Le retribuzioni convenzionali 2023 - considerazioni ai fini fiscali e previdenziali - Seconda parte
Casi particolari
La retribuzione individuata secondo i criteri illustrati nella prima parte di questo articolo (pubblicato il 14/6) può subire delle variazioni nei seguenti casi, illustrati
a suo tempo nella circolare n. 141 Rcv del 20 giugno 1989:
- passaggio da una qualifica all’altra nel corso del mese;
- mutamento nel corso del mese del trattamento economico individuale da contratto collettivo, nell’ambito della qualifica di «quadro», «dirigente» e «giornalista», o per passaggio di qualifica.
In questi due casi deve essere attribuita, con la stessa decorrenza della nuova qualifica o della variazione del trattamento economico individuale, la retribuzione convenzionale corrispondente al mutamento intervenuto.
Un terzo caso è quello in cui maturino nel corso dell’anno compensi variabili (ad esempio lavoro straordinario, premi ecc.).
Poiché questi ultimi non sono stati inclusi all’inizio dell’anno nel calcolo dell’importo della retribuzione globale annuale da prendere a base ai fini dell’individuazione della fascia di retribuzione applicabile (come avviene, invece, per gli emolumenti ultramensili), occorrerà provvedere a rideterminare l’importo della stessa comprensivo delle predette voci retributive e a ridividere il valore così ottenuto per dodici mensilità.
Se per effetto di tale ricalcolo si dovesse determinare un valore retributivo mensile che comporta una modifica della fascia da prendere a riferimento nell’anno per il calcolo della contribuzione rispetto a quella adottata, si renderà necessario procedere ad una operazione di conguaglio, per i periodi pregressi a partire dal mese di gennaio dell’anno in corso.
Regolarizzazioni contributive
L’ultimo argomento affrontato nella circolare Inps in commento, riguarda l’eventuale necessità di regolarizzare la posizione contributiva.
I datori di lavoro che per i mesi di gennaio, febbraio e marzo 2023 hanno operato in difformità dalle istruzioni di cui al punto A) della presente circolare possono regolarizzare tali periodi ai sensi della deliberazione del Consiglio di Amministrazione dell’Istituto n. 5 del 26 marzo 1993, approvata con il D.M. 7 ottobre 1993 (cfr. la circolare n. 292 del 23 dicembre 1993) senza aggravio di oneri aggiuntivi.
Tale regolarizzazione deve essere effettuata entro il giorno 16 del terzo mese successivo a quello di pubblicazione della presente circolare.
Ai fini della compilazione della denuncia Uniemens, i datori di lavoro si atterranno alle seguenti modalità:
- calcoleranno le differenze tra le retribuzioni imponibili in vigore al 1° gennaio 2023 e quelle assoggettate a contribuzione per lo stesso mese;
- le differenze così determinate saranno portate in aumento delle retribuzioni imponibili individuali del mese in cui è effettuata la regolarizzazione, da riportare nell’elemento [Imponibile] di [Dati Retributivi] di [Denuncia Individuale], calcolando i contributi dovuti sui totali ottenuti.
Relazione tra gli aspetti fiscali e quelli previdenziali
Il Decreto Legislativo 314/1997, aveva regolamentato ed armonizzato le basi imponibili sulle quali operare le ritenute previdenziali e quelle fiscali.
Gli articoli 5 e 6 stabilivano che “dal 1 gennaio 2001, per il calcolo della base contributiva occorre fare riferimento a quanto previsto dall’articolo 48 (ora 51) del TUIR, con l’effetto che la retribuzione convenzionale introdotta ai fini fiscali dovrà trovare applicazioni per le stesse ipotesi anche ai fini previdenziali”.
Applicando questo principio, sarebbero quindi stati unificati i versamenti dei contributi previdenziali previsti per i lavoratori distaccati sia in Paesi convenzionati che in quelli non convenzionati.
Successivamente è stata sottoposta al Ministero del lavoro questa problematica.
Il Dicastero, con nota prot. 10291/P6Ii 158 del 19 gennaio 2001 della Direzione generale della previdenza ed assistenza, Div. II, sottolineava quanto segue:
«... il principio ispiratore della legge n. 342 del 2000 è lo stesso della legge n. 398 del 1987. Entrambe le normative, cioè, si applicano nei casi in cui vi sia doppia imposizione, in Italia e all'estero, come viene confermato anche dalle disposizioni applicative del Ministero delle finanze».
Inoltre bisogna tenere conto che «... le convenzioni per evitare la doppia imposizione fiscale e le convenzioni di sicurezza sociale seguono regole diverse.
