Area
Diritto del Lavoro

Topic
Costituzione Rapporto Lavoro

Pasquale Dui

N° 165

10 maggio 2023

Visualizzazioni 1159

Dirigenti, patto di prova e deviazioni strutturali nell’esecuzione

L’obbligo di determinazione/specificazione del patto di prova può essere efficacemente eseguito con l’indicazione della posizione ricoperta (ad esempio, direttore vendite), sempreché il doveroso riferimento alle previsioni del CCNL sia idoneo ad arricchire di contenuto l’eventuale citazione generica ipotizzata.

In ogni caso, le mansioni effettivamente svolte, su cui si impernia la prova, devono essere caratterizzanti il profilo assegnato e non essere da esso divergenti (Cass. 1099/2022; App. Roma 17 gennaio 2023; App. Brescia 19 giugno 2019; Trib. Trento 29 novembre 2018).

Anche ove dovesse essere ritenuto che l’oggetto della prova fosse stato indicato nello svolgimento dell’incarico di CFO presso l’azienda datrice di lavoro, ad esempio, è indubbio e pacifico che il dirigente deve essere posto in grado di svolgere tale compito e di poter superare la verifica concordata, cosa che non potrebbe certo verificarsi laddove contestualmente alla instaurazione del rapporto lavorativo il dirigente fosse stato adibito a tutt’altra mansione, quella - ad esempio - di General Manager.

Si tratta, all’evidenza, di mansioni che implicano ben diversa professionalità e ben diverse capacità: non già soltanto di ordine tecnico, contabile, finanziario e di controllo di gestione, bensì gestionale, con presidio su tutte le funzioni dell’impresa (sulla produzione industriale, sulla logistica, sul controllo di qualità, sul personale e, solo per ultimo, sulla gestione finanziaria).

Nello scenario ipotizzato, dunque, in nessun caso una eventuale verifica ad esito negativo da parte dell’azienda avrebbe o potrebbe avere ad oggetto mansioni previamente concordate in un patto di prova regolarmente previsto all’atto dell’assunzione.

Sia che si tratti di nullità del patto di prova, sia che si tratti di assegnazione (nella specie, dall’inizio del rapporto) di mansioni diverse da quelle pattuite, la conseguenza è solo una: il rapporto di lavoro deve considerarsi concluso a tempo indeterminato ab initio, con impossibilità per il datore di lavoro di licenziare il lavoratore a motivo di un presunto mancato superamento della prova.

Orientamenti giurisprudenziali

Così è stato affermato dalla stessa Corte Costituzionale (Corte cost. 22 dicembre 1980, n. 189) in merito alla interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2096, comma 2, c.c., in forza della quale, in buona sostanza, la legittimità del licenziamento intimato durante il periodo di prova può essere efficacemente contestata dal lavoratore quando risulti che non è stata consentita, per l’inadeguatezza della durata o per altri motivi, quella verifica del suo comportamento e delle sue qualità professionali alle quali il patto di prova è preordinato.

Così, univocamente, anche nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui, premesso l’impianto normativo e finalistico del sistema basato sul periodo di prova e sui reciproci obblighi da esso scaturenti, il potere di recesso dal contratto, spettante all’imprenditore, “non può essere esercitato arbitrariamente ed anzi è illegittimamente attuato se il lavoratore non sia stato posto in grado, per omessa concreta attribuzione delle mansioni, di sostenere la prova con conseguente manifesta pretestuosità del motivo di mancato superamento” (Cass. 1387/2000).

E così anche la giurisprudenza di merito, che ha statuito, in via più generale, che, qualora il lavoratore dimostri il superamento positivo della prova o l’imputabilità del recesso ad un motivo illecito determinante o il verificarsi del recesso dopo la scadenza temporale del patto o, ancora, l’adibizione a mansioni radicalmente diverse da quelle di assunzione, il rapporto di lavoro dovrà considerarsi a tempo indeterminato con le conseguenze del caso (App. Roma, 10 luglio 2003, in Dir. lav., 2003, II, 306).

