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Cultura delle Risorse Umane

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Valerio Vitolo

N° 61

14 aprile 2021

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Cosa potrà lasciare in eredità la pandemia?

Le fasi della pandemia

Ormai è passato oltre un anno dall’inizio della pandemia ed abbiamo attraversato varie fasi che sociologi, psicologi esperti di vario tipo hanno cercato di analizzare fornendo colorazioni diverse a seconda dei momenti ma che si possono riassumere in 4 ben distinte situazioni emotive che provo a sintetizzare senza la pretesa di essere un esperto ma semplicemente riportando il mio vissuto e le mie sensazioni: la fase iniziale quella del lockdown (abbiamo tutti imparato questo termine prima sconosciuto!) caratterizzata dall’incertezza, dall’incoscienza, dall’ignoranza, dalla tanta curiosità, dalla solidarietà, dalla voglia di aiutare l’altro, dalla paura del futuro ma anche da una inconsapevole certezza che ne saremo venuti fuori.

La seconda fase, coincidente con l’estate e con il calo dei contagi, dove ha dominato la voglia di vivere, quasi ad esorcizzare un periodo nero che si credeva alle spalle, la conferma che con il sacrificio ne saremmo davvero venuti fuori, il sentirsi superiori a tutto e a tutti tanto da non rispettare alcuna regola e da fingere di non vedere che il problema era ancora lì, ancora l’incoscienza ha dominato i nostri comportamenti.

La terza fase, quella autunnale protrattasi fin dopo Natale, quella del timore di essere ripiombati in un tunnel senza uscita, della paura di un futuro compromesso per sempre, dell’impossibilità di ritornare alla normalità come era pre-COVID, infine la quarta fase post natalizia quella della speranza legata al vaccino, quella degli alti e bassi umorali per una situazione che stancamente si trascina ormai da un anno, quella della stanchezza mentale per una situazione insolita che inizialmente sembrava potesse essere di breve durata e che invece durerà e come, ma soprattutto lascerà segni profondi nella vita di ognuno, nei comportamenti ecc.: insomma dall’incoscienza alla consapevolezza che qualcosa è cambiato!

Come tutto ciò inciderà sui nostri comportamenti

Cambiano i comportamenti e questo ci rattrista perché siamo abitudinari ed affrontare il nuovo uscendo dalla zona di comfort costruita negli anni ci spaventa.

Ma così come non tutto è oro ciò che luccica, parimenti non tutto ciò che questa pandemia ci lascerà in eredità è da buttare: ovviamente piangeremo per sempre i tanti che ci hanno lasciati e che nessuno potrà restituirci, ma anche per onorare loro dovremmo avere la coscienza (e non l’incoscienza che ragionevolmente ci ha caratterizzato nelle fasi sopra descritte) di fare nostri alcuni insegnamenti della pandemia: la solidarietà, l’etica, la sostenibilità ambientale e non solo, il rispetto dell’altro, il rispetto delle regole specie comportamentali (e non cercare sempre l’inganno per bypassare la norma!), solo per citarne alcuni.

Gli effetti sul mondo del lavoro

Anche il mondo del lavoro ed il modo di lavorare sono stati inevitabilmente e fortemente impattati dalla pandemia non solo per le conseguenze catastrofiche su alcuni settori dell’economia mondiale (e tante conseguenze le scopriremo solo con il tempo), ma anche per gli effetti sui comportamenti, sul modo di relazionarsi, sul mutato rapporto tra azienda e collaboratore e tra colleghi e sullo stesso processo di globalizzazione (inarrestabile certamente, ma sicuramente condizionato dalla pandemia e destinato a mutare nel futuro così come lo è stato nel presente con la riduzione dei viaggi, con i meeting gestiti da remoto etc etc).

Cercando di razionalizzare il tutto, le cosiddette survey e i questionari diffusi nel corso della pandemia hanno evidenziato quanto sopra e le necessità conseguenti cui il mondo del lavoro e quello delle aziende non possono trascendere.

Anzitutto una diffusa attenzione per il welfare inteso in maniera diversa e forse insolita rispetto ad un passato anche recente.

Non solo e non tanto attenzione per gli aspetti previdenziali ed assistenziali, da sempre punto di riferimento delle rivendicazioni sindacali in materia, ma anche e soprattutto una particolare attenzione per il benessere (il cosiddetto well-being) sia fisico che psicologico, il mental health, che sicuramente mesi di lavoro da casa hanno prepotentemente portato alla ribalta come contraltare di quella mancanza di contatto umano da tutti ampiamente avvertita e che forse mai avremmo immaginato in passato come necessità così diffusa a tutti i livelli.

Lo stesso processo di digitalizzazione ha avuto una incredibile accelerazione durante la pandemia: la necessità ha costretto a fare passi avanti inimmaginabili anche in settori eternamente in ritardo come la Pubblica Amministrazione e la Scuola.

Con tanta approssimazione e “artigianalità” - se mi è consentito questo termine per indicare la capacità di adattamento e di self-made delle persone chiamate ad adeguarsi alle necessità del lavoro da casa molte volte senza una idonea formazione di base ma guidati dal senso del dovere o nei casi più illuminati da forme di reverse mentoring da parte delle giovani generazioni dei nativi digitali - si è assistito ad una diffusione esponenziale della digitalizzazione e dell’automazione in tutti i settori.

Giocoforza anche il lavoro agile, da strumento utilizzato da pochi eletti e da poche aziende illuminate che in passato hanno creduto in esso pur dovendo confrontarsi con la dilagante burocrazia del nostro Sistema che non lo aveva certo favorito, è divenuto la forma tipica di lavoro per mesi per la maggior parte dei lavoratori pubblici e privati: certo la pandemia ne ha stravolto la finalità, nato infatti come strumento per gestire il work life balance, è divenuto nei mesi scorsi un telelavoro diffuso, per buona pace del corretto bilanciamento tra vita lavorativa e vita privata.