Mentre nelle prime è prevista, di norma, la competenza concorrente dell'Italia e del paese estero, nelle seconde è previsto l'esonero dall'obbligo contributivo nel paese di occupazione con l'applicazione del solo regime previdenziale italiano.
L'interpretazione "estensiva" sarebbe, infine, penalizzante per il finanziamento del sistema previdenziale, con una riduzione delle entrate, ancorché parzialmente compensata da una riduzione delle corrispondenti prestazioni, ma soprattutto per il lavoratore che, in virtù del calcolo contributivo introdotto dalla legge n. 335 del 1995, vedrebbe ridotto l'importo del trattamento pensionistico ...
Comunque la riduzione della copertura previdenziale esporrebbe l'Italia nella Unione Europea sul piano della responsabilità per la violazione del principio della libera circolazione. Infine, tra gli effetti distorsivi può essere segnalata anche la disparità di trattamento che, per gli aspetti previdenziali, si verrebbe a creare tra i lavoratori che soggiornano all'estero per periodi inferiori o superiori ai 183 giorni.
Tale discrimine, se ha la sua ragion d'essere nel campo fiscale, in quanto legato al concetto di "residenza fiscale", perde ogni significato se trasportato nel campo previdenziale, ove il concetto di "residenza" non rileva.
In conclusione ... le disposizioni contenute nell'art. 48, comma 8 bis, del T.U.I.R. approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, introdotte dall'art. 36 della legge 21 novembre 2000, n. 342, vanno interpretate nel senso che le stesse esplicano i loro effetti esclusivamente in campo fiscale».
Adeguandosi al suddetto orientamento del Ministero del Lavoro, con circolare n. 86 del 10 aprile 2001, la Direzione Generale dell’INPS ha affermato che, per il personale distaccato all’estero in Paesi CEE o legati all’Italia da accordi di sicurezza sociale, gli obblighi contributivi devono essere adempiuti sulla base della retribuzione effettiva di cui all’articolo 12 della legge 30 aprile 1969 n. 153, nel testo dettato dall’articolo 6 del Decreto legislativo 2 settembre 1997 n. 314 e non sulle retribuzioni convenzionali, che vanno applicate solo per gli adempimenti contributivi relativi ai lavoratori operanti all’estero in Paesi non convenzionati con l’Italia.
In questa complessa e controversa materia è intervenuta anche la Confindustria che pur riconoscendo che il contenuto della circolare sia stato “necessitato” dall’esigenza dell’Istituto di conformarsi agli indirizzi impartiti dal Ministero vigilante, la Confindustria ribadisce comunque la posizione già espressa a suo tempo, di netta contestazione della tesi ministeriale che, da un lato è in contrasto col dettato normativo, dall’altro comporta iniqui effetti di disparità di trattamento previdenziale tra i lavoratori in relazione al Paese di destinazione.
Vorrei inoltre segnalare che parte della dottrina (1) e poche sentenze di merito, hanno recepito la tesi dell’applicabilità delle retribuzioni convenzionali a prescindere dal Paese di destinazione del lavoratore.
Relativamente alla giurisprudenza di merito, la Corte di Appello di Torino, con sentenza 393/2010, chiamata a decidere sul ricorso presentato da una azienda avverso la pretesa dell’Inps volta al recupero dei contributi previdenziali sulla posizione di un dipendente, la cui contribuzione per i periodi di attività all’estero era versata sulle retribuzioni convenzionali e non su quelle effettive, ha confermato la sentenza di primo grado accogliendo la tesi di parte ricorrente.
Nello specifico, l’assunto sul quale si è fondata la decisione della Corte di Appello, a conferma della tesi confindustriale, è quello della completa equiparazione della base imponibile fiscale con quella previdenziale, ai sensi del comma 8 bis dell’articolo 51 del Tuir, aggiunto allo stesso articolo dalla legge n. 342 del 2000.
A detta della Corte, infatti, poiché questa disposizione è espressamente stabilita in deroga alle disposizioni dei commi da 1 a 8 dello stesso Tuir, è ad essa e solo ad essa che si dovrà fare riferimento per la determinazione del reddito ai fini contributivi nell’ipotesi di lavoratori che si trovino all’estero per periodi superiori a 183 giorni in ciascun anno(2).
Note
- Cfr. La gestione del personale all’estero - Delli Falconi - Marianetti - Ipsoa Editore - I edizione 2008.
- Ripresi questa ultima sentenza da ASSOLOMBARDA RASS. PREV. 2/2010.
Articolo scritto per "ISPER HR Review" - n° 175 del 12 Luglio 2023 - da Luigi Rodella
Immagine di apertura: Foto di ThePixelman da Pixabay
Frecce: elaborazione su foto di Veronica Bosley da Pixabay