Area
Diritto del Lavoro

Topic
Gestione Rapporto Lavoro

Pasquale Dui

N° 160

12 aprile 2023

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La gestione delle ferie nel rapporto di lavoro dirigenziale

Nell’esame della tematica in oggetto, conviene muovere dalla disciplina di cui al d.lgs. n. 66/2003, art. 10, per contestualizzare appieno le problematiche sottese all’istituto delle ferie quando il lavoratore interessato è un dirigente.

La norma in esame dispone che “Fermo restando quanto previsto dall'articolo 2109 del codice civile [Determinazione del periodo di godimento delle ferie: “l'imprenditore stabilisce … il tempo delle ferie … tenuto conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del prestatore di lavoro” (comma 2)], il prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane. Tale periodo, salvo quanto previsto dalla contrattazione collettiva … va goduto per almeno due settimane consecutive, in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell'anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell'anno di maturazione”.

“Il predetto periodo minimo di quattro settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro” (comma 1).

Il potere di autodeterminazione innestato nella specifica posizione dirigenziale

In ogni caso, per tornare al tema centrale di questo intervento, fermo quanto appena detto, ovvero al caso di espressa attribuzione di poteri relativi alla gestione dell’equilibrio tra tempo di lavoro e tempo di riposo, soprattutto per ferie, deve aggiungersi quello, tutt’altro che infrequente, nel quale tale potere sia strutturalmente innestato nella specifica ed individuale posizione dirigenziale, cosa che sarebbe verificabile nel caso del dirigente apicale e dei dirigenti che, comunque, per la loro indiscutibile posizione, si trovino nella condizione di non dover rendere conto dettagliatamente delle loro decisioni personali in tema di ferie, il che potrebbe verificarsi anche nelle medie realtà imprenditoriali, dove il dirigente ha, per così dire, l’azienda quasi interamente nelle proprie mani ed è certamente in grado di decidere responsabilmente se sia il caso di assentarsi per un periodo di ferie, organizzando opportunamente tutte le cautele necessarie al regolare funzionamento dell’organizzazione in sua assenza (ad esempio, deleghe, incarichi ad interim, etc.).

Autodeterminazione delle ferie e mancato esercizio del relativo potere

Secondo la giurisprudenza assestata, il dirigente che, pur potendo determinare autonomamente il periodo delle ferie non si avvale di questa possibilità, perde il diritto all’indennità per mancato godimento delle ferie, a meno che non dimostri la ricorrenza di eccezionali e obiettive necessità aziendali ostative a tale godimento (v., tra le tante, Cass., ordinanza, 1730/2022; Cass. 23697/2017; App. Campobasso, 8 febbraio 2022; Cass., ordinanza, 31175/2021); nel pubblico impiego, seppur con la presenza di disposizioni legislative e contrattuali specifiche, cfr. Cass. 18140/2022.

Questa la massima espressa dalla Corte: “Il dirigente della pubblica amministrazione, pur dotato di un limitato potere di organizzare in autonomia la fruizione del periodo di ferie, ha diritto, alla cessazione del rapporto di lavoro, all'indennità sostitutiva qualora l'amministrazione datrice di lavoro non dimostri di averlo invitato a fruire delle ferie, nonché di aver apprestato misure organizzative atte a consentire l'effettivo godimento delle stesse.

Spetta, in ogni caso, al dirigente provare di non aver goduto di un adeguato periodo di ferie, nonché il preciso ammontare delle stesse.

Il che, detto in altri termini, comporta la connessa deduzione logica che oltre alla prospettazione delle “eccezionali e obiettive necessità aziendali ostative” al godimento delle ferie, richiamate ormai stancamente dalla giurisprudenza, sia possibile ipotizzare una controdeduzione specifica al principio giurisprudenziale imperante che opera alla radice della questione, comportando una previa analisi sulla esistenza o meno del potere di autodeterminazione delle ferie.

Il che equivale a scindere il relativo lavoro di analisi nella seguente e schematizzata sequenza:

  1. preliminare verifica in concreto dell’esistenza, in capo al dirigente, di un reale ed effettivo potere di autodeterminazione del periodo di godimento delle ferie;
  2. accertamento relativo al godimento - o al mancato godimento - delle ferie da parte del dirigente;
  3. in caso di accertato, mancato godimento, ricerca dei motivi;
  4. analisi dei motivi e qualificazione degli stessi come dovuti e/o connessi ad oggettive necessità aziendali.

La differenza di impostazione, all’evidenza, prospetta un ambito di analisi più articolato di quello offerto dalla sintetica riproposizione della massima che si trascina tralatiziamente da molto tempo e permette, all’interno della dialettica processuale, salvi i principi e le regole sull’onere probatorio, la possibilità di un confronto su piani paritari.

Tale schematica disciplina, peraltro, trova spesso (si pensi a quanto previsto dal contratto collettivo dei dirigenti del settore Industria) deroga nella possibilità delle parti, nell’esercizio dell’autonomia loro attribuita dall’art. 1322 cod. civ. (soprattutto alla luce del fatto che il dirigente, per la sua condizione di alter ego dell’imprenditore più volte richiamata dalla giurisprudenza, patisce uno squilibrio contrattuale decisamente meno accentuato di qualsiasi altro lavoratore, e pertanto può negoziare in modo più “paritario” aspetti del rapporto di lavoro che, in altri casi, meritano, ad avviso del legislatore e/o delle rappresentanze sindacali, una normativa più “coercitiva”), di concordare in modo libero modalità e tempistiche di godimento delle ferie e dei permessi, nell’ottica di facilitare il dialogo e mediare tra esigenze talvolta contrapposte.