Tuttavia oggi è un fenomeno irreversibile che andrà sì disciplinato per recuperarne la sua originaria natura, ma reso meno burocratizzato di quanto non lo fosse prima del COVID.

Cosa resterà di tutto ciò e quali occasioni cogliere?

Saremo in grado di far tesoro di quanto di positivo è emerso in questi mesi? Abbiamo sperimentato un nuovo modo di lavorare, basato su una maggiore responsabilizzazione, dove il “cartellino orologio” ha lasciato il posto agli obiettivi e le persone vengono valutate ed apprezzate per la capacità di raggiungere risultati piuttosto che essere retribuite per il tempo trascorso al lavoro.

C’è ancora tanta strada da percorrere ma probabilmente siamo all’inizio di una nuova era se tutti (Istituzioni, Aziende, Sindacati ecc.) saranno in grado di recitare in maniera convergente la propria parte.

Cambierà il modo di intendere l’ufficio: abbiamo visto nel corso dei decenni tante trasformazioni dagli uffici chiusi come tante stanze di un mega appartamento ad open space.

Oggi il diffondersi dell’home working consentirà di poter lavorare da luoghi diversi pur non perdendo la connessione con il proprio ufficio e probabilmente l’ufficio sarà un luogo di incontro fisico nel quale recarsi quando si ha bisogno di socialità, di confrontarsi con le idee dei colleghi, di condividere pratiche positive (le cd. Best practice). Un ufficio-piazza senza postazioni fisse o distese di scrivanie, ma con spazi ampi e comodi sofà per stimolare la creatività ed il dibattito tra colleghi.

Le persone ne trarranno vantaggio potendo davvero gestire l’equilibrio tra vita lavorativa e vita privata senza l’assillo di dover timbrare, ma guidati dalla necessità prevalente di raggiungere obiettivi ed ottenere risultati.

Le aziende ne trarranno vantaggio con personale motivato e risparmi nelle spese per strutture fisiche ridondanti e non più essenziali e per i relativi costi accessori da reinvestire nel well-being dei propri collaboratori.

La società ne trarrà vantaggio con meno traffico, centri storici che ritorneranno ad essere dominio dei turisti, megalopoli probabilmente svuotate a vantaggio di un ritorno alla ruralità e ad una vita più naturale (e a minor costo) soprattutto nel nostro belpaese (a tal proposito qualcuno parla già di south-working, come fenomeno di ritorno dei passati flussi migratori).

E le fabbriche?

Avanzerà la robotica ed in futuro sarà possibile controllare i macchinari da casa: utopia o realtà? (quando ho iniziato a lavorare in Fiat era impensabile e fantascientifico già solo non timbrare il badge! quindi c’è di che sperare in meglio).

Queste cose però bisogne farle e chi non le farà resterà indietro, perderà i talenti. Un processo irreversibile: come l’Italia perde tanti talenti che vanno a lavorare in quei Paesi dove si sentono meglio apprezzati e coccolati, così le aziende che consentiranno quanto sopra e quindi coccoleranno i propri collaboratori attrarranno i talenti degli altri magari facendo rientrare anche talenti dall’estero o attraendo talenti stranieri in un’ottica di inclusion diffusa.

In questo processo il ruolo dello Stato sarà fondamentale non solo quale datore di lavoro dovrà adeguarsi e supportarlo, ma come legislatore dovrà porsi l’obiettivo di favorirlo anche dopo l’emergenza con meno burocrazia e più pragmatismo.

Certo se per attivare lo smartworking verranno ristabilite le procedure pre-COVID allora avremmo perso una grande occasione per realizzare quel processo di sburocratizzazione del Paese tanto annunciato e proclamato ma nei fatti finora mero sogno.

Ruolo della funzione HR

Il ruolo della funzione HR sarà rilevante anzitutto nel portare avanti queste istanze, rendendo irreversibile questo processo, facendo capire le motivazioni che sottostanno a questo cambiamento epocale, ridando centralità alla risorsa umana e alle sue necessità: insomma un ruolo nuovo di challenger del business.

L’HR dovrà aiutare i collaboratori a ritrovare emozioni positive e gli uomini e le donne del business a comprendere quanto tutto ciò faccia incrementare il livello di motivazione dei dipendenti, il senso di appartenenza ed in ultimo ma non ultimo i profitti aziendali.

L’HR dovrà dunque assumersi la responsabilità di fare da traino di questo nuovo deal, e non farsi trascinare, dovrà gestire in prima persona il cambiamento: se sarà capace di farlo capire supportandolo con intelligenza (anche emotiva) avrà ridato impulso ad un nuovo umanesimo: il ritorno della centralità dell’uomo, un nuovo equilibrio con la risorsa umana che prevale sulla finanza (o che quanto meno non ne soccombe).

Realista o visionario?

Presto avremo una grande multinazionale che sostituirà il proprio Headquarter con una semplice casella postale?

Forse è una scelta troppo coraggiosa per noi comuni mortali: chissà!

Certo molto dipenderà dalla capacità anche dell’HR di essere convincente, affidabile nelle proposizioni, serio e coerente nei comportamenti.

Voglio essere positivo ed ottimista... intanto che cominciamo a intravedere la luce alla fine di questo lungo tunnel della pandemia!

‘Remember your humanity. Forget the rest…’ - Bertrand Russell

Tratto da "Personale e Lavoro n° 632 - Aprile 2021" - Uno dei servizi dell'Abbonamento ISPER