Area
Diritto del Lavoro

Topic
Personale Internazionale

Luisa Marchesini

N° 144

23 novembre 2022

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Lavoratori stranieri in Italia
Analisi del modello italiano di politica migratoria dei lavoratori cittadini di Paesi terzi - Prima parte

1ª di 3 parti


Sommario

Prima parte
  1. La condizione giuridica del lavoratore cittadino di Paesi terzi
  2. Analisi diacronica della legislazione italiana in materia di politiche dell’immigrazione del lavoro straniero
  3. L’accesso del lavoratore extracomunitario nel mercato del lavoro italiano
Seconda parte
  1. Il principio di parità di trattamento tra lavoratori italiani e lavoratori stranieri
  2. La ricerca di una politica comune europea in tema di politiche dell’immigrazione dei lavoratori cittadini di Paesi terzi
Terza parte
  1. Meccanismi di regolarizzazione del lavoro straniero irregolare ed emergenza sanitaria Covid-19: l’art 103 “Emersione di rapporti di lavoro” d.lgs. n. 34/2020
  2. Considerazioni conclusive.

  1. La condizione giuridica del lavoratore cittadino di Paesi terzi

La disciplina interna riguardante l’accesso del lavoratore extracomunitario nel mercato del lavoro italiano è contenuta nel d.lgs. n. 286/1998.

L’accesso al lavoro del non-cittadino è subordinato allo svolgimento di un’attività lavorativa, che deve avvenire in base ad una programmazione degli accessi e seguendo una particolare procedura volta ad ottenere determinati visti di ingresso e permessi di soggiorno per lavoro subordinato e lavoro stagionale, rilasciati nei limiti di quote massime stabilite nel cd. decreto flussi, che ogni anno è emesso con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, secondo quanto sancito dall’art 3, co. 4 d.lgs. n. 286/1998.

Per quanto concerne la condizione giuridica dei lavoratori cittadini di Paesi terzi, non è presente, quindi, nell’ordinamento un diritto di ingresso e soggiorno dello straniero nel territorio e a questa assenza «corrisponde il potere statale di autorizzare la presenza dello straniero per una durata solitamente determinata e con atto revocabile»1.

  1. Analisi diacronica della legislazione italiana in materia di politiche dell’immigrazione del lavoro straniero

La normativa italiana in materia di immigrazione per motivi di lavoro è il frutto di una politica dell’immigrazione recente e frammentaria, tanto che fino al 1986, data di entrata in vigore della cd. “legge Foschi”, l’afflusso di cittadini stranieri sul territorio italiano era regolato dal Titolo V, rubricato “Degli Stranieri”, del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS) R.D. 18 giugno 1931, n. 773, che si basava sostanzialmente sulla legislazione del periodo del regime fascista, in contraddizione con le disposizioni dettate dall’art 10, co. 2 Cost..

Con la l. n. 943/1986 si è avviata la politica delle sanatorie dirette alla regolarizzazione e sono stati introdotti il permesso di soggiorno per motivi di studio e di turismo e la possibilità di effettuare il ricongiungimento familiare ed è stata ammessa l’autorizzazione al lavoro.

A tale legge va riconosciuto il merito di aver sancito la solennità della piena uguaglianza formale tra lavoratori italiani e stranieri.

Successivamente, la l. n. 39/1990 ha tentato di disciplinare organicamente in materia di rifugiati e di immigrazione, disponendo la programmazione quantitativa dei flussi di ingresso degli immigrati cd. economici ed ha regolarizzato la condizione degli stranieri già presenti sul territorio.

Inoltre, si è contraddistinta per un’impostazione severamente restrittiva: ad essa si deve, infatti, l’introduzione di meccanismi repressivi, attraverso la procedura di espulsione degli stranieri ritenuti “socialmente pericolosi”.

In seguito, con la l. n. 40/1998, la cd. “Legge Turco - Napolitano”, si assiste all’introduzione della prima disciplina interna sistematica e di carattere generale in tema di immigrazione.

