Area
Cultura delle Risorse Umane

Topic
Lavoro

Antonella D’Andrea

N° 221

17 luglio 2024

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Lavoro culturale, occupazione e sviluppo economico

1. Le caratteristiche del lavoro culturale

Il lavoro culturale copre un’ampia gamma di attività industriali e non industriali1.

Oltre all’appartenenza a settori e attività molto differenti tra loro è possibile rilevare altre peculiarità: la compresenza di soggetti pubblici, profit e non profit; la varietà delle forme e delle dimensioni organizzative; l’applicazione delle nuove tecnologie; gli squilibri territoriali (Nord/Sud, aree urbane/extra-urbane); la compresenza di tipologie di lavoro altamente qualificato e non qualificato; la compresenza di lavoratori con la stessa professione spesso collocati in posizioni e forme contrattuali diverse.

In Italia, come negli altri Paesi, è evidente la trasversalità del lavoro culturale rispetto ai settori di attività economica nel quale esso si esercita2.

Gli occupati nella cultura possono operare, infatti, tanto all’interno dei domini che compongono il settore culturale (patrimonio, archivi, editoria, cinema, spettacolo, arti visive, architettura, design, pubblicità, artigianato, ecc.) quanto al loro esterno3.

Il lavoro culturale presenta anche diversi elementi di criticità, in parte comuni ad altre aree professionali: una forte componente motivazionale, l’exploitation, un’elevata precarietà e tutele deboli nel contratto e nel rapporto di lavoro, barriere di genere, percorsi formativi spesso informali, elevata componente relazionale, fragilità delle organizzazioni e delle imprese.

In questi ultimi anni il mercato del lavoro culturale è stato sottoposto a significativi cambiamenti in ragione delle trasformazioni socio-economiche in atto, che hanno investito il ruolo della cultura, il sistema produttivo dei settori culturali, le modalità di fruizione, le figure professionali.

Sono comunque indiscussi i vantaggi economici che il patrimonio culturale apporta al mercato del lavoro, in termini di occupazione, e agli enti pubblici e alle aziende sotto il profilo della crescita.

Particolarmente rilevanti, per le opportunità di impiego che offrono ai lavoratori culturali, sono il comparto del turismo e dell’intrattenimento, insieme a quelli dell’istruzione e dell’educazione4.

2. Il lavoro culturale tra valore e fragilità

Nel confrontare questo settore con altri ambiti economici puramente industriali, emerge il suo importante contributo all’economia, ma anche la fragilità della sua struttura occupazionale, almeno nel settore privato.

Lavoro discontinuo, irregolare e atipico, con poche garanzie, forte stagionalità, prevalenza di piccole e micro imprese con problemi di accesso al credito e al reddito, scarso sostegno pubblico e forti divari territoriali: queste sono le criticità di lunga data, preesistenti alla pandemia e che la crisi ha aggravato in misura spesso fatale5.

Si osserva non di rado che ai pochi che accedono a retribuzioni elevate e a tutele crescenti, si oppone una massa di lavoratori spesso mal pagati e privi di garanzie e che spesso vanno ad accrescere la già considerevole area del lavoro sommerso o informale del nostro Paese.

2.1. La componente femminile dell’occupazione culturale

Il settore non è immune da altre disparità, come quello delle donne rispetto agli uomini, per quasi ogni aspetto del rapporto di lavoro.

Nel rapporto commissionato dalla Commissione dal titolo “Towards gender equality in the cultural and creative sectors” sono sintetizzati i divari di genere più critici per le donne6.

Queste sono sotto-rappresentate nei ruoli apicali e decisionali, sono generalmente meno pagate degli uomini, manca un eguale accesso alle risorse creative e produttive, il loro lavoro è spesso poco visibile, poco apprezzato e riconosciuto. Inoltre “another major gender gap pertains to care work. Women are still obliged to take over the bulk of unpaid care duties and thus face more challenges in combining paid work and private life”7.

Per quanto riguarda l’occupazione femminile, Eurostat (2018) pone l’Italia (41%) ad un valore nettamente più basso della media Europea (46,1%), insieme agli altri paesi mediterranei, con una leggerissima prevalenza femminile in questo settore rispetto a quella media dell’economia complessiva.

