Area
Diritto del Lavoro

Topic
Risoluzione Rapporto Lavoro

Pasquale Dui e Luigi Antonio Beccaria

N° 195

31 gennaio 2024

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Spunti applicativi in tema di dimissioni del lavoratore

Come noto, nel nostro ordinamento, con il termine “dimissioni”, spesso impropriamente impiegato nel linguaggio comune, si intende tecnicamente il diritto di recesso esercitato dal lavoratore subordinato rispetto al proprio contratto di lavoro.

La fattispecie è disciplinata, in via generale, dall’art. 2118 cod. civ., quale recesso dal rapporto di lavoro con preavviso e, in via specifica, da eventuali previsioni di legge e di contratto collettivo che stabiliscono le modalità e i termini dell’atto di recesso e del preavviso stesso.

Dimissioni per giusta causa

Per completezza espositiva, occorre sottolineare come esista anche un’altra fattispecie di dimissioni, quelle cosiddette “per giusta causa” (art. 2119 cod. civ.), in cui il lavoratore allega una giusta causa di recesso, potendo recedere “in tronco” per effetto di comportamenti illeciti posti in essere dal datore di lavoro (per rimanere alla casistica più diffusa: mancato pagamento dei corrispettivi; molestie o comunque condotte riconducibili a mobbing o straining, demansionamento grave) che, simmetricamente a quanto avviene in ipotesi di licenziamento, non consentono la prosecuzione, neanche temporanea, del rapporto.

In tal caso il lavoratore sarà considerato “disoccupato involontario” e avrà diritto a percepire tanto l’indennità sostitutiva del preavviso dal datore di lavoro, quanto la NASPI dall’INPS, rientrando il lavoratore dimissionario per giusta causa nella categoria dei “disoccupati involontari” (così Trib. Udine, n. 73/2023, secondo cui: “L'ammortizzatore sociale NASPI spetta a condizione che lo stato di disoccupazione sia involontario, tale intendendosi anche la disoccupazione conseguente a dimissioni rese dal dipendente per giusta causa e/alle risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro dovute a notevoli variazioni delle condizioni di lavoro a seguito di cessione ad altre persone (fisiche o giuridiche) dell'azienda o conseguenti al trasferimento del lavoratore ad una diversa sede che si trova ad una notevole distanza dalla residenza e/o dall'ultima sede presso la quale il dipendente prestava la propria attività.
Ciò che in ogni caso conta è che sussista il requisito dell'involontarietà dello stato di disoccupazione derivato dal rifiuto del trasferimento, a condizioni particolarmente onerose, che costituisce una giusta causa del recesso dal rapporto di lavoro, a prescindere dalla modalità formale di cessazione del rapporto (dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale”)
.

Il lavoratore ha dunque diritto di recedere immediatamente dal rapporto, senza obbligo di preavviso, in presenza di un grave inadempimento del datore di lavoro tale da non permettere la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto (Cass. 12768/1997).

L'atto di recesso non deve immediatamente contenere i motivi delle dimissioni (Cass. 13396/2013), tuttavia il lavoratore deve invocare la giusta causa di dimissioni contestualmente alla comunicazione del recesso (Cass. 15079/2014).

In caso di dimissioni formalmente rassegnate per giusta causa, il datore di lavoro che reputi insussistenti le ragioni può indicare comunque nel modello UNILAV la motivazione “dimissioni per giusta causa” invocata dal lavoratore (tale indicazione non è in alcun modo vincolante) o comunicare agli Enti competenti che a suo avviso esse debbano essere intese come semplici dimissioni volontarie, affinché non eroghino prestazioni di sostegno al reddito.

Solo qualora il giudice dichiari sussistente la giusta causa di dimissioni il datore di lavoro dovrà corrispondere al lavoratore l’indennità sostitutiva del preavviso (Cass. 22365/2021).

Le questioni giuridiche e applicative

Tale ipotesi rimane comunque marginale nella prassi, che invece, come noto, ha registrato un significativo aumento delle “normali” dimissioni volontarie; questo fenomeno, che, come molti altri, si è diffuso inizialmente in America ed ha successivamente preso piede anche nel Vecchio Continente, ha preso il nome di “Grandi Dimissioni”, da ricondurre, secondo gli osservatori e i sociologi del lavoro, a una diversa concezione data dalle persone al lavoro e alla conciliazione tra spazi e tempi privati e spazi e tempi lavorativi per effetto della pandemia e dell’isolamento forzato che, in molte parti del mondo, ne è derivato.

Passando alle questioni squisitamente giuridiche attinenti alla tematica, occorre osservare come in ossequio al consolidato principio giuslavoristico (e non solo: si pensi, ad esempio, alla normativa in ambito consumeristico o bancario, cui è informato il sistema delle cosiddette “nullità di protezione”) secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è intrinsecamente connotato da uno squilibrio (giuridico e financo economico - sociale) dello status soggettivo delle parti, viene approntata una normativa speciale definibile come “ortopedica”, volta cioè a regolamentare il rapporto tra due soggetti privati (il datore di lavoro e il lavoratore) conferendovi diversi diritti e doveri, di talché le dimissioni del lavoratore non devono necessariamente essere sorrette, differentemente da quanto avviene per la fattispecie speculare ed opposta del licenziamento, da un giustificato motivo o una giusta causa, risultando all’uopo sufficiente la mera dichiarazione volitiva del lavoratore in tal senso, accompagnata dall’osservanza di alcune formalità previste per legge.