L’assegnazione a mansioni ulteriori

Più specificamente, in fattispecie ben determinate, la giurisprudenza ha variamente affermato che:

  • in caso di assegnazione continuativa al lavoratore di mansioni ulteriori rispetto a quelle previste in sede di stipulazione del patto di prova, il recesso per mancato superamento dell’esperimento è illegittimo non solo quando per il rilievo quantitativo o qualitativo delle ulteriori mansioni si debba considerare sostanzialmente mutato l’oggetto complessivo della prestazione, ma anche quando risulti la potenziale incidenza, sul giudizio del datore di lavoro, dello svolgimento di mansioni ulteriori per la loro natura o per la loro influenza sulle condizioni di espletamento delle mansioni originarie: nella specie si trattava di dirigente assunto in prova con mansioni di direttore amministrativo e successivamente adibito ad ulteriori mansioni (Cass. 15432/2001);
  • il licenziamento per mancato superamento della prova è illegittimo quando il lavoratore non sia stato posto in grado di sostenere la prova “per mancata attribuzione delle mansioni che ne costituiscono l’oggetto” (App. Bologna 21 luglio 2000, in Riv. critica dir. lav., 2000, 1040; Trib. Monza 28 luglio 2004, in Riv. critica dir. lav., 2004, 896; Trib. Milano 17 novembre 2004, in Riv. critica dir. lav., 2005, 149).
  • il licenziamento per mancato superamento della prova è illegittimo qualora il lavoratore “sia stato in concreto adibito allo svolgimento di mansioni diverse rispetto a quelle indicate all’atto dell’assunzione” (Trib. Milano 15 giugno 2004, in Riv. critica dir. lav., 2004, 969).
  • essendo il periodo di prova finalizzato alla valutazione delle capacità del lavoratore in ordine allo svolgimento delle mansioni concordate all’atto dell’assunzione, “deve ritenersi illegittimo il licenziamento in prova disposto per una valutazione negativa riferita a mansioni diverse” (Trib. Milano 27 settembre 2001, in Riv. critica dir. lav., 2002, 92).

Il corollario, in merito al licenziamento del dirigente, è ancora più chiaro: non potendo tenersi conto della prova, il licenziamento motivato esclusivamente con riferimento ad un asserito “mancato superamento” della stessa deve ritenersi totalmente immotivato o, a tutto voler concedere, viziato da irrimediabile arbitrarietà, pretestuosità e contrarietà a buona fede del recesso datoriale.

In particolare, nella motivazione di Cass. 15432/2001 (peraltro pronunciata in fattispecie relativa ad un dirigente assunto in prova come direttore amministrativo ed affidato ad altre, più estese, mansioni), è ben spiegato come ai fini della corretta esecuzione del patto di prova, “è necessario” che il lavoratore sia stato effettivamente addetto alle mansioni precisate in sede di stipulazione del patto stesso.

Se ciò non avviene, “non è configurabile un esito negativo della prova e l’eventuale licenziamento non può trarre la sua legittimità dalla speciale facoltà di recesso di cui all’art. 2096 c.c.”, poiché il datore di lavoro non può avvalersi del patto di prova cui non abbia dato corretta esecuzione.

Per concludere sulla questione, può richiamarsi l’insegnamento della S.C., cristallizzato nella decisione 25301/2007, secondo cui, premesso che è illegittimo il recesso del datore di lavoro durante il periodo di prova se il lavoratore è stato adibito a mansioni diverse da quelle pattuite, occorre distinguere, riguardo alle conseguenze giuridiche di tale illegittimità, tra due diverse ipotesi, adattate al profilo dirigenziale:

(a) il caso di adibizione a mansioni radicalmente diverse con quelle indicate nel contratto, nel quale si ha la conversione della sperimentazione in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con tutti gli effetti del caso, ivi compresa la necessità della giustificatezza per intimare il licenziamento;

(b) il caso di adibizione a mansioni semplicemente non coincidenti con quelle pattuite, nel quale, invece, si ha come conseguenza il diritto alla prosecuzione della prova o al risarcimento del danno (Cass. 5 dicembre 2007, n. 25301; App Milano, 9 dicembre 2020, n. 888).

In ogni caso, trattandosi di dirigenti, è stata prospettata l’interpretazione secondo cui deve valere la regola generale in forza della quale il recesso del datore di lavoro in esito al periodo di prova può essere determinato anche da un motivo estraneo all’esperimento, “purché sia giustificato”, comportando, in mancanza di giustificazione, la corresponsione al dirigente dell’indennità supplementare prevista dalla contrattazione collettiva” (Trib. Roma 2 maggio 2007, in Guida dir., 2007, 40, 92. Nel caso specifico, peraltro, essendo risultato giustificato il recesso, è stata riconosciuta al dirigente la sola indennità di preavviso).


Articolo scritto per "ISPER HR Review" - n° 165 del 10 Maggio 2023 - da Pasquale Dui

Immagine di apertura: foto di Gerd Altmann da Pixabay
Frecce: elaborazione su foto di Veronica Bosley da Pixabay