Area
Diritto del Lavoro

Topic
Giurisprudenza

Pasquale Dui e Luigi Antonio Beccaria

N° 217

19 giugno 2024

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Le collaborazioni coordinate e continuative ex art. 409, n. 3, c.p.c. e la fattispecie della c.d. parasubordinazione (parte 1)

La giurisprudenza, nell’individuazione dei criteri di qualificazione della Parasubordinazione, applica costantemente i principi secondo cui perché sia configurabile il c.d. rapporto di lavoro parasubordinato, ai sensi dell'art. 409 c.p.c., n. 3, devono sussistere i seguenti tre requisiti: la continuità, che ricorre quando la prestazione non sia occasionale ma perduri nel tempo ed importi un impegno costante del prestatore a favore del committente; la coordinazione, intesa come connessione funzionale derivante da un protratto inserimento nell'organizzazione aziendale o, più in generale, nelle finalità perseguite dal committente e caratterizzata dall'ingerenza di quest'ultimo nell'attività del prestatore; la personalità, che si ha in caso di prevalenza del lavoro personale del preposto sull'opera svolta dai collaboratori e sull'utilizzazione di una struttura di natura materiale.

La collaborazione coordinata e continuativa è un’ipotesi di lavoro autonomo caratterizzata dall’obbligo del collaboratore di svolgere, in via continuativa, una prestazione prevalentemente personale a favore del committente ed in coordinamento con quest’ultimo (art. 409, n. 3, c.p.c.; artt. 2, 52 e 54 D.Lgs. 81/2015).

L’ipotesi è contemplata dall’art. 409 n. 3 c.p.c., che ha esteso l’applicazione del rito del lavoro alle controversie relative anche a questo tipo di rapporti di collaborazione.

Questa disposizione muove dall’intento di estendere le garanzie processuali e sostanziali a quelle categorie di lavoratori che, pur in assenza di formale subordinazione, subiscono situazioni di soggezione economica tale da comportare una loro sostanziale subordinazione all’imprenditore.

Questo tipo di rapporto di lavoro, definito parasubordinato, si differenzia dal lavoro dipendente per l’assenza del vincolo di subordinazione, come pure dal lavoro autonomo in senso stretto, inteso come esercizio di arte o di professione, e dall’attività imprenditoriale, posto che manca un’organizzazione di mezzi.

Il quadro legislativo di riferimento: evoluzione

Il legislatore, a partire dal 2003 (legge 14 febbraio 2003 n. 30, nota comunemente come legge Biagi), ha effettuato svariati tentativi al fine di contrastare non solo il lavoro nero, ma anche e soprattutto l’utilizzo improprio delle collaborazioni coordinate e continuative, dovuto prevalentemente alla mancata previsione della corresponsione dei cosiddetti “oneri differiti” che costituiscono elemento essenziale del contratto di lavoro subordinato strictu sensu (mensilità aggiuntive, ferie e permessi, indennità di malattia, trattamento di fine rapporto).

In particolare, l’art. 61 del decreto legislativo n. 276/2003 aveva stabilito la legittimità dei soli rapporti di collaborazione coordinata e continuativa riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso, determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione del committente, ma indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa.

La determinazione del progetto in funzione del risultato era indispensabile, tant’è che il decreto legislativo n. 276/2003 prevedeva alcune rigorose misure sanzionatorie: i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 409 n. 3 c.p.c. dovevano considerarsi di natura subordinata, dal momento della costituzione del rapporto, nel caso di mancata indicazione specifica del progetto.

La disciplina del 2003 ha prestato, da subito, il fianco a svariate critiche, che hanno indotto il legislatore a superare, alla fine di un dibattito durato oltre dieci anni, lo schema delle collaborazioni a progetto considerate da taluni come una espressione della precarietà del lavoro.

Le riforme del 2015 e del 2017

Con il decreto legislativo n. 81/2015, attuativo della legge delega n. 183/2014 e recante la “disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni”, è stata riscritta la disciplina normativa della maggior parte degli istituti contrattuali, dal contratto di lavoro a tempo determinato alla somministrazione di manodopera, dal contratto a progetto all’associazione in partecipazione, dall’apprendistato alle collaborazioni occasionali.

Il decreto legislativo n. 81/2015, per porre un freno all’abuso delle collaborazioni, ha stabilito che “Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro” (art. 1) e ha abrogato il contratto a progetto.

L’importante novità introdotta al riguardo dalla riforma è contenuta nell’art. 2, c. 1, dove è stabilito che la disciplina del lavoro subordinato si applica ai rapporti di collaborazione etero-organizzata.

Il testo attualmente vigente, così come modificato dalla legge 128/2019, applica infatti la disciplina del lavoro subordinato “anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente” (comma 1 art. 2, Collaborazioni organizzate dal committente).