Essa ha introdotto il cd. “Testo unico sull’Immigrazione”, d.lgs. n. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, tuttora vigente e che è volto ad assicurare, al contempo, l’integrazione lavorativa e sociale ed il controllo degli stranieri.

Attraverso tale decreto legislativo, infatti, è stato possibile sia potenziare le politiche di espulsione, con l’istituzione dei primi Centri di Permanenza Temporanea, sia impostare il sistema delle quote di ingresso, identificandolo come il momento di incontro tra la domanda e l’offerta di manodopera di stranieri ed ha previsto la possibilità di chiamata diretta del lavoratore extracomunitario da parte del datore di lavoro, attraverso il cd. “sistema dello sponsor”.

In particolare, esso «mirava a coniugare due esigenze fondamentali: da un lato assicurava un inserimento nel mercato del lavoro assistito, valorizzando anche le reti familiari e il ruolo delle catene migratorie […]; dall’altro garantiva la possibilità di un incontro diretto fra domanda e offerta di lavoro»2.

In seguito, con la l. n. 189/2002, la cd. “legge Bossi-Fini”, si osserva un generale inasprimento delle misure che erano state previste dalla l. n. 40/1998: attraverso la l. n. 189/2002, infatti, si è provveduto ad intensificare i controlli di chi già risiedeva in Italia, accorciando la durata dei permessi di soggiorno ed introducendo il reato di permanenza clandestina.

Infine, è stato eliminato il cd. “sistema dello sponsor”, in modo da rendere «ulteriormente stringente il nesso tra soggiorno e lavoro»3.

Gli interventi normativi successivi hanno riguardato il cd. “pacchetto sicurezza 2008 - 2009”, con cui è stata intrapresa una politica dell’immigrazione sempre più restrittiva, tanto che la l. n. 94/2009, Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, ha introdotto il reato di ingresso e soggiorno illegale ed ha previsto la possibilità di trattenere gli stranieri irregolari nei Centri di Identificazione ed Espulsione.

Tale impostazione restrittiva del periodo 2008-2009 è stata successivamente mitigata dall’attuazione della normativa sovranazionale.

In particolare, con la direttiva 2009/52/CE sono state introdotte sanzioni nei confronti dei datori di lavoro che impieghino lavoratori stranieri irregolari e con la n. 2011/98/UE è stato previsto il procedimento unico per il rilascio del permesso di soggiorno e di lavoro ed è stato sancito un insieme comune di diritti per i lavoratori di Paesi terzi.

Infine, il d. l. n. 13/2017, il cd. “Decreto Minniti - Orlando” ha introdotto, nel quadro delle normative vigenti, la possibilità per i richiedenti asilo di svolgere volontariamente e a titolo gratuito attività di utilità sociale a favore della collettività locale.

  1. L’accesso del lavoratore extracomunitario nel mercato del lavoro italiano

La legislazione italiana in materia di politiche dell’immigrazione del lavoro straniero degli ultimi anni è espressione di una normazione di emergenza ed è caratterizzata dal sostanziale sbilanciamento dell’attività normativa verso le regole riguardanti la gestione delle frontiere, la lotta all’immigrazione clandestina e i rimpatri.

Tale attività non ha permesso un adeguato intervento in tema di politiche dell’immigrazione dei lavoratori stranieri da parte del legislatore.

La disciplina giuridica che riguarda l’ingresso per lavoro subordinato o stagionale del lavoratore extracomunitario nel mercato del lavoro italiano è attualmente contenuta nel titolo III “Disciplina del lavoro” del d.lgs. n. 286/1998.

In particolare, all’art 22 co. 2 d.lgs. n. 286/1998 si stabilisce che l’accesso di un lavoratore straniero residente all’estero è subordinato alla previa verifica da parte del datore di lavoro dell’indisponibilità di un lavoratore presente sul territorio nazionale, presso il competente centro per l’impiego.

