Covid-19: è possibile il licenziamento della lavoratrice madre, che si assenta da lavoro per accudire la figlia minore, durante il periodo di sospensione dell’attività didattica?
Il Tribunale di Trento, con ordinanza in data 8 settembre 2020, ha statuito il seguente principio di diritto: “nello svolgimento del rapporto di lavoro i rapporti tra le parti devono essere improntati al rispetto dei principi di buona fede e leale collaborazione, con la conseguenza che il datore di lavoro non può esigere l’adempimento della prestazione lavorativa, qualora ciò richieda al dipendente uno sforzo eccessivo, alla stregua di un’impossibilità oggettiva”.
In applicazione di tale principio, il giudice di merito ha reputato illegittimo il licenziamento intimato alla lavoratrice, poiché sono state ritenute giustificate le assenze dal lavoro, determinate dalla necessità di accudire la prole durante il periodo di sospensione dell’attività didattica, a causa dell’emergenza epidemiologica.”.
Come osservato in premessa, il caso di specie riguardava una lavoratrice madre, unico genitore convivente con la figlia minore di nove anni che, dopo aver fruito dei congedi parentali di cui all’art. 23, D.L. 18/2020, non si era presentata sul posto di lavoro per undici giorni consecutivi.
Il datore di lavoro, quindi, intimava alla dipendente il licenziamento per giusta causa, non essendo tali assenze coperte dal periodo di congedo.
La lavoratrice, nell’impugnare il provvedimento espulsivo, osservava di essere l’unica figura, all’interno della famiglia, in grado di poter accudire la figlia, che, altrimenti, si sarebbe trovata da sola in casa, stante la mancanza di qualsiasi altro sostegno.
Il Giudice del Lavoro presso il Tribunale di Trento ha sottolineato come, ai fini della decisione della causa, fosse imprescindibile accertare se le assenze dal lavoro della ricorrente dovessero considerarsi o meno giustificate.
Tanto premesso, esclusa la natura discriminatoria o ritorsiva del licenziamento, il Giudice ha annullato il licenziamento per insussistenza del fatto contestato, in quanto disciplinarmente irrilevante, per un triplice ordine di ragioni.
In primo luogo, il Tribunale ha sostenuto che il datore di lavoro avrebbe dovuto improntare la propria condotta al rispetto del principio di buona fede, poiché la lavoratrice, ancorché in modo generico, aveva domandato di poter utilizzare le ferie ed i permessi fino “alla riapertura delle scuole”.
Di conseguenza, l’azienda, in luogo di comminare la sanzione espulsiva, interpretando secondo buona fede la richiesta proveniente dalla dipendente, avrebbe dovuto consentire a quest’ultima di usufruire delle ferie e dei permessi non goduti.
Peraltro, la necessità di dover provvedere all’accudimento della prole, oltre ad elevarsi a diritto di rango costituzionale (art. 30 Cost.), a detta del giudice, doveva qualificarsi come impellente e manifesta.
Al contrario, il datore di lavoro, nel corso del giudizio, non aveva dimostrato che le esigenze della lavoratrice non si conciliassero con quelle della produzione, anche in ragione del fatto che le mansioni svolte dalla dipendente dovevano qualificarsi come fungibili e, quindi, facilmente sostituibili e/o intercambiabili.
In sintesi, il Giudice del lavoro ha affermato che: “La società datrice, anziché procedere disciplinarmente nei confronti della lavoratrice, avrebbe dovuto consentirle di fruire delle ferie e dei permessi già maturati e, compatibilmente con le esigenze produttive, anche di quelle maturande”.
Il Tribunale ha individuato un ulteriore profilo di illegittimità del recesso datoriale.
La condizione in cui versava la lavoratrice avrebbe giustificato l’accesso all’utilizzo dei congedi parentali di cui alla L. n. 53/2000.
Pertanto, la richiesta della dipendente di assentarsi dal lavoro, attraverso la fruizione delle ferie e dei permessi, per tutto il periodo di sospensione dell’attività scolastica, secondo il già richiamato canone della buona fede, doveva essere interpretato dal datore di lavoro come domanda di utilizzare i congedi non retribuiti per gravi motivi familiari, anche in relazione alle previsioni contenute nel contratto collettivo applicabile al caso di specie.
Infine, il Tribunale di Trento, quale terzo e ultimo argomento a sostegno dell’illegittimità del recesso datoriale, ha ritenuto che l’adempimento della prestazione lavorativa, da parte della ricorrente, fosse divenuto inesigibile per cause a lei non imputabili.
Le peculiari circostanze del caso concreto - quali: la presenza di un unico genitore all’interno della famiglia, la sospensione dell’attività didattica, l’impossibilità di reperire ulteriori risorse che potessero concorrere nell’accudimento di una minore di nove anni - hanno di fatto impedito alla dipendente di poter adempiere la propria prestazione lavorativa, giustificandone quindi le assenze.
Il Giudice, a sostegno della propria interpretazione, riporta l’art. 23, D.L. n. 18/2020 che, fino al 31 agosto 2020, aveva introdotto una particolare fattispecie di congedo parentale, diverso da quello ordinario, proprio per rispondere alle esigenze delle famiglie, che, a causa della sospensione dell’attività didattica, in relazione al diffondersi del Covid-19, dovevano occuparsi della gestione dei minori in ambito domestico.
Pertanto, secondo l’interpretazione fatta propria dal Giudice, sarebbe stato lo stesso legislatore ad aver individuato una particolare fattispecie in cui si verificava un’impossibilità per il lavoratore di adempiere la propria prestazione lavorativa per cause a lui non imputabili.
Sempre con l’obiettivo di agevolare il lavoro del genitore, nel corso del periodo di emergenza epidemiologica, con riferimento all’anno scolastico appena iniziato e fino al 31 dicembre 2020, l’art. 5 del D.L. n. 111/2020 riconosce la possibilità di rendere la prestazione lavorativa in modalità agile ovvero, qualora ciò non sia possibile, di accedere a un periodo di congedo retribuito per tutto o parte del periodo corrispondente alla durata della quarantena della prole minore di anni quattordici.
In conclusione, la sentenza in commento, seppur riferita a una situazione connotata da particolare necessità ed urgenza legata al diffondersi del Covid-19, in termini più generali, offre un importante spunto di riflessione, sotto il profilo delle conseguenze che possono derivare dal mancato rispetto dei principi di buona fede e leale collaborazione, nello svolgimento del rapporto di lavoro.
Nel dettaglio, l’interesse del datore di lavoro di ricevere la prestazione non sempre prevale rispetto a quello del lavoratore, ma deve, talvolta, conciliarsi con gli interessi di quest’ultimo.
Sicché, a parere del Tribunale di Trento, non è corretto pretendere l’adempimento della prestazione lavorativa, qualora la sua esecuzione, secondo un canone di buona fede, imponga al dipendente uno sforzo inesigibile, con conseguente illegittimità della sanzione espulsiva adottata.
Commento a cura dell'Avv. Maurizio de la Forest de Divonne
Tratto da "Sentenze e Commenti" - Ottobre 2020 - Uno dei servizi dell'Abbonamento ISPER