Successivamente, il D. Lgs. 81/2017 ha introdotto un’ulteriore novità. Più precisamente, l’art. 15 ha disposto che la collaborazione sia coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo tra le parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa.

Come si vede, il principale elemento di novità introdotto dalla riforma sta nel fatto che le modalità di coordinamento non possono essere unitariamente stabilite dal committente, ma devono essere, sin dall’inizio del rapporto, concordate tra le parti.

Le caratteristiche della prestazione

Il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, alla luce delle novità introdotte nel 2015 e nel 2017 si differenzia:

  • dal lavoro subordinato (art. 2094 c.c.), in quanto non sussiste alcun vincolo di subordinazione: il lavoratore subordinato, invero, si obbliga, a fronte della retribuzione, a collaborare con l’impresa mettendo a disposizione le proprie energie lavorative alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore;
  • dal lavoro autonomo, inteso come esercizio di arte o professione (art. 2229 c.c.), ma anche come contratto d’opera (art. 2222 c.c.), dal momento che tali rapporti sono caratterizzati dall’organizzazione dei mezzi e dall’assunzione del rischio d’impresa in capo al lavoratore.

Il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa è caratterizzato dallo svolgimento di un determinato servizio o dall’esecuzione di una data opera con carattere continuativo in favore del committente, secondo istruzioni fornite nel corso del rapporto dal committente, ma preventivamente concordate con il collaboratore.

La scelta delle modalità di adempimento della prestazione spetta, in ogni caso, al collaboratore, che opera in funzione del risultato da raggiungere.

La collaborazione coordinata e continuativa può avere ad oggetto sia un’attività intellettuale, che un’attività manuale.

In sintesi, le caratteristiche fondamentali del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa sono le seguenti:

Autonomia

La definizione dei tempi di lavoro e delle modalità di svolgimento del servizio o di esecuzione dell’opera è rimessa all’autonomia del collaboratore, posto che l’interesse del committente riguarda il raggiungimento del risultato pattuito e non - come avviene nel lavoro subordinato - la disponibilità di una prestazione eterodiretta. Il collaboratore gode, pertanto, di totale autonomia nella scelta delle modalità di adempimento della prestazione, ma deve svolgere la stessa in funzione delle finalità e delle necessità dell’imprenditore.

Coordinamento

Il collaboratore deve coordinare la propria attività con le esigenze dell’organizzazione aziendale del committente.
Il committente, quindi, ha la possibilità di fornire delle direttive al collaboratore nei limiti dell’autonomia professionale del collaboratore stesso e, comunque, di quanto preventivamente concordato con lo stesso; in ogni caso, non può essere pretesa una prestazione o un’attività che esuli da quanto originariamente pattuito con il collaboratore, né si può privare il collaboratore della sua autonomia nello svolgimento della prestazione.
In particolare, il committente non deve esercitare un controllo sull’attività svolta del collaboratore.
Il collaboratore può utilizzare i locali e le attrezzature del committente, mentre è escluso il suo inserimento strutturale nell’organizzazione gerarchica dell’impresa.

Continuità

La prestazione non deve essere meramente occasionale, bensì continuativa e resa in misura apprezzabile nel tempo.
Conseguentemente, l’accordo fra le parti deve comportare lo svolgimento costante da parte del collaboratore a favore del committente di una serie imprecisata di attività.
Esulano, pertanto, da tali rapporti quelli che, estrinsecandosi in una relazione occasionale con il committente, sono destinati ad esaurirsi con il compimento dell’unica prestazione oggetto dell’accordo delle parti.

Carattere personale dell’apporto lavorativo del prestatore

Tale caratteristica consiste nella necessaria prevalenza del carattere personale dell’apporto lavorativo del collaboratore, il quale può avvalersi di mezzi del committente ed anche avvalersi di altri soggetti, sempreché non si perda la preminenza della sua personale partecipazione, né l’unicità della responsabilità gravante su di lui.