Accertata tale indisponibilità, il datore di lavoro è tenuto a inoltrare una richiesta di nullaosta allo sportello unico dell’immigrazione.

Detta richiesta, che può essere sia nominativa sia numerica, deve contenere la proposta del cd. “contratto di soggiorno” per lavoro subordinato, l’indicazione del trattamento retributivo e assicurativo e l’impegno del datore a fornire un adeguato alloggio al lavoratore e a sostenere le spese per l’eventuale rientro del lavoratore extracomunitario nel Paese di provenienza.

Effettuate tutte le necessarie verifiche da parte dell’ufficio, viene rilasciato il nullaosta all’assunzione al datore di lavoro, mentre il lavoratore straniero dovrà richiedere il visto d’ingresso alla rappresentanza consolare competente.

Successivamente, secondo quanto stabilito dall’art 5 bis d.lgs. n. 286/1998, il lavoratore straniero dovrà presentarsi presso il competente sportello unico per la sottoscrizione del contratto di soggiorno per lavoro subordinato, dell’accordo di integrazione e della richiesta del permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

Il permesso di soggiorno per motivi di lavoro è rilasciato dalla Questura e la sua durata corrisponde a quella stabilita dal contratto di lavoro e comunque non può superare i termini di tempo di cui all’art 5, co. 3 bis d.lgs. n. 286/1998.

Il permesso di soggiorno per motivi di lavoro viene così a costituire «il cardine del sistema di controllo amministrativo per l’ingresso e il soggiorno nel territorio»4.

Il d.lgs. n. 286/1998 detta una complessa e restrittiva procedura per l’accesso dello straniero extracomunitario come lavoratore subordinato nel mercato del lavoro italiano.

Anzitutto, essa consiste nell’assunzione a distanza, attivata non dallo straniero, bensì dal datore di lavoro che richiede l’assunzione di uno straniero ancora residente all’estero: tale procedura, infatti, si fonda sul presupposto che i cittadini di Paesi terzi, di cui si richiede l’assunzione, non siano presenti in Italia all’atto della richiesta da parte del datore di lavoro.

La procedura prevede la stipula di uno specifico contratto, cd. “contratto di soggiorno”, quale condizione necessaria per il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, che, a sua volta, permette il perfezionarsi della procedura d’ingresso nello Stato, consentendo al lavoratore straniero di soggiornare regolarmente in Italia.

In tale procedura si inserisce anche il cd. decreto flussi, determinando una chiusura anche sul piano quantitativo degli ingressi dei lavoratori extracomunitari.

Secondo quanto stabilito dall’art 21, co. 1 d.lgs. n. 286/1998, difatti, «l’ingresso nel territorio dello Stato per motivi di lavoro subordinato, anche stagionale e di lavoro autonomo, avviene nell’ambito delle quote di ingresso stabilite nei decreti di cui all’articolo 3, comma 4».

Tale norma aggiunge, inoltre, che «nello stabilire le quote, i decreti prevedono restrizioni numeriche all’ingresso di lavoratori di Stati che non collaborano adeguatamente nel contrasto all’immigrazione clandestina o nella riammissione di propri cittadini destinatari di provvedimenti di rimpatrio».

Segue nella seconda parte che sarà pubblicata sul numero 145 del 30 novembre 2022


Note

  1. M. C. Locchi, I diritti degli stranieri, Carrocci - Diritto e Politica, Roma, 2011, p. 107.
  2. N. Castelli, Politiche dell’immigrazione e accesso al lavoro nella legge Bossi-Fini, in LD, 2003, n. 2, p. 314.
  3. W. Chiaromonte, Lavoro e diritti sociali degli stranieri. Il governo delle migrazioni economiche in Italia e in Europa, Giappichelli, 2013, p. 167.
  4. A. Viscomi, Immigrati extracomunitari e lavoro subordinato. Tutele costituzionali, garanzie legali e regime contrattuale, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1991, p. 142.

Articolo scritto per "ISPER HR Review" - n° 144 Novembre 2022 - da Luisa Marchesini

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