Le dimissioni telematiche

La modifica normativa che ha introdotto le dimissioni telematiche, perseguendo (in modo piuttosto efficace) la ratio di combattere il fenomeno delle dimissioni in bianco, è stata inserita nell'art. 26 del d.lgs. n. 151/2015 (nel più ampio quadro della serie di Decreti Legislativi nota come “Jobs Act”), ed è operativa dall’anno successivo, mediante l’utilizzo dell’apposito portale sul sito istituzionale del Ministero del Lavoro.

Peraltro, nella recente sentenza n. 27331/2023, la Corte di Cassazione, in applicazione pedissequa della norma, ha ribadito che ove il lavoratore comunichi oralmente al proprio datore di lavoro la propria volontà di dimettersi, le dimissioni non possono essere ritenute efficaci, poiché devono essere provate per iscritto attraverso tutte le modalità e i requisiti stabiliti dalla sopra richiamata normativa, o, in assenza, dagli usi e dalle clausole statuite tramite il contratto di lavoro sottoscritto tra le parti.

Pertanto, il lavoratore con contratto a tempo indeterminato (“forma comune del lavoro subordinato”) che intenda cessare il proprio rapporto lavorativo con il datore, potrà farlo in modo incondizionato, a patto di darne effettiva prova mediante la procedura online (effettuabile tramite intermediari abilitati – patronati, OO.DD, ITL, consulenti del lavoro, enti bilaterali e commissioni di certificazione - o in proprio mediante SPID), nonché di rispettare il periodo di preavviso previsto dal contratto collettivo applicato dal datore di lavoro; è fatta salva, specularmente a quanto avviene in ipotesi di licenziamento, la possibilità per il lavoratore di rassegnare le dimissioni volontarie senza preavviso, conferendo però in questo modo al datore di lavoro la facoltà di trattenere, in compensazione con le spettanze di fine rapporto, la corrispondente indennità sostitutiva (si noti bene che in molti contratti collettivi, in accordo con quanto esposto all’inizio del presente contributo relativamente allo “squilibrio” delle situazioni giuridiche soggettive del lavoratore e del datore, sono previsti termini differenti, più brevi per il lavoratore dimissionario).

Appare utile ricordare che rimangono fuori dal perimetro della sopra descritta procedura le seguenti categorie di lavoratori: lavoratori in prova; lavoratori domestici; genitori lavoratori (per i quali è richiesto l’ulteriore step della convalida presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro); lavoratori del settore marittimo.

Le nuove questioni dubbie

A complicare almeno parzialmente il quadro vi è l’art. 9 DDL Lavoro, presentato alla Camera dei Deputati lo scorso 9 novembre, il quale tende ad equiparare alle dimissioni, con tutte le conseguenze che ne derivano (mancato versamento dell’oneroso ticket di licenziamento per il datore di lavoro; mancata percezione per il lavoratore ingiustificatamente assente della NASPI), l’assenza ingiustificata protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, l’assenza superiore a cinque giorni.

Tale previsione (la cui ratio appare, ad ogni modo, sostanzialmente condivisibile) fosse stata effettivamente inserita, si sarebbe giunti al paradosso per cui i lavoratori che intendono far cessare il loro rapporto di lavoro in essere, percependo i sopra citati ammortizzatori sociali per la disoccupazione involontaria, e che allo stato attuale certamente pongono in essere il discutibile comportamento di non presentarsi più al lavoro sino a farsi licenziare, potrebbero conseguire il medesimo risultato non già assentandosi “pacificamente”, ma ponendo in essere diverse condotte tanto gravi da far troncare con effetto immediato il rapporto di lavoro; tra questi comportamenti, che avrebbero consentito - ed effettivamente continuano a consentire - di percepire il sussidio, per assurdo vi sono anche il furto, il danneggiamento o altre condotte aventi anche rilievo penale.

Per questo motivo appare più utile, invece di limitarsi ad equiparare (si ribadisce, con ragione, sul caso specifico) l’assenza ingiustificata, e solo questa, a quei facta concludentia atti a dimostrare la volontà di recedere del lavoratore, ripensare globalmente la nozione di disoccupazione volontaria, estendendola a tutte le ipotesi in cui venga accertato che il lavoratore aveva (magari valorizzando l’elemento soggettivo intenzionale) ab origine l’intenzione di porre in essere dei comportamenti teleologicamente indirizzati a farsi licenziare e beneficiare dei relativi ammortizzatori sociali.


Articolo scritto per "ISPER HR Review" - n° 195 del 31 Gennaio 2024 - da Pasquale Dui e Luigi Antonio Beccaria

Immagine di apertura: Foto di Gerd Altmann da Pixabay
Frecce: elaborazione su foto di Veronica Bosley da Pixabay