Problemi organizzativi e soluzioni organizzative

Sta bene il diritto costituzionale alle ferie ex articolo 36, la tutela comunitaria ex Direttiva 2003/68 U.E., opportunamente trasfusa nella legge 66/2003, art. 10, che di quella direttiva costituisce l'attuazione per il settore privato, ovvero nel d.l. 95/2012, convertito con legge 135/2012 che ne costituisce attuazione nel comparto pubblico, che disciplina la fattispecie di cui all’ordinanza 13613/2020 sopraddetta, ma occorre anche considerare che i due più significativi contratti collettivi privati italiani prevedono per i dirigenti (industria, terziario/commercio), indicativamente, da 26 (commercio) a 35 (industria) giorni di lavoro effettivo di ferie annuali, che si trasformano (aggiungendo permessi ex-festività e riduzione orario), ove esistenti, in quasi sei-sette settimane, da un mese e mezzo a due mesi.

Non sembra neppure lontanamente proponibile una assenza di un dirigente di media levatura (figuriamoci un dirigente apicale) per un periodo di tempo così ampio, senza ripercussioni sull’andamento dell’azienda.

La questione, dunque, deve trovare una soluzione “organizzativa”, consistente nel prendere atto della quasi totale impossibilità di fruizione di periodi di ferie/permessi così articolati, in alcuna modalità che non impatti sull’organizzazione dell’impresa e sul regolare funzionamento di essa, ma, contestualmente, nel considerare che la quantità del monte ferie costituisce parte integrante ed essenziale del trattamento economico e normativo garantito al dirigente dalle regole del gioco, normativa, contrattazione e quant’altro.

In questi termini dovrebbe essere approfondito il sistema di gestione e controllo (o auto-controllo) dell’utilizzo dei periodi feriali del dirigente in termini adeguati a garantire il giusto equilibrio lavoro-riposo e ad evitare ingiusti ed ingiustificati “tagli” al monte ferie in caso di cessazione del rapporto, curando annualmente l’azzeramento dei relativi montanti con esborsi continui e strutturali.

Non sembrano ipotizzabili soluzioni che prescindano da una gestione ordinaria e mensile del controllo del monte ferie, con sistemi automatici di allerta nel caso di squilibri evidenti, da eliminare periodicamente ed in modalità cadenzata e procedimentalizzata, come per ogni elemento del rapporto di lavoro che impatti sul trattamento economico/normativo (nonché su alcuni diritti, anche, come si è visto, costituzionalmente tutelati, come quello al reintegro delle energie psico-fisiche spese durante l’anno nell’adempimento delle prestazioni lavorative).

CCNL dirigenti industria: un passo concreto

Nell’ambito di operatività del CCNL dirigenti industria (art. 7), occorre peraltro fare riferimento alla modifica introdotta dall’ultimo rinnovo contrattuale, secondo cui occorre fare una distinzione tra 1) periodo di quattro settimane irrinunciabile e 2) periodo eccedente le quattro settimane, disciplinato secondo la seguente regola.

Nei casi in cui eccezionalmente il periodo “tangibile”, eccedente le quattro settimane di legge, non risulti - in tutto o in parte - fruito entro i ventiquattro mesi successivi al termine dell’anno di competenza e maturazione, la fruizione non potrà più essere richiesta, alla condizione che l’azienda abbia (formalmente ed) espressamente invitato il dirigente a fruire di tale periodo, con l’avvertenza della decadenza dal diritto alla fruizione, nonché del pagamento dell’indennità sostitutiva per ferie non godute.

In carenza di un tale - formale - invito da parte del datore di lavoro, scatta l’obbligazione di liquidazione del residuo ferie entro il mese di gennaio immediatamente successivo ai ventiquattro mesi di cui sopra.

La regola suddetta è stata verosimilmente inserita per attenuare il contenzioso diffuso sul problema in questione, soprattutto in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, nelle ipotesi in cui il monte “ferie non godute” sia comunque di entità molto elevata, il che non deve sorprendere se si considera che il dirigente del settore industria ha un periodo di ferie di ben sette settimane (che comprendono gli eventuali giorni di permesso retribuito previsti dalla precedente, remota contrattazione 4 aprile 1975 e successivi rinnovi), il che rende veramente difficile lo smaltimento in termini di godimento, dovendosi ritenere improbabile che una figura dirigenziale possa assentarsi per un periodo di quasi due mesi dal posto di lavoro, senza ripercussioni sull’andamento aziendale (per tacer del fatto che, essendo l’importo delle ferie “eccedenti” non godute al termine del rapporto di lavoro costituito dalla moltiplicazione tra il numero delle ore accantonate medesime e dalla paga oraria del dirigente, spesso molto elevata, fatalmente si tratta di poste passive notevoli per le aziende).

La soluzione più idonea ad evitare comunque simili, spiacevoli incidenti alla fine del rapporto di lavoro è quella di istituire un meccanismo automatico di controllo e monitoraggio mensile del monte ferie, distinto tra ferie maturate, godute e non godute, con una liquidazione annuale dei residui ferie, considerato che in carenza di una simile impostazione gestionale, con il passare degli anni il problema non fa altro che aumentare il pericolo di crediti per ferie non godute, fino agli eccessi oltre ogni limite che, altrimenti, si manifesterebbero, in tutta la loro pericolosità, in sede di cessazione del rapporto.


Articolo scritto per "ISPER HR Review" - n° 160 del 12 Aprile 2023 - da Pasquale Dui

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Frecce: elaborazione su foto di Veronica Bosley da Pixabay