Esiste un divario a sfavore delle donne anche quando si misura la distribuzione dei contratti full time, poiché in questo caso è più alto il numero degli uomini che accedono a contratti full-time di quanto accada alle donne8.

2.2. La componente giovanile dell’occupazione culturale italiana

Una seconda area di disparità è quella dei giovani, che ritardano l’entrata nel mondo del lavoro e sono meno presenti rispetto ad altri settori dell’economia.

Il problema occupazionale dei giovani non è certo una specificità del settore culturale.

Piuttosto, anche quando la flessibilità riguarda indifferentemente tutti i lavoratori, i giovani non riescono ad avvantaggiarsene.

I dati italiani, in particolare, sono preoccupanti perché la quota di giovani occupati, sia rispetto al settore che a quella dell’economia complessiva, è tra le peggiori: se in media i paesi europei occupano giovani per circa il 17% dell’occupazione complessiva, l’Italia segna il 12%, occupando l’ultimo posto in graduatoria9.

A differenza di alcuni Paesi, come la Lituania, il Portogallo, che mostrano una quota di giovani occupati nel settore culturale più alta del 4% della quota media dei giovani occupati nell’economia del suo complesso.

2.3. Occupati con livello di istruzione terziaria

In generale, il settore culturale in Europa mostra una quota di occupati culturali che hanno conseguito un titolo almeno terziario pari al 59%: un valore molto più alto di quello relativo all’economia nel suo complesso (35%)10.

Anche l’Italia, che possiede un numero molto basso di occupati con titolo terziario e che occupa l’ultimo posto della graduatoria, registra una quota di occupati culturali con titolo terziario del 45%, contro quello medio dell’economia poco sopra il 22%11.

I lavoratori culturali hanno quindi livelli di istruzione molto superiori alla media, sicché il settore culturale può dare un contributo positivo alla crescita dell’occupazione di alta formazione.

Inoltre, le ricerche empiriche indicano che la soddisfazione per la propria attività professionale è quasi altrettanto caratteristica del lavoro culturale quanto la sua precarietà.

Proprio in ragione della forte componente motivazionale, i lavoratori culturali traggono dalla propria occupazione appagamento e soddisfazione a prescindere dalle condizioni di lavoro, dall’instabilità, dalle retribuzioni inadeguate o talvolta perfino inesistenti.

2.4. La prevalenza del lavoro autonomo

Una particolarità italiana è quella di avere una componente di lavoro autonomo nell’ambito culturale che è la più alta in Europa (46%), dopo quella olandese (48%), contro una media generale pari al 33%.

Questo dato è significativo anche perché la flessibilità media dell’economia europea nel suo complesso non supera li 14%, mentre quella italiana è pari al 22%12.

Tale flessibilità (co.co.co., Partite IVA) del mondo del lavoro italiano è da interpretarsi quale segno di debolezza del mercato del lavoro piuttosto che indice di un levato livello di capacità imprenditoriale.

Sotto questo profilo, il lavoro culturale, in Italia come in Europa, tende a esporre alla exploitation, cioè ad una situazione in cui i lavoratori non hanno un potere contrattuale così forte da riuscire a costringere la controparte a garantire condizioni di lavoro adeguate, soprattutto nel settore dell’ospitalità.

A tali tratti, caratterizzanti il lavoro culturale nel settore privato e non profit, si deve anche aggiungere un’organizzazione frammentata delle catene del valore e del sistema delle organizzazioni e delle imprese.

3. Nuove competenze e un nuovo approccio alla «cultura»

La rivoluzione digitale ha profondamente modificato il modo con cui si produce e si “consuma” cultura - compresi i processi di intermediazione - e ha travolto i modelli di impresa, l’occupazione e l’organizzazione del lavoro.

Le attività culturali che si sono fatte cogliere alla sprovvista dalla diffusa richiesta di farsi, almeno in parte, digitali hanno subìto effetti negativi che per molti ha significato l’abbandono del settore e la ricerca di occupazioni alternative.

La natura delle imprese sta infatti cambiando e un numero crescente di esse agisce ormai come “intermediarie” nella produzione e fornitura di prodotti e servizi (come le piattaforme digitali, che sempre più occupano spazi di mercato dei contenuti culturali un tempo presidiate da imprese indipendenti), piuttosto che come imprese produttrici a sé stanti.

Alcune figure professionali sono perciò scomparse, mentre ne sono emerse di nuove e la domanda da parte dei soggetti fruitori, soprattutto nel periodo pandemico, ha acquisito repentinamente nuove abitudini, a fronte della delocalizzazione delle esperienze culturali digitali, della loro disponibilità H24 e spesso della gratuità.

La rivoluzione digitale ha quindi indotto gli operatori culturali a adottare nuove tecnologie e a trarre ispirazione da nuove opportunità per connettersi digitalmente con il proprio pubblico e i propri clienti. Tuttavia, c’è il pericolo che i nuovi modelli di business diano luogo ad una “corsa al ribasso” in cui le condizioni di lavoro diventino la base per la concorrenza, invece che un’opportunità per valorizzare la qualità e il valore del prodotto o servizio che forniscono.

Già prima dello scoppio dell’epidemia da Covid-19 l’OCSE evidenziava che il mercato del lavoro stava mutando a causa di tre “megatrend”:

  1. progresso tecnico (digitale),
  2. globalizzazione,
  3. invecchiamento della popolazione.

L’OCSE segnalava, inoltre, che “new organisational business models and evolving worker preferences are contributing to the emergence of new forms of work”13.

L’OCSE concludeva il Rapporto sull’occupazione esortando i governi ad intervenire sul mercato del lavoro con un approccio integrato (whole-of government approach) nella certezza che gli effetti avversi prodotti dai profondi e rapidi cambiamenti fossero tutt’altro che inevitabili, soprattutto se accompagnati da attività di engagement con i principali partner sociali14.

Un valido supporto può, in verità, provenire dai finanziamenti da fondi dell’Unione europea15.

L’Unione europea, infatti, non ha competenza legislativa in materia di politiche culturali, ma può sostenere l’azione degli Stati membri in favore della cultura, ad esempio con le misure volte a salvaguardare e valorizzare il patrimonio culturale europeo e a preservare la diversità culturale e linguistica.

Inoltre, l’UE ha l’obbligo giuridico di integrare la cultura in tutti i settori d’intervento, ai sensi dell’art. 167, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea: «l’Unione rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo.»

Del resto, secondo le statistiche fornite dallo European Heritage Heads Forum, che riunisce i capi delle autorità statali europee per il patrimonio, il VAL (valore aggiunto lordo) totale generato dal patrimonio culturale fisico è di 303,7 miliardi di euro all’anno, pari al 4,66 % del VAL dell’UE dell’economia delle imprese non finanziarie, mentre il numero di posti di lavoro generati dal patrimonio culturale è dell’ordine di 7,3 milioni di persone, pari a circa il 5,4 % dell'occupazione nell’UE delle imprese non finanziarie16.

Anche il Congresso delle autorità locali e regionali del Consiglio d’Europa sottolinea l’importanza del patrimonio culturale - sia come oggetti del patrimonio tangibile che come pratiche, conoscenze ed esperienze immateriali - in quanto catalizzatore socio-economico e potente strumento per lo sviluppo sostenibile, la rigenerazione urbana e il turismo17.

4. Uno sguardo al futuro

La cultura ha un ruolo essenziale nella società e nell’economia.

I limiti attuali allo sviluppo del settore culturale, e del resto dell’economia che sfrutta indirettamente tali risorse, sono attualmente la carenza e l’instabilità dei finanziamenti pubblici e privati, nonché la spesso scadente organizzazione dei servizi culturali a livello territoriale.

Si richiede, invece, un approccio che guardi alla «cultura» non solo come bene pubblico che comporta un costo, quanto, piuttosto, come una risorsa18.

L’effettiva elasticità tra spesa pubblica/privata e crescita economica può inoltre risultare bassa se si basano i modelli gestionali, in forma quasi esclusiva, attorno ad obiettivi ed a funzioni di tutela dei beni19.

Si tratta di una caratteristica molto “italiana”, poiché dal confronto con molte istituzioni culturali europee emerge che il management è chiamato a confrontarsi continuamente sul piano “aziendale” sia in base a competenze di tutela (come in Italia), ma anche di valorizzazione (raramente in Italia).

Inoltre, un incremento della domanda di lavoro culturale può derivare non solo da un incremento dell’offerta culturale complessiva, ma, anche, da un allargamento dei servizi culturali di elevata qualità, capaci di raggiungere, interessare e accrescere un pubblico sempre più ampio e variegato.

Si tratta, quindi, di una strategia complessa e articolata, che richiede collegamenti e sinergie tra i governi locali, regionali e il livello nazionale, nonché con i privati e con i settori dell’istruzione e delle professioni.

Infatti, un incremento di spesa pubblica e privata a favore di beni e attività culturali, affinché possa influire positivamente sull’occupazione intellettuale, deve essere accompagnato da politiche di sistema, che stimolino sia la creazione di nuove organizzazioni o ammodernino quelle esistenti, sia l’attività formativa destinata a migliorare le competenze dei lavoratori, soprattutto di quelli che possono garantire output di qualità.

Non bisogna dimenticare, infatti, che lo sviluppo del settore è in larga parte dipendente dalla qualità del lavoro.

È infatti difficile pensare che tale sviluppo possa essere ottenuto senza il contributo da parte di lavoratori con profili professionali elevati, ma ai quali siano anche riconosciute adeguate tutele sotto il profilo contrattuale.


Articolo scritto per "ISPER HR Review" - n° 221 del 17 Luglio 2024 - da Antonella D'Andrea


Note

  1. La classificazione di ATECO adottata dall’Istat si caratterizza per la sua forte semplificazione che sottovaluta il carattere “fluido” della professione culturale e assegna un’accezione “culturale” a tutti gli occupati operanti in imprese culturali ma anche “non culturali”.
    D’altro canto, manca ancora uno standard internazionale riconosciuto, aspetto che rende difficoltose analisi statistiche comparative.
    Nell’approccio europeo della classificazione KEA, il settore culturale comprende le attività legate alla produzione di valori culturali, mentre il settore creativo si fonda sulla produzione e diffusione di beni e servizi industriali e manifatturieri con contenuti anche culturali.
    Eurostat prende invece come riferimento la classificazione europea ESSnet - European Statistical System Network on Culture.
    Anche in Italia la tendenza recente è prendere come riferimento la classificazione europea ESSnet.
    Un ulteriore tentativo di classificazione (Symbola) suddivide i settori culturali e creativi tra le macro-categorie core, che comprendono comparti produttivi strettamente culturali e creative driven (tutti i professionisti culturali e creativi che lavorano anche in settori diversi da quelli core).
    Ulteriori classificazioni internazionali (Unesco, Regno Unito e Stati Uniti) si differenziano parzialmente da quelle adottate prevalentemente in Europa e in Italia (Essnet) nel tentativo di cogliere la complessità del settore.
  2. Cfr. Risoluzione del Parlamento europeo dell'11 dicembre 2018 sulla nuova agenda europea per la cultura (2018/2091(INI)).
  3. Secondo il perimetro adottato da EUROSTAT.
    Così, una ballerina che lavora per una società di produzioni televisive esercita una professione culturale interna al settore culturale, mentre una che lavora per un villaggio turistico esercita una professione culturale al di fuori del settore.
  4. Il settore turistico è particolarmente rilevante per l’economia italiana, con un forte potenziale in termini di crescita e di occupazione, nonché di integrazione sociale e culturale, come ha dimostrato l’impatto dell’improvvisa e drastica contrazione dei flussi turistici nel periodo pandemico.
  5. Sulla crisi del turismo determinata dalla pandemia globale cfr. A. Morvillo, E. Becheri (a cura di), Dalla crisi alle opportunità per il futuro del turismo in Italia, Rogiosi editore, Napoli, 2020.
  6. European Commission, Directorate-General for Education, Youth, Sport and Culture, Menzel, A., Towards gender equality in the cultural and creative sectors – Report of the OMC (open method of coordination) working group of Member States’ experts, A. Menzel (a cura di), Publications Office, 2021, p. 49.
  7. Ivi, p. 52.
  8. Con riguardo ai posti di lavoro “a tempo pieno” (che non comprende solo i contratti a tempo indeterminato), se la media Europea del settore culturale segna un valore pari al 76%, contro una media dell’economia Europea nel suo complesso pari all’80%, il risultato in Italia è del tutto analogo.
