Area
Diritto del Lavoro

Topic
Costituzione Rapporto Lavoro

Maurizio de la Forest de Divonne

N° 106

23 febbraio 2022

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Patto di non concorrenza: il pagamento del corrispettivo può effettuarsi anche in costanza del rapporto di lavoro?

La Suprema Corte (ordinanza n. 23418 del 25 agosto 2021) si è così pronunciata: “Il patto di non concorrenza, quanto al corrispettivo dovuto, non deve prevedere compensi simbolici o manifestamente iniqui o sproporzionati in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore e alla riduzione delle sue capacità di guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiesto rappresenta per il datore di lavoro e dal suo ipotetico valore di mercato; il corrispettivo del patto di non concorrenza può essere erogato anche in corso del rapporto di lavoro”.

La vicenda in esame riguardava il patto di non concorrenza stipulato tra un Istituto di credito ed un suo Dirigente, prima dichiarato nullo dal Tribunale di Milano e, successivamente, legittimo dalla Corte d’Appello.

I profili di valutazione del patto in questione avevano riguardato, in particolare, l’aleatorietà dello stesso in relazione al corrispettivo pattuito, nonché la sua congruità rispetto ai predeterminati limiti di oggetto, di tempo e di luogo.

Aspetti, questi, sui quali si è innestato il ragionamento logico-giuridico della Suprema Corte.

La sentenza in commento è del tutto rilevante, poiché forse rappresenta un definitivo punto di arrivo sul tema del pagamento del patto in costanza di rapporto di lavoro, tema sul quale sino ad oggi non si registravano unanimità di vedute, specie nella giurisprudenza di merito.

Invero, il Tribunale di Milano si era espresso, precisando che il corrispettivo per la stipula di un patto di non concorrenza deve essere “predeterminato nel suo preciso ammontare, al momento della stipulazione del patto, giacché è in tale momento che si perfeziona il consenso delle parti, e congruo rispetto al sacrificio richiesto al lavoratore in quanto costituisce il prezzo di una parziale rinuncia al diritto al lavoro costituzionalmente garantito”.

Se effettuata in costanza di rapporto di lavoro, la previsione del pagamento di un corrispettivo, da un lato, infatti, introduce “una variabile legata alla durata del rapporto di lavoro che conferisce al patto un inammissibile elemento di aleatorietà e indeterminatezza” e, dall’altro, facendo dipendere l’entità del corrispettivo esclusivamente dalla durata del rapporto, “finisce di fatto per attribuire a tale corrispettivo la funzione di premiare la fedeltà del lavoratore, anziché di compensarlo per il sacrificio derivante dalla stipulazione del patto” (Tribunale di Milano, sent. 18 giugno 2001, sent. 19 marzo 2008, sent. 28 settembre 2010, e più recentemente: sent. 26 maggio 2021).

La Suprema Corte, con la pronuncia in commento, è quindi ritornata sull’annoso tema e, ripercorrendo alcuni dei suoi precedenti arresti, ha ribadito che il patto di non concorrenza (art. 2125 c.c.), per esser valido:

  1. non deve necessariamente limitarsi alle mansioni espletate dal lavoratore nel corso del rapporto, ma può altresì riguardare qualsiasi prestazione lavorativa che possa competere con le attività economiche proprie del datore di lavoro, da identificarsi in relazione a ciascun mercato nelle sue oggettive strutture, ove convergano domande e offerte di beni o servizi identici o comunque parimenti idonei a soddisfare le esigenze della clientela del medesimo mercato;
  2. non deve essere di ampiezza tale da comprimere la esplicazione della concreta professionalità del lavoratore, in termini che ne compromettano ogni potenzialità reddituale;
  3. non deve prevedere, quanto al corrispettivo dovuto, compensi simbolici o manifestamente iniqui o sproporzionati in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore e alla riduzione delle sue capacità di guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiesto rappresenta per il datore di lavoro e dal suo ipotetico valore di mercato (cfr. Cass. n. 9790 del 2020);
  4. il relativo corrispettivo può essere erogato anche nel corso del rapporto di lavoro (cfr. Cass. n. 3507 del 2001).

Ebbene, è proprio quest’ultima statuizione che consente, forse, di scrivere la parola fine all’annoso dibattito.

Fatte queste premesse, secondo i giudici di legittimità, la Corte di Appello si era correttamente attenuta ai predetti criteri, poiché in definitiva nel patto era stato previsto un impegno del dipendente, dopo la risoluzione del rapporto, a non svolgere direttamente o per interposta persona attività o mansioni di tipo analogo a quelle svolte in azienda per la durata di tre mesi.

Inoltre, la pronuncia della Corte territoriale, valutata come completa, logica, corretta giuridicamente ed esaustiva dalla Suprema Corte, aveva osservato che la durata del vincolo, oltre ad esser molto contenuta, aveva riguardato una estensione territoriale limitata solo ad alcune regioni (del nord e centro Italia).

Infine, le modalità di determinazione di tale patto non risultavano aleatorie: l’importo era facilmente determinabile e la previsione di un corrispettivo, pari ad € 10.000,00 annui, concesso nel corso del rapporto, ma destinato ad aumentare con la durata dello stesso, consentiva di contemperare gli interessi di entrambe le parti.

In ordine all’ammontare del corrispettivo, la giurisprudenza è costante nell’ammettere che esso debba aggirarsi intorno al 20%-30% della retribuzione lorda annua, fermo restando la previsione di una percentuale maggiore o minore, a seconda dell’ambito territoriale previsto dal patto. Sotto tale profilo, sono stati giudicati congrui dai giudici di merito e di legittimità, i seguenti corrispettivi:

  • per un vincolo limitato ad alcune regioni d’Italia: 10-20% dell’ultima RAL per ogni anno di durata del patto (Trib. Siena, 27/01/2014; Trib. Milano, 27/01/2007; Trib. Milano 21/07/2005);

  • per un vincolo esteso all’Italia: 30-35% dell’ultima RAL per ogni anno di durata del patto (Cass. 04/04/2006, n. 7835);

  • per un vincolo di non concorrenza esteso all’Europa: 50% dell’ultima RAL per ogni anno di durata del patto (Tribunale di Milano, 3/05/2005).

In conclusione, la sentenza in commento pone, auspicabilmente, la parola fine alla possibilità di pagamento del patto in costanza di rapporto, vagliandola espressamente.

Tuttavia, occorre che le aziende prestino pur sempre attenzione alla congruità degli importi erogati a tale titolo, dal momento che la valutazione di liceità dei patti dipende necessariamente da circostanze, suscettibili di variare a seconda del caso concreto.


Tratto da "Sentenze e Commenti" - 151 - Gennaio 2022 - Uno dei servizi dell'Abbonamento ISPER

Foto di testa: foto di Sozavisimost da Pixabay
Frecce: elaborazione su foto di Veronica Bosley da Pixabay