Orientamenti giurisprudenziali

Individuazione dei criteri

La giurisprudenza, nell’individuazione dei criteri di qualificazione della parasubordinazione, applica costantemente i principi esposti sopra. Così Cass. 3113/2009 (sul punto, Cass. civ., sez. lav., 9 febbraio 2009, n. 3113. Conformi, sui punti specifici, Cass. civ., sez. lav., 1 ottobre 2008; Cass. civ., sez. lav., 19 aprile 2002, n. 5698.), secondo cui perché sia configurabile il c.d. rapporto di lavoro parasubordinato, ai sensi dell'art. 409 c.p.c., n. 3, devono sussistere i seguenti tre requisiti: la continuità, che ricorre quando la prestazione non sia occasionale ma perduri nel tempo ed importi un impegno costante del prestatore a favore del committente; la coordinazione, intesa come connessione funzionale derivante da un protratto inserimento nell'organizzazione aziendale o, più in generale, nelle finalità perseguite dal committente e caratterizzata dall'ingerenza di quest'ultimo nell'attività del prestatore; la personalità, che si ha in caso di prevalenza del lavoro personale del preposto sull'opera svolta dai collaboratori e sull'utilizzazione di una struttura di natura materiale (Nella specie mancavano i requisiti della coordinazione, in quanto risultavano esercitate dal ricorrente anche attività del tutto avulse dal soccorso stradale, e della personalità, atteso che, anche a prescindere dalla presenza di quattro dipendenti subordinati, l'iniziativa economica risultava esercitata con il prevalente apporto di strutture aziendali che comportavano impiego di non modesti capitali).

Sui criteri di individuazione della parasubordinazione, anche dopo l’emanazione della legge Biagi, n. 30/2003, cfr. TAR Sicilia, Catania, sez. II, 14 febbraio 2006, n. 202, secondo cui i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche nella nuova configurazione risultante dall'art. 4, legge 14 febbraio 2003, n. 30 (c.d. legge Biagi) si distinguono dai rapporti di lavoro subordinato per la mancanza del requisito della subordinazione inteso come assoggettamento del lavoratore al potere gerarchico ed organizzativo del datore di lavoro, mentre nessun rilievo distintivo può essere attribuito ad altri elementi, quali la predeterminazione di un orario di lavoro ben definito o l'inserimento del lavoratore nell'organizzazione produttiva del datore di lavoro, del tutto compatibili con i rapporti connotati dall'autonomia ai sensi dell'art. 409, n. 3, c.p.c.

Il requisito della continuità

Non ha rilevanza che la continuità sia stabilita convenzionalmente, ma basta la reiterazione delle prestazioni (Cass. 23897/2004, che così inquadra nella norma in esame l’attività degli “strilloni”); peraltro, per la sussistenza di tale requisito non rileva l’occasione in cui si manifesta la necessità dell’incarico, ma la causa dello stesso (con riferimento a Cass. civ., sez. lav., 14 febbraio 2001, n. 2120); inoltre, è configurabile la continuatività anche in caso di unicità dell’opus (cfr. Cass. civ., sez. lav., 24 luglio 1998, n. 7288), anche se, di regola, l’attribuzione di un solo incarico professionale comporta l’esclusione della relativa controversia dall’ambito della norma di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c. (vedi Cass. civ., sez. lav., 10 aprile 1996, n. 3298).

Così come è configurabile la parasubordinazione anche nel caso in cui la prestazione di attività e consulenza professionale, di lunga durata, sia oggetto di un’obbligazione di risultato (a tal proposito, vedi Cass. civ., sez. lav., 19 luglio 1990, n. 7374).

Quanto detto sopra circa la sussistenza del requisito del coordinamento (come degli altri requisiti) è affermato anche in relazione all’opera di un avvocato, ai fini dell’inquadramento nell’ambito dell’art. 409, n. 3 (sul punto, Cass. civ., sez. lav., 6 maggio 2004, n. 8598), mentre si è esclusa la parasubordinazione di un professionista che renda, in favore di più clienti legati da vincoli economici, prestazioni rientranti nella propria specializzazione, seppure con maggiore assiduità e costanza rispetto agli altri clienti (cfr. Cass. civ., sez. lav., 5 dicembre 1997, n. 12376, riferita ad un notaio; Trib. Catania, 12 luglio 2006, riferita ad un avvocato).

Così come si esclude che l’attività di consulenza professionale svolta indistintamente da professionisti associati in un singolo studio, possa considerarsi prevalentemente personale (cfr. Cass civ., sez. lav., 1 agosto 1995, n. 8412).

Si sostiene che per escludere la continuità ed il coordinamento è necessario che il giudice di merito accerti il rischio economico a carico del lavoratore, come quando resti a carico del lavoratore l'acquisto o l'uso dei materiali necessari a lavorare o quando il rapporto con i terzi utenti venga da lui instaurato e gestito.

E che circa l'inesistenza dell'obbligo di giustificare le assenze, quale indice della mancanza di subordinazione, occorre l'accertamento negativo delle conseguenze disciplinari (sul punto, Cass. civ., sez. lav., 7 agosto 2008, n. 21380).


Segue in HR Review 220 - 10 Luglio 2024

Articolo scritto per "ISPER HR Review" - n° 217 del 19 Giugno 2024 - da Pasquale Dui e Luigi Antonio Beccaria

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Frecce: elaborazione su foto di Veronica Bosley da Pixabay