Area
Diritto del Lavoro

Topic
Giurisprudenza

Anna de la Forest de Divonne

N° 194

24 gennaio 2024

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La retribuzione del lavoratore non è sempre, ed in termini assoluti, irriducibile

La Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. lavoro, sentenza n. 23205 del 31.7.2023) ha affermato che il principio di irriducibilità della retribuzione deve essere “coordinato con il legittimo esercizio, da parte del datore di lavoro, dello "ius variandi".

In tal caso la garanzia della irriducibilità della retribuzione si estende alla sola retribuzione compensativa delle qualità professionali intrinseche essenziali delle mansioni precedenti, ma non a quelle componenti della retribuzione che siano erogate per compensare ... particolari modalità della prestazione lavorativa”.

Nel caso di specie, il datore di lavoro aveva modificato unilateralmente le mansioni del proprio dipendente, revocando di conseguenza l’auto aziendale ed i benefici alla medesima connessi (carta carburante e lavaggi).

Il lavoratore conveniva, quindi, in giudizio la società, al fine di ottenere, tra l’altro, il risarcimento del danno correlato alla revoca dell’auto aziendale e dei relativi vantaggi.

Tanto il giudice di primo grado, quanto la Corte di appello respingevano le richieste del prestatore di lavoro.

In particolare, i giudici di merito non hanno ritenuto applicabile, nella fattispecie in esame, il principio di irriducibilità della retribuzione, posto alla base della pretesa del lavoratore (principio di elaborazione giurisprudenziale, che trae origine dall’art. 2103 c.c.).

Secondo la Corte di appello, infatti, i benefici connessi all’auto aziendale concessa in uso al dipendente costituivano elementi aggiuntivi, correlati allo svolgimento delle specifiche mansioni assegnate, e, in quanto tali, non potevano ritenersi inclusi nella definizione di retribuzione irriducibile.

Nel corso del giudizio, peraltro, il prestatore di lavoro non aveva dimostrato che anche l’esercizio delle nuove mansioni richiedesse necessariamente l’assegnazione dell’auto aziendale.

Il lavoratore proponeva ricorso per Cassazione, insistendo per la violazione del principio di irriducibilità della retribuzione.

Ad avviso del ricorrente, infatti, l’auto in dotazione costituiva una componente della sua retribuzione, in alcun modo connessa alle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa precedente.

Di conseguenza, l’azienda non avrebbe potuto modificare il trattamento retributivo, a seguito dell’assegnazione a mansioni diverse, e avrebbe dovuto, eventualmente, corrispondergli il controvalore economico unitamente alla retribuzione mensile.

La Suprema Corte respinge ancora una volta il ricorso, confermando la sentenza d’appello.

Secondo la pronuncia in esame, infatti, il principio di irriducibilità della retribuzione opera per i soli compensi corrispettivi, che siano erogati al lavoratore in ragione delle qualità professionali caratteristiche delle mansioni svolte e tipiche della qualifica dal medesimo rivestita.

Eventuali trattamenti migliorativi devono essere, invece, considerati quali elementi aggiuntivi rispetto ai minimi tabellari.

La revoca di tali benefici non contrasta con il principio di irriducibilità della retribuzione (con conseguente esclusione della lamentata violazione dell’art. 2103 c.c.), quando i benefici medesimi risultino erogati in ragione delle particolari modalità di svolgimento della prestazione lavorativa (che, nel caso di specie, per le mansioni di prima assegnazione presupponeva necessariamente l’auto aziendale), oppure di specifici disagi o difficoltà (quale può essere, ad esempio, il pagamento di una specifica indennità legata al rischio di maneggiare denaro).

Qualora vengano meno le situazioni alle quali tali elementi aggiuntivi sono specificamente collegati, la loro corresponsione può essere legittimamente interrotta da parte del datore di lavoro, a fronte dell’assegnazione unilaterale di nuove mansioni (e nel rispetto del c.d. ius variandi).

La Cassazione evidenzia che diverso sarebbe stato il caso in cui il beneficio fosse stato convenuto tra le parti già all’atto dell’assunzione, senza alcuna correlazione con le specifiche mansioni svolte dal prestatore di lavoro: in tal caso la pretesa risarcitoria del lavoratore sarebbe stata legittima.

In conclusione, la retribuzione è irriducibile, da parte del datore di lavoro, solo con riferimento a quella parte di retribuzione corrisposta in ragione della specifica professionalità tipica della qualifica rivestita dal lavoratore.

Da tale principio si ricava l’opportunità, per le aziende, di precisare sempre, e con adeguata chiarezza, le modalità concrete di svolgimento della prestazione alle quali sono correlati eventuali trattamenti economici migliorativi.

In questo modo, questi ultimi potranno legittimamente essere revocati in modo unilaterale, al venir meno delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa che li giustificavano.

Viceversa, il riconoscimento generico di eventuali benefici rischia di renderli intangibili.


Tratto da "Sentenze e Commenti" - 173 - Gennaio 2024- Uno dei servizi dell'Abbonamento ISPER

Immagine di apertura: elaborazione su Foto di MITCH WRIGHT da Pixabay
Frecce: elaborazione su foto di Veronica Bosley da Pixabay