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Cultura delle Risorse Umane

Topic
Cambiamento

Marco Monga e Umberto Frigelli

N° 56

17 marzo 2021

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L’impatto dell’HR tech nello sviluppo delle organizzazioni

Da diverso tempo si parla un po’ ovunque di intelligenza artificiale, machine learning, deep learning, digital transformation e così via.
A volte lo si fa per raccontare un (ipotetico) futuro distopico che incombe, altre per vestire con queste “magie” cose in realtà un po’ vintage.
Per comprendere il senso dei tempi che viviamo è opportuno comprendere cosa davvero la tecnologia e il digitale oggi sono in grado di fare, quali sviluppi futuri siano prevedibili e misurare l’impatto di tutto ciò sulle cose che conosciamo e che, a volte senza che ce ne siamo accorti, sono in realtà già cambiate profondamente.

Volendo sintetizzare al massimo una definizione utile allo sviluppo di questo tema, pensando in modo mirato all’argomento oggetto del nostro interesse, ossia l’HR tech, è possibile dire che l’intelligenza artificiale è l’abilità delle macchine di riprodurre processi cognitivi umani grazie ad algoritmi, ossia istruzioni scritte in un linguaggio informatico (il codice) e che attuano operazioni matematiche complesse, che ci consentono di elaborare dati per strutturare informazioni.

Il machine learning a sua volta è un sottoinsieme dell’intelligenza artificiale e, andando ancora più nello specifico, il deep learning lo è del machine learning.

In questo senso si sente spesso anche parlare di reti neurali, proprio per richiamare alla mente l’idea di un sistema in grado di mimare il funzionamento del cervello umano.

Le reti neurali, per capirci, sono quelle evoluzioni dell’intelligenza artificiale che consentono ai diversi device di interagire con noi, rispondendo alle nostