
Coronavirus e lavoro: nuovi modelli per manager e team
Il 2020 è stato caratterizzato da un evento rivoluzionario per il mondo: il Coronavirus.
Una rivoluzione imposta, esterna, che ha determinato risposte di emergenza, che governi, aziende e persone hanno dovuto concretizzare in tempi rapidissimi.
Risposte vicine all’istinto di sopravvivenza, che ancora risiede nella parte di cervello umano rettiliano e che, nonostante l’evoluzione gloriosa del genere umano,
ci ricorda la nostra provenienza.
Anche le aziende hanno reagito come hanno potuto: il trasferimento delle attività lavorative dalle sedi alle abitazioni dei lavoratori
è stata una delle più diffuse risposte, il remote working, efficace per garantire la continuità del business e tuttavia ben lontano dall’essere
connotabile come Smart Working, una metodologia che regola il lavoro da casa con processi specifici e accordi contrattuali,
nella tutela reciproca dell’azienda e del lavoratore.
“Solo una crisi, reale o percepita produce un vero cambiamento. Quando quella crisi si verifica le idee che sono considerate impossibili,
diventano possibili” recita un adagio di Milton Friedman, recentemente richiamato da Naomi Klein, per spiegare la sorprendente capacità di adattamento e la rapidità di adozione di nuovi modelli che tanti - quasi tutti - hanno saputo dimostrare nel corso di questa emergenza.
Ma non tutto si adatta e incastra perfettamente da subito: un’ampia fetta di professionisti si è trovata a lavorare in modo nuovo,
da un giorno all’altro, senza preavviso e senza un libretto di istruzioni. Isolati dentro le proprie case ma paradossalmente anche iper-connessi.
E, in questa dimensione, il tempo sembra aver perso parte del suo significato. E se i primi mesi sono stati affrontati con coraggio e con curiosità,
dobbiamo mettere in conto che il remote working non ci abbandonerà, in considerazione del futuro incerto e del fatto che non tutte le aziende trasformeranno
il lavoro da remoto in Smart Working strutturato.
Come si può quindi continuare ad affrontare il remote working? E come si può tradurre in vera opportunità per il recupero di efficienza e,
paradossalmente, identificazione anche di nuovi stimoli?
Partiamo dal considerare che il Coronavirus ha cambiato il contesto.
Partiamo dal considerare che il Coronavirus ha cambiato il contesto.
Citando G. Bateson, il contesto è matrice di significato, le competenze e i comportamenti assumono un nuovo significato in un contesto diverso: uno stile di management o caratteristica personale che funziona in un contesto, per esempio, non funziona in un altro.
Sono necessarie nuove premesse per gestire efficacemente il cambiamento e contribuire al successo delle organizzazioni: mindset, competenze e comportamenti diversi dal passato. Almeno in parte.
E i leader hanno un compito di primaria importanza nel costruire nuove premesse, partendo da sé. Concentrarsi sulla consapevolezza di sé, sviluppando una self leadership forte e stabile è il primo passo di un cambiamento reale, sostanziale, un cambiamento di tipo 2, direbbe ancora Bateson.
Senza questo momento di “introspezione”, agire sui soli comportamenti rischia di essere uno sforzo non durevole nel tempo, un’operazione di maquillage, che non produce alcun cambiamento utile a sé e alle organizzazioni.
Imparare a riconoscere e connettersi con proprie risorse, i propri talenti, ma anche le difficoltà, le barriere, gli aspetti di sé “deraglianti” rispetto al proprio successo personal professionale è un’area di lavoro fondamentale e propedeutica allo sviluppo delle proprie capacità di leadership interpersonale.
Esperti e studiosi di leadership sono concordi nell’affermare che le competenze e comportamenti su cui focalizzare l’attenzione dei leader oggi siano quelli in grado di motivare le persone, mantenere alte le energie e non è possibile ottenere questi risultati con le vecchie competenze di delega e controllo che nascono all’interno di sistemi organizzativi rigidi, fatti di procedure e processi che nel remote working sono diventati più flessibili/meno gerarchici, meno lineari, fatti di interconnessioni più ampie, veloci, dove sono richieste decisioni più rapide.