  9. Fonte Eurostat 2018. Ci sono Paesi che mostrano una presenza giovanile molto elevata, come i paesi baltici e l’Olanda (con il 24%).
  10. Fonte Eurostat 2018.
  11. Fonte Eurostat 2018.
  12. Fonte Eurostat 2018.
  13. OECD Employment Outlook 2019: The Future of Work, OECD iLibrary, https://www.oecd-ilibrary.org/sites/9ee00155-en/index.html?itemId=/content/publication/9ee00155-en ; cfr. Anche OECD, Culture and local development, 2018, p. 5, disponibile al link: https://www.oecd.org/cfe/leed/venice-2018-conference-culture/documents/Culture-and-Local-Development-Venice.pdf.
  14. Ivi, p. 49.
  15. Il nuovo periodo di pianificazione finanziaria dell’UE per il periodo 2021-2027 è iniziato durante la pandemia e i fondi dell’UE sono disponibili per essere utilizzati.
    Il progetto FLIP (Finance, Learning, Innovation and Patenting/IPR for Cultural and Creative Industries) si è rivolto a professionisti che avevano bisogno di migliorare le loro competenze manageriali e il trasferimento di conoscenze nel settore del patrimonio culturale.
    Il progetto pilota INCREAS (Intelligent Collections of Food Legumes Genetic Resources for European Agrofood Systems) ha tra i suoi obiettivi quello di fornire la formazione (ulteriore) di professionisti, volontari e pubblico interessato.
    Molti progetti pilota a livello locale e regionale sul patrimonio culturale e sulle industrie creative e culturali svolgono attività sperimentali.
    Ad esempio l’iniziativa STARTS. Il programma COSME sostiene, invece, la competitività delle piccole e medie imprese (PMI), incluse quelle delle industrie culturali e creative, che sono in ritardo nell’adozione di tecnologie e competenze moderne.
    Il Fondo sociale europeo Plus (FSE+) ha come obiettivo generale di aiutare i Paesi e le regioni a «raggiungere elevati livelli di occupazione, un’equa protezione sociale e una forza lavoro qualificata e resiliente, pronta per il futuro mondo del lavoro, nonché società inclusive e coese che mirino a eliminare la povertà e a rispettare i principi pilastro europeo dei diritti sociali».
    Anche la politica di coesione dell’UE è uno strumento importante per finanziare lo sviluppo economico e sociale.
    Diversi fondi contribuiscono al finanziamento di attività ed eventi culturali, alla riqualificazione dei siti culturali, alla conservazione del patrimonio culturale, allo sviluppo delle infrastrutture culturali (come i musei), al turismo culturale e ai posti di lavoro e alle imprese del settore delle industrie culturali e creative.
  16. Con specifico riferimento al settore turistico cfr. Corte dei conti europea, Sostegno dell’UE al turismo: c’è bisogno di un rinnovato orientamento strategico e di un migliore approccio in materia di finanziamenti, Relazione speciale, 27, 2021.
  17. A riguardo occorre ricordare la Convenzione quadro sul valore del patrimonio culturale per la società del Consiglio d’Europa (la "Convenzione di Faro") e la Convenzione europea del paesaggio.
    Anche l’obiettivo 11.4 SDGs evidenzia la necessità di intensificare gli sforzi per proteggere e salvaguardare il patrimonio culturale e naturale mondiale.
  18. Uno studio di Eurocities del giugno 2021, dedicato al patrimonio culturale e al suo impatto sullo sviluppo regionale, ha rilevato che la gestione dei progetti culturali, in particolare i progetti relativi al patrimonio culturale, richiede un approccio multipolare, in quanto il settore è eterogeneo e ha vari effetti sui territori.
    Ha inoltre sottolineato la necessità di una cooperazione intersettoriale e di un forte approccio partecipativo che coinvolga un gruppo eterogeneo di abitanti.
    La cultura rappresenta un valore economico relativo sia all’uso dei servizi e dei beni culturali, sia al non uso, che si riferisce alla loro mera esistenza (valore di esistenza), la possibilità di utilizzarli (valore dell’opzione) o la loro trasmissione per le generazioni future (valore del lascito).
  19. Sul tema, G. Corò, R. Dalla Torre, Economia della cultura e sviluppo locale, Nota di Lavoro, Dipartimento di Scienze Economiche, Università Ca’ Foscari di Venezia, No. 01/NL/2008.

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