Area
Cultura delle Risorse Umane

Topic
Stress

Andrea Cirincione

N° 42

9 dicembre 2020

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La gestione delle HR e il subdolo rischio burnout

Introduzione

 

Ci sono situazioni della vita che generano un’insopportabile frustrazione, mista a una delle emozioni di base umane: la rabbia.

È quel che accade in particolare alle persone che hanno passione, talento e quel tanto decantato “coinvolgimento” che spesso il lavoro richiede.

Immaginiamo un individuo che si dedica al lavoro con dedizione, con voglia di fare bene e di soddisfare le richieste della direzione, del management, dei colleghi o dei clienti.

O semplicemente vuole essere all’altezza di aspettative che ha su di sé.

Questa figura, a qualsiasi livello si trovi in azienda, prova piacere nel lavoro che fa, e odia le situazioni in cui questo “senso” di benessere viene meno.

Chiamiamo per convenzione questa persona, uomo o donna che sia, con un nome di fantasia: Pix.

Un nome che vuole essere la “fotografia” della potenziale vittima della BOS (Burn-Out Syndrome), quasi a sottolineare che ci tiene ai dettagli.

Pix è il classico tipo che quando le cose si fanno difficili non si tira indietro, anzi ci mette di più, si impegna, si danna.

Pensa che col maggior impegno ce la può fare, sebbene nei fatti non sia così.

Ecco che Pix si ritrova, ad un certo punto, a star male fino a doversi assentare dal lavoro, a prendere farmaci, a pensare di non farcela più.

Ma come si arriva a questo punto? Ci sono persone più a rischio di altre? E come si previene? E se capita come se ne esce?

Per parlare di questo tema bisogna considerare l’ampio ambito dei cosiddetti Rischi psicosociali.

Quando il disagio psicologico si manifesta in ambito lavorativo produce disfunzioni e conflittualità, che possono provocare danni a vari livelli: psicologico, organizzativo, economico ed esistenziale.

Di fronte a queste problematiche non basta celarsi dietro il raggiungimento di un obiettivo prefissato (ad es. in termini di fatturato) per evitare i danni collaterali.

La cosa peggiore è che talvolta ne risentono anche le persone paradossalmente più sane, quelle di miglior potenzialità.

Bisogna considerare al contempo che il lavoro è capace di abilitare e riabilitare, oltre ogni pregiudizio sulle problematiche psicologiche individuali.

La grande sfida consiste nel fare in modo che l’attività lavorativa, con la sua forte influenza sulla persona, ne faccia emergere la parte migliore e più efficace.

Secondo dati dell’Agenzia Europea per la Salute e Sicurezza sul lavoro (EU-OSHA) più di 1 lavoratore su 5 è a rischio psicosociale.

A ciò si aggiunga che le situazioni contingenti possono incrementare questo dato notevolmente.

Ma che cos’è il Burnout?

Si tratta di una sindrome che si manifesta con esaurimento emozionale, depersonalizzazione e riduzione delle capacità personali.

La parola burnout significa “bruciato” oppure “fulminato”, ed è spesso rappresentata con la metafora del cerino consumato o della lampadina saltata.

Il termine viene introdotto nelle scienze umane da uno psicoanalista newyorkese, nato in Germania, di nome Herbert Freudenberger (1926-1999).

Egli si riferisce ad un quadro sintomatologico che osserva in riferimento a persone dinamiche, carismatiche e risolute che si impegnano fino in fondo in quello che fanno, lasciandosi coinvolgere anche intimamente.

I sintomi evidenziati in questi soggetti sono l’esaurimento di risorse fisiche e mentali per via di uno sforzo di raggiungere risultati irrealistici.

Questa, che l’autore chiama “malattia del superuomo”, dipende in prima istanza da ideali e aspettative eccessivi.

Insomma, il nostro Pix è un saltatore che pone l’asticella troppo in alto ed è frustrato per il fallimento del risultato.

Immaginiamo che Pix sia l’insegnante che vede il suo mestiere come una missione, l’infermiere che sogna di salvare vite, l’avvocato che vuole vincere le cause per fare giustizia, il venditore che vuole soddisfare tutti i clienti (e il proprio area manager), il dirigente ambizioso che vuole far crescere l’azienda e raggiungere l’agognato “successo”.

Ecco la parola successo è interessante perché la sua stessa definizione, che è aleatoria quindi soggettiva, rischia di condurre direttamente a quei sentimenti di frustrazione/rabbia che dicevo all’inizio.

Ancora oggi qualcuno sostiene che il “Paziente Pix” sia tipicamente un professionista coinvolto nei settori sanitario e/o socioassistenziale, ma si può affermare tranquillamente che la diagnosi di burnout ha travalicato il campo delle helping professions per addossarsi bene a situazioni riguardanti altri ambiti, ad esempio poliziotti e guardie giurate, personale scolastico, addetti commerciali.

Non tralascerei le professioni giuridiche e quelle tributarie.

Le professioni “digitali” sono esposte al rischio, e comunque laddove le esigenze e le aspettative della clientela (sia business sia customer) sono pressanti il problema si annida.

Per non dire della difficoltà a “disconnettersi” dal lavoro, che crea terreno fertile non solo al cosiddetto technostress ma anche a fenomeni di “technoburnout”.

Se Pix sacrificandosi ottiene il risultato (gratifiche? riconoscimento? carriera?) allora percepisce di star bene, altrimenti cominciano i problemi.

E qui si apre la vera questione, perché a differenza di altre situazioni, come per la sindrome da stress lavoro-correlato, l’innesco di una reazione di burnout è una spirale che si dipana in diverse “fasi” caratterizzate da sintomi abbastanza diversi tra loro.

Il rischio è che, a seconda della fase osservata, si potrebbe confondere il burnout con altre patologie.

L’errore più semplice -e diffuso- è confondere stress e burnout, che sono per certi versi simili ma come mi capita di dire si tratta di sindromi “cugine” tra loro, nel senso che non sono nemmeno “sorelle”.

Un altro errore tipico è vedere il paziente Pix in fase depressiva e diagnosticare una depressione: questo è sbagliato perché spesso porta all’uso di farmaci antidepressivi che sul soggetto in burnout sovente non sortiscono effetti favorevoli, anzi tutt’altro.

Se trovassimo Pix agli inizi della sua sindrome di burnout potremmo vederlo entusiasta, ipercoinvolto, preso vorticosamente dagli impegni.

Ma poi la complessità diventa complicazione tra scadenze, fattori economici, rapporti personali sul lavoro, discussioni in famiglia.

Ecco che l’entusiasmo di Pix cala assieme ad altri fattori che letteralmente degradano fino a sfociare in una condizione di prostrazione che, nei casi estremi, può condurre persino al pensiero suicidario.

Di solito però l’esito è uno stato di apatia generalizzata.

Qualche tempo fa è girata sui media la notizia secondo cui il burnout sarebbe diventato una diagnosi medica secondo ICD-11, la classificazione internazionale delle malattie dell’OMS.

Ma questo non è esatto, infatti il burnout è stato rubricato tra i “Fattori che influenzano lo stato di salute o il contatto con i servizi sanitari”.

Più che una condizione medica, è quindi un fenomeno professionale, una condizione di disagio, che può avere anche gravi conseguenze, a chiara e univoca eziologia (cioè causa) esterna.

Quindi è una psicopatologia del lavoro che influenza il lavoratore.

Infatti il burnout concerne il contesto occupazionale e richiede soluzioni primariamente organizzative.

La “patologizzazione” del problema scaricherebbe il problema sulle persone, quindi Pix rischierebbe di essere indebitamente clinicizzato.

È pieno interesse manageriale prevenire fenomeni come lo Stress Lavoro-Correlato e il Burnout.

Perché il problema può sembrare “personale” invece è totalmente aziendale.

Alla dinamica dello stress lavorativo concorrono fattori organizzativi come il carico di lavoro (reale e percepito), le risorse messe a disposizione e il supporto che le persone ricevono.

Nella dinamica del burnout incidono le aspettative, i percorsi di carriera, gli obiettivi e l’eccessiva predominanza del lavoro sulla vita personale.

In comune con lo stress lavoro-correlato c’è uno squilibrio (in eccesso o in difetto) tra le richieste lavorative e le risorse disponibili, da cui deriva una tensione/squilibrio (strain) di prevalente stampo emotivo e cognitivo, che esita con una strategia difensiva (coping) rigida e distaccata.

A grandi linee si può dire che il soggetto con stress manifesta una sovrareazione, a cui può seguire esaurimento, mentre nel caso di Pix (burnout) dopo una fase iniziale simile allo stress segue un disaffezionamento e un distacco.

Lo stressato sente urgente il bisogno d’aiuto e va in ansia, mentre il bruciato prova quasi impotenza, e può oscillare tra aggressività e “depressività”; al primo viene meno l’energia e spesso somatizza, mentre al secondo crolla la motivazione e patisce emotivamente.

L'assoluta unicità del burnout, rispetto allo stress lavorativo, sta nel presupposto che il nostro Pix percepisca la sensazione che il proprio miglioramento personale, la propria realizzazione, si concretizzi indirettamente, ovvero attraverso un feedback esterno.

Le cause del fenomeno rientrano in tre macro-ambiti:

  1. Sociale, culturale, ambientale, politico. I cambiamenti socioculturali certamente influenzano la scomparsa di taluni disagi e la comparsa di altri.
  2. Tecnico-organizzativo. Oltre alle note variabili stressogene, sul burnout incidono la scarsità di sostegno, il disallineamento degli obiettivi, le ambiguità nei ruoli e nella leadership, la responsabilità sproporzionata all’autonomia.
  3. Psicologico-individuale. Certamente il rischio burnout è più elevato su individui particolarmente dediti, idealisti, in generale più in difficoltà nella gestione delle proprie emozioni.

Il malessere nasce anche da improvvisi cambiamenti che “travolgono” il nostro Pix, come una riorganizzazione aziendale, un taglio dei fondi, oppure un’emergenza.

L’attualità che stiamo vivendo impone molte difficoltà “oggettive”, a cui si sommano quelle “soggettive”.

La difficoltà di cambiare è un trauma difficile da affrontare, anche per la difficoltà di riconoscere una perdita, una sconfitta o comunque un’involuzione rispetto a ciò che ci si era prefigurati.

La teoria psichica prevede che la BOS sia una patologia multifattoriale in cui interviene l’interazione tra fattori di rischio socio-ambientali e fattori di rischio determinanti individuali.

La teoria biochimica prevede che la BOS sia accompagnata da bassi livelli di cortisolo, dopamina e/o serotonina.

Ma l’inquadramento di questa sindrome non è mai univoco né facile.

La BOS non arriva subito, è il risultato di un accumularsi e chiunque ne può sperimentare i prodromi, cioè quei sintomi iniziali che è bene riconoscere per difendersi subito dalle conseguenze.

La prevenzione di questa sindrome è importante perché, essendo la causa esterna, capita di frequente che possa colpire più persone nello stesso ambito.

A livello individuale è utile il confronto con altri (tenere la mente molto aperta), il monitoraggio del proprio rischio (anche con azioni di diagnosi, monitoraggio, sostegno, crescita).

La gestione del tempo è fondamentale, come un corretto rapporto tra le proprie aspettative e i risultati che si ottengono.

Bisogna sviluppare al meglio le competenze sociotecniche (LaNTS Life and Non Technical Skills), tra cui la comunicazione e la gestione del sé.

Alcuni studi hanno evidenziato che il burnout colpisce gli individui caratterizzati da condizioni di ridotta hardiness (= resistenza individuale agli stimoli esterni) che consentirebbe, nella normalità, di reagire con determinazione controllando lo stress. Le persone più esposte mostrano tendenza all’iperattività, all’autoattribuzione delle colpe, all’introversione.

A livello organizzativo è importante una corretta gestione degli obiettivi, il coinvolgimento delle persone, il contenimento dei rischi psicosociali di derivazione aziendale, una buona politica di incentivo e gratificazione (anche non monetaria), la formazione continua, e le attività di sostegno e consulenza.

Chi ha responsabilità dirigenziali deve strutturare e gestire le risorse umane in modo adeguato, e le principali misure da attuare sono le seguenti:

  • favorire il lavoro di équipe, e consentire ai lavoratori di esprimere i propri vissuti e di fruire di assistenza psicologica;

  • provvedere ad una supervisione dell’organizzazione del lavoro, per evitare i fenomeni che portano a frustrazione e agevolare il coping;

  • promuovere la mobilità interna dei lavoratori, per mantenere un dinamismo che rimuova le situazioni di stress;

  • favorire la conoscenza delle dinamiche relazionali, la gestione delle stesse ed evitare le aberrazioni.

Guardando la questione in termini di Diritto, ci sono molti riferimenti a supporto dell’obbligatorietà della tutela: l’art. 32 della Costituzione, l’art. 2087 del Codice Civile, diversi articoli del Codice Penale, la Legge 300/70, il D.Lgs. 81/08.

Tutto ruota attorno al concetto di “danno”, che si dipana per il nostro ambito nelle quattro categorie: psichico, morale, biologico ed esistenziale.

È frequente che la reazione psichica della BOS sia legata alle estemporanee difficoltà dell’individuo in un determinato ambiente di lavoro, e che si attenui una volta usciti da tale ambiente, e in molti casi viene valutata come danno biologico temporaneo.

Analizzando in particolare il 2087 l’imprenditore è tenuto ad adottare, nell’esercizio dell’impresa, le misure che, secondo la particolarità̀ del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità̀ fisica e la personalità̀ morale dei collaboratori, a qualsiasi livello.

Ad esempio, in termini di organizzazione e turni di lavoro serve massima attenzione.

Ha fatto epoca la circolare 71/2003 dell’INAIL con la quale è stata estesa la tutela assicurativa sociale alle malattie da costrittività organizzativa, in particolare il burnout.

Ma anche uno sguardo dal lato dell’Economia d’impresa deve mettere in allerta rispetto a fenomeni come l’assenza per malattia, il ritiro prematuro, i costi di sostituzione in relazione al turnover del lavoro (assunzione, formazione e costi di sviluppo), i reclami e le controversie con i costi di compensazione, i danni alle apparecchiature e alla produzione derivanti da incidenti ed errori, le prestazioni e la produttività ridotte (mancanza di valore aggiunto per prodotto e servizio), la perdita di buona volontà e di reputazione pubblica.

Secondo uno studio europeo è stato calcolato che 1 euro investito in salute mentale può generare un risparmio fino a circa 14 euro.

Quindi su questo tema convergono questioni integrate, tra prevenzione clinica di malattia, benessere organizzativo e sicurezza sul lavoro.

Per chi lavora come dipendente comprendere il fenomeno del burnout significa comprendere la propria frustrazione e malessere in un quadro coerente e curabile.

Per chi ha un ruolo da dirigente può darsi che il problema sia sentito su di sé, ma è altrettanto vero che può dover gestire persone in crisi, quindi occuparsi della BOS può significare raggiungere gli obiettivi in termini di gestione delle risorse con migliore efficacia.

Per l’azienda in generale i problemi possono essere legali, economici, infortunistici e sanitari, ma anche legati alle inefficienze, alle non-conformità, e alle carenze di quantità - qualità - fatturato.

È pertanto necessario seguire un percorso che produca:

  • consapevolezza della presenza di un problema che è possibile affrontare e risolvere;

  • distinzione tra tipologie di problema, perché serve la giusta soluzione;

  • diagnosi per capire l’entità, ma soprattutto la qualità del problema;

  • attivazione di azioni correttive in termini di chi-fa-cosa;

  • verifica dei risultati per consolidarli in termini di resilienza organizzativa.

Lo scopo di questa azione è produrre 5 aree di “risultati” in termini di trasformazione.

  1. Aspettative/Obiettivi: per il lavoratore devono essere realistici, per il manager misurabili e per l’azienda raggiungibili.
  2. Correzione degli errori: per il lavoratore l’errore è fonte di apprendimento, per il manager di miglioramento e per l’azienda di adeguamento al mercato/contesto.
  3. Punti di forza: per il lavoratore serve la focalizzazione, per il manager serve la gestione e per l’azienda la corretta gratificazione e incentivazione.
  4. Azioni: per il lavoratore serve la concretezza, per il manager serve il controllo dei processi e per l’azienda l’attuazione dei programmi stabiliti.
  5. Bilanciamento: per il lavoratore serve minore irrazionalità, per il manager serve una gestione meno “di pancia” e per l’azienda una corretta pianificazione.

Questo produce la cosiddetta resilienza organizzativa cioè la capacità di persistere nel perseguire gli obiettivi, fronteggiare le difficoltà, non arrendersi.

Significa saldezza, motivazione, avere un senso di responsabilità progressivo.

In sintesi quello che serve da un punto di vista psicologico per affrontare le difficili sfide imposte dall’attualità e dalle incertezze legate al futuro.

Nei molti anni di esperienza nella valutazione aziendale del rischio da stress lavoro-correlato (obbligatorio per legge ai sensi dell’art. 28 del D.Lgs. 81/08), ho spesso affiancato il monitoraggio del rischio Burnout e il trattamento del problema ai vari livelli.

Per tali finalità utilizzo uno strumento completamente innovativo da me sviluppato dal nome B.R.A. (Burnout Risk Assessment).

I risultati sono precisi e indicativi, ben accetti anche dall’ente di controllo che li recepisce, e molto efficaci nell’indicare il rischio: i dati aggregati aiutano a capire la misura del fenomeno dal punto di vista del clima organizzativo aziendale o in uno specifico comparto.

Il test indica peraltro quale fase del multiforme “torrente sintomatologico” sia in atto nella singola persona, quindi serve anche per una diagnosi individuale.

Perché non basta occuparsi del nostro Pix, se non si aiuta anche il management e l’azienda committente.

La sfida che ci attende per il futuro è questa: più il lavoro evolve sulla base delle richieste imposte dall’epoca di cambiamenti in cui viviamo, più il “fattore umano” sarà decisivo per fare la differenza.

Perché una strategia si può cambiare, una tattica può essere migliorata, una tecnologia può essere acquistata, ma alla fine sono le persone che fanno la differenza.

Tratto da "Personale e Lavoro n° 628 - Dicembre 2020" - Uno dei servizi dell'Abbonamento ISPER