E dall’altra parte, questo sistema organizzativo più flessibile richiede che i collaboratori mettano in campo nuove competenze: intelligenze complementari a quella logico formale, come quella emotiva, ma anche la proattività, disponibilità, responsabilità.
Quindi la sfida per le organizzazioni è quella di facilitare lo sviluppo di nuovi sistemi di relazione all’interno delle aziende, nuovi rapporti capo/collaboratore, lo sviluppo o in alcuni casi il solo rafforzamento di nuove competenze, manageriali e non.
Quali sono dunque aree di competenza e mindset chiave su cui concentrare lo sviluppo dei Manager alla luce dei cambiamenti che stiamo vivendo? Comunicazione, coordinamento, umiltà e diversity.


Comunicazione
Una recente ricerca condotta da Bain & Company mostra che la prima competenza su cui i leader dovrebbero focalizzare tempo ed energie per gestire le situazioni di emergenza come quella da Covid-19 è la comunicazione.
In tempi di crisi e di cambiamento, la parte del cervello rettiliano provoca comportamenti istintivi dettati dal bisogno di protezione e difesa - tipicamente di fuga, attacco e blocco. In questa situazione mentale, il funzionamento della parte corticale del cervello viene dirottato e, se non controllato, questo istinto può avere un forte impatto sulle prestazioni lavorative, compromettendo sicurezza, qualità e produttività, oltre all’impatto che può avere sul benessere, a causa delle disfunzioni e problemi legati allo stress.
Le persone hanno bisogno di essere motivate e contenere lo stato di stress. A tal fine, è utile ricevere informazioni che siano ben veicolate, perché le persone filtrano e processano le informazioni diversamente dal solito durante una crisi. Basti pensare che lo stress riduce la capacità di ascoltare, comprendere e ricordare le informazioni dell’80%. Lo studio mostra che, in particolare, le persone tendono a mantenere l’attenzione per circa 12 minuti e a ricordare 3 concetti principali di un discorso.
Di conseguenza, la comunicazione durante una crisi dovrebbe essere sintetica, andare “dritta al punto”, spiegare in modo semplice i motivi delle decisioni; preferibilmente visiva e friendly, anche l’uso di social network per esempio potrebbe essere di aiuto, purchè contenuto.
Un aspetto fondamentale da tenere presente nello sviluppo dell’efficacia relazionale è quello della fiducia: le persone prestano più attenzione se provano sentimenti di fiducia, in primis nei confronti dell’interlocutore.
Tutti noi tendiamo a giudicare il “messaggero” prima del messaggio.
Per cui prima di veicolare un messaggio, potrebbe essere utile identificare l’interlocutore più forte, autorevole, fidato: il responsabile diretto di un team, ma anche un superiore molto autorevole, amato; scelte che all’interno di un’organizzazione cambiano il rapporto capo collaboratore, portandolo fuori dal concetto di gerarchia classico, obsoleto nel processo di cambiamento in atto.
Anche l’aspetto di cura è da ricomprendere nello sviluppo dell’efficacia relazionale: i leader dovrebbero cercare di prendersi cura delle loro persone, cercare di comprendere come stanno, cosa provano, accorciare le distanze.
Le persone hanno bisogno di sentire che il capo è una persona, prima di essere un manager.
L’ascolto empatico e intelligenza emotiva sono competenze chiave per rendere la comunicazione efficace e dare alle persone fiducia e motivazione per adattarsi al cambiamento.
Consapevoli del fatto che qualsiasi tipo di cambiamento genera resistenza (rif. alle fasi del dolore di Kübler-Ross).
I leader sono abituati a vedere la resistenza come cattiva quando, in realtà, è il primo segno che le persone stanno prendendo sul serio il cambiamento.
La giusta reazione della leadership alla resistenza è accogliere, ascoltare cercando di comprendere le difficoltà e i bisogni dell’altro.
Solo allora si può passare alla fase più razionale del cambiamento e discutere su come realizzarlo.
Coordinamento
L’altra competenza chiave su cui evolvere oggi riguarda la gestione dei collaboratori, in senso stretto.
Questa è l’area più critica: guidare i collaboratori a distanza presenta complessità, che possono incidere negativamente sulle performance del Team.
Uno dei principali motivi è che la supervisione viene ridotta, soprattutto all’interno di un rapporto capo collaboratore dove di solito vengono delegati compiti, task e la supervisione è continua.
I manager potrebbero preoccuparsi che i lavoratori non saranno efficienti, veicolando messaggi di sfiducia; i dipendenti possono vedere i manager come non supportivi e lontani dalle loro problematiche, demotivandosi.
Inoltre, si riduce improvvisamente anche l’accesso alle informazioni e questo genera normalmente un enorme dispendio di tempo ed energie per recuperarle.
Ricerche condotte in questo ambito hanno mostrato che la distanza spesso genera scarsa benevolenza reciproca in situazioni difficili.
L’empatia è più difficile da provare da remoto e un rischio è giudicare o dubitare della buona fede del collaboratore.
Al leader è quindi richiesta competenza di coordinamento del Team più che di delega e controllo: la gestione dovrebbe favorire il più possibile lo sviluppo dell’autonomia (compatibilmente con la capacità di tollerare lo stress legata all’ampiezza del ruolo. Rif. agli studi di Jaques), della proattività e della corresponsione fra potere e responsabilità. Quindi essere chiari nelle aspettative, fissare obiettivi e non singoli compiti, comprendere la motivazione e le aspettative e il potenziale dei collaboratori anche rispetto alla propria crescita sono aspetti fondamentali di cui la leadership oggi dovrebbe occuparsi per essere efficace.
Spostandoci dal piano delle competenze a quelle delle caratteristiche personali, quali sono quelle facilitanti il leader nello sviluppo autentico delle competenze descritte?
Umiltà
L’umiltà, nel senso etimologico del termine. Umile, che deriva da Humus, terra.
Sviluppare umiltà come attitudine significa essere in grado di entrare in contatto con se stessi e con gli altri: imparare dagli errori, saper ritornare sui propri passi, accettare il feedback come strumento di confronto e miglioramento continuo.
Diversity
Strettamente legata al concetto di umiltà è la Diversity, un approccio organizzativo orientato a favorire scambio e integrazione di risorse diverse dal punto di vista culturale, di genere e anche generazionale, sfida, quest’ultima, fra le più attuali per senior manager, che devono relazionarsi e integrare nei loro team persone di età differenti.
Le persone a fronte della medesima situazione hanno aspettative, mindset e stili di approccio diversi.
Integrare è fondamentale per mantenere alta la motivazione dei collaboratori.
La motivazione è la benzina che ci spinge ad agire in una determinata direzione, esprime bisogni ed è determinata dai valori profondi che ognuno ha.
Conoscere e focalizzarsi su questi aspetti diventa di primaria importanza per l’organizzazione, in un momento in cui ripensare alle strategie per il futuro non può essere fatto “da soli” ma “da molti”.
Bibliografia
- Naomi Klein, Scrittrice, giornalista e attivista canadese.
- Gregory Bateson, Verso un’ecologia della mente, ed. Adelphi.
- John H. Weakland, Paul Watzlawick e Richard Fisch, Change: la formazione e la soluzione dei problemi, ed. Astrolabio.
- Bain & Company contributi: https://www.bain.com/insights/five-tips-for-marketing-during-crisis-video/ - https://www.bain.com/insights/covid-19-inspiring-employees-during-the-crisis-and-beyond-webinar/ - https://www.bain.com/insights/put-your-customers-and-employees-first-during-the-coronavirus-crisis/
- Elisabeth Kübler Ross, La morte e il morire.
- Luigi Pagliarani, Saggi scelti, ed. Guarini e Associati.
- Elliot Jaques, Lavoro, creativita' e giustizia sociale, ed. Bollati Boringhieri.
- Hogan Assessment Systems Certification.
Tratto da "Personale e Lavoro n° 624 - Luglio 2020" - Uno dei servizi dell'Abbonamento ISPER