare e da tenere presente è che non basta nell’accordo indicare dei numeri, ma è essenziale che questi, potenzialmente, risultino incrementali rispetto all’anno precedente.
La documentazione di prassi prodotta dall’Agenzia delle Entrate ha infatti chiarito che è necessario tenere primariamente in conto questa distinzione, ovvero quella tra strutturazione dei premi e condizione di incrementalità degli obiettivi.
Solo questa ultima dà diritto al beneficio fiscale.
Ne consegue che dobbiamo essere molto attenti quando scriviamo gli accordi, soprattutto se pluriennali, perché dobbiamo essere coscienti che se per l’anno x prospettiamo un risultato pari a 10 nell’anno x+1 dovremo avere come risultato 11 e nell’anno x+2 dovremo avere 12.
Se nell’anno x+2 avremo come valore a consuntivo 11, il premio quell’anno non spetterà indipendentemente dall’aver scritto nell’accordo per l’anno x+2 che si deve raggiungere 11.
Questo perché nell’anno x+2 il valore 11 non è incrementato rispetto all’anno x+1.
Peraltro questi indici numerici (lo ribadiamo: definiti dalla contrattazione di secondo livello), sono conosciuti dalla pubblica amministrazione perché devono essere riportati nella sezione 6 del modello da utilizzare per la dichiarazione di conformità.
Qui è però necessario puntualizzare un altro concetto.
La prassi ci ha detto che l’incremento può essere conseguito (con il conseguente diritto all’agevolazione) anche in uno solo degli obiettivi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione individuati dal contratto, anche se l’accordo ne prevede molteplici.
Tutto questo, però, purché gli obiettivi siano alternativi fra loro.
Se, al contrario, i diversi obiettivi non sono alternativi ma sono cumulati, l’agevolazione si potrà godere solo ed esclusivamente sulla parte di premio i cui relativi parametri/indicatori abbiano rispettato il requisito dell'incrementalità.
Come ultimo punto, e per completare i discorsi sin qui fatti, dobbiamo precisare che l’agenzia delle entrate ha anche chiarito il caso in cui l'erogazione del premio di risultato non sia subordinata (nel contratto di secondo livello) al conseguimento di un risultato incrementale rispetto al risultato registrato dall'azienda all'inizio del periodo di maturazione del premio per quel medesimo parametro, ma sia, invece, ancorato (nei vari anni di vigenza del contratto) al raggiungimento di un dato stabile.
In questo caso l’azienda può, comunque, fruire del regime fiscale agevolato, a condizione che il valore del dato raggiunto (nell’anno di misurazione) risulti incrementale rispetto al valore registrato in riferimento all'anno precedente.
Di questo ce ne parla un documento di prassi: l’interpello n. 143/E del 2018 ove si legge “considerata, però, la ratio della norma, volta a premiare i dipendenti delle aziende che registrino un incremento di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione, e rilevato che l'istante espressamente attesta che, rispetto al periodo d'imposta precedente (...), la misurazione degli obiettivi di produttività ed efficienza, al termine del periodo congruo (...), hanno registrato un risultato incrementale», è possibile applicare il regime premiale”.
Quanto finora detto spero che abbia dimostrato come il tema dell’incrementalità sia da affrontare con molta attenzione e cautela, sia nel bene che nel male.
Esso deve essere valutato attentamente in sede di redazione dell’accordo, verificando numeri, criteri e sviluppo alla luce del periodo che si è deciso di scegliere come periodo di applicazione, ma anche in sede consuntiva perché, se c’è l’incremento, nulla è perduto.
È importante, quindi, fare delle simulazioni e ragionare sulla raggiungibilità degli obiettivi, perché l’effetto (di una errata prospettazione) può essere devastante in termini di motivazioni e di conseguenze sul “mood” dei dipendenti.
Ricordiamo, infatti, che tutto il regime di produttività non impatta sui costi aziendali (l’azienda non ne ha alcun vantaggio in termini di contribuzione e fiscalità), ma solo sull’aumento della performance dei lavoratori, e che, se non raggiungiamo l’obiettivo dell’incrementalità, rischiamo di vedere riprese a tassazione ordinaria le somme che abbiamo erogato a titolo di premio di produzione (al singolo lavoratore) e una chiara debacle della motivazione.
Tratto da "Personale e Lavoro Rivista di cultura delle Risorse Umane - n° 668 - Luglio 2024"
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Frecce: elaborazione su foto di Veronica Bosley da Pixabay