Area
Diritto del Lavoro

Topic
Licenziamento

Pasquale Dui

N° 183

31 ottobre 2023

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Appropriazione di beni di modico valore e licenziamento per giusta causa

Il furto o l’appropriazione di beni aziendali, seppure di valore irrilevante, viene ritenuto idoneo a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, in quanto, ai fini dell’accertamento per giusta causa, il licenziamento deve considerarsi sotto il particolare disvalore intrinseco della condotta, indipendentemente dalla modesta entità del danno che ne possa derivare.

La deviazione dai principi fondanti il rapporto di lavoro subordinato, nel caso di appropriazione di beni aziendali, anche di modico valore, è talmente evidente e grave da rendere del tutto irrilevante la codificazione di una norma comportamentale ad hoc, sia essa in policy specifiche, sia essa nel Codice Etico aziendale: si tratta, difatti, di una severa violazione di ciò che la coscienza sociale considera il minimum etico e idonea, in quanto tale, a rilevare quale giusta causa di licenziamento in forza delle previsioni generali di cui all’art. 2119 c.c. e all’art. 3 legge 604/1966.

Premessa

In tema di sanzioni disciplinari e licenziamento, "giusta causa di licenziamento" e "proporzionalità della sanzione disciplinare" sono nozioni che la legge, allo scopo di adeguare le norme alla realtà, articolata e mutevole nel tempo, configura con disposizioni, ascrivibili alla tipologia delle cosiddette clausole generali, di limitato contenuto e delineanti un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione, sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama.

Tali specificazioni hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è, quindi, deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l'accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, nonché l'accertamento della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, ovvero a far sussistere la proporzionalità tra infrazione e sanzione, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici.

D’altro canto, l'elemento fiduciario nel rapporto di lavoro va considerato in un'ottica di particolare rigore.

Ne consegue che è giusta causa di licenziamento il comportamento di una dipendente di una banca (cassiera) che sottrae una somma per assicurare a una parente disponibilità di fondi per urgenti esigenze personali, ritenendo di poter depositare il giorno dopo un assegno di pari importo in quanto quello che è fondamentale non sono le modalità di esercizio dell'azione sanzionata, ma l'intento e il risultato ottenuto.

Tale era il caso affrontato dalla Suprema Corte.

La Suprema Corte espleta la sua funzione nomofilattica identificando i cosiddetti standard ed esaminando il comportamento del prestatore di lavoro, sulla scorta del motivo di impugnazione e rispetto alla propria concezione della giusta causa e del giustificato motivo.

Accettato il fatto che la violazione dei criteri di concretizzazione si espone al diretto sindacato di legittimità, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.., altro non vi è da fare se non rimandare alla complessiva decisione della stessa Suprema Corte.

La differenza fra norme a struttura aperta, con un possibile rilievo dei canoni desunti dall'esperienza sociale, e clausole generali, con l'obbligatorio riferimento ai cosiddetti standard, per l'originaria mancanza della fattispecie, sfuma nel riconoscimento al giudice di legittimità del potere di identificare nello specifico la portata e le regole di condotta ciò con specifica attenzione sulla applicazione dei parametri desunti dalla coscienza sociale (il fatto di specie verteva sul caso di un dipendente il cui inadempimento era stato provocato dalla esecuzione di ordini illeciti di un superiore gerarchico: Cass. 24 giugno 2016, n. 13149).

Il caso specifico affrontato dal Tribunale di Milano con decreto, 24 luglio 2022

Il lavoratore è stato assunto dalla società nel 2002.

Il 31 marzo 2022 la convenuta ha contestato al ricorrente quanto segue: “…In data 30 marzo 2022, mentre Lei era comandato in servizio di zona diurna denominata Milano 440, con orario di lavoro 06:00-14:00, Lei è stato sottoposto a un controllo Ispettivo da parte degli Ispettori, dalle ore 07:30 alle ore 09:15.

Nello specifico, mentre Lei si trovava presso il distributore Q8 “Seba S.a.s.”, sito in S.P. 121 a Cernusco sul Naviglio, Lei è stato sottoposto al controllo ispettivo sopra richiamato, dal quale è emerso il fatto che Lei stava effettuando un rifornimento di carburante -gasolio High Performance- con modalità “servito”.

A seguito delle verifiche effettuate è emerso che Lei compiva tale pratica al fine di trarne un proprio profitto dal momento che, tale modalità di rifornimento, Le consentiva di accumulare sulla Sua carta fedeltà “doppi punti per ogni litro di gasolio High Performance e un pacchetto di pasta ogni 25 litri effettuati”.

Inoltre, dagli scontrini che Lei ha consegnato direttamente agli Ispettori, emergeva il fatto che, al fine di eludere un eventuale controllo da parte della Scrivente, il Gestore del distributore effettuava una forzatura del sistema, affinché lo scontrino riportasse tipo di rifornimento “Self Service” e tipo di carburante “Gasolio” e non la dicitura reale.

I fatti, accaduti e come suesposti, sono stati altresì accertati dai Carabinieri competenti per territorio.

Durante l’ispezione, in prima battuta, Lei riferiva che fosse la prima volta che metteva in atto questa azione, per poi correggersi immediatamente, riferendo agli Ispettori che era una condotta che aveva posto in essere più e più volte.

Le rammentiamo che la pratica da Lei posta in essere, oltre che a essere una chiara violazione delle policy aziendali in materia di gestione delle auto, ha comportato un danno economico nei confronti della Società e, pertanto, Le comunichiamo fin da ora che la Scrivente si riserva il diritto di quantificare il danno da Lei arrecato e far valere i propri diritti dinanzi le sedi opportune.

Data la gravità dei fatti sopra descritti, Le comunichiamo che ai sensi dell’art. 102 del CCNL applicato al rapporto di lavoro, Lei sarà collocato in “Sospensione Cautelare”, fino al termine del procedimento disciplinare avviato.

I fatti sopra contestati, ove confermati all’esito della presente procedura disciplinare costituirebbero gravi inadempimenti da parte Sua, con riferimento alla mansione da Lei ricoperta al nostro interno e/o alle nostre procedure operative, esemplificando paradigmatiche condotte che mostrerebbero sia il mancato uso della diligenza richiesta dalla natura della prestazione sia il mancato rispetto delle disposizioni per l’esecuzione e la disciplina del lavoro impartite dal datore di lavoro.

Nell’ambito del presente procedimento disciplinare, La informiamo che Lei ha la facoltà di produrre, entro 5 (cinque) giorni dalla data di ricevimento della presente, eventuali giustificazioni verbali o scritte a Sua discolpa”.

All’esito del procedimento disciplinare, ritenuta l’inidoneità delle giustificazioni rese, la società ha intimato al dipendente il licenziamento per giusta causa.

La deviazione dai principi fondanti il rapporto di lavoro subordinato è talmente evidente e grave da rendere del tutto irrilevante la codificazione di una norma comportamentale ad hoc, sia essa in policy specifiche, sia essa nel Codice Etico aziendale: si tratta, difatti, di una severa violazione di ciò che “la coscienza sociale considera il minimum etico” ( Cass. 12735/2009) e idonea, in quanto tale, a rilevare quale giusta causa di licenziamento in forza delle previsioni generali di cui all’art. 2119 c.c. e all’art. 3 legge 604/1966.

Quello di cui si discute, d’altronde, è un comportamento a potenziale rilevanza penale e tanto basta, a parere del giudicante, per concludere altresì per l’infondatezza della doglianza in punto di violazione del principio di proporzionalità.

È a mero titolo esaustivo, pertanto, che si evidenzia come la condotta serbata dal lavoratore assuma ancor più riprovevolezza in ragione delle mansioni che gli erano affidate e dell’anzianità di servizio.

L’orientamento della Suprema Corte

La Cassazione si è pronunciata spesso sulla ammissibilità del licenziamento per giusta causa, a seguito di condotte idonee a generare un danno di natura economica al datore di lavoro.

Sempre sull’appropriazione di beni di modico valore, cfr. anche Cass 5 aprile 2017, n. 8816; Cass. 21 settembre 2016, n. 25186; Cass. 4 novembre 2009, n. 23365; Cass. 2 marzo 2009, n. 5036.

Ecco alcuni esempi di fattispecie concrete:

  • Dipendente di un supermercato della grande distribuzione, licenziato in quanto trovato dalla vigilanza dell’azienda con alcune confezioni di caramelle del valore complessivo di 10 euro.
    Tale comportamento legittima il licenziamento per giusta causa in quanto la condotta accertata, nel suo confronto con il licenziamento, è oggettivamente idonea ad una inemendabile incrinatura del vincolo fiduciario ed è tale da porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del dipendente rispetto agli obblighi assunti ovvero della sua inaffidabilità (Cass. 24014/2017).
  • Dipendente di un supermercato con mansioni di cassiera, licenziata per aver accreditato alcuni importi delle spese fatte dai clienti sulla propria carta punti fedeltà, in svariate occasioni in un arco temporale di sette mesi.
    Anche in tale ipotesi, i giudici di legittimità hanno spiegato che ai fini dell’accertamento della giusta causa di licenziamento si deve considerare il disvalore intrinseco della condotta, senza che abbia rilievo l’entità del danno che ne possa conseguire (Cass. 14760/2022).

Articolo scritto per "ISPER HR Review" - n° 183 del 2 Novembre 2023 - da Pasquale Dui

Immagine di apertura: Foto di Markus Spiske da Pixabay
Frecce: elaborazione su foto di Veronica Bosley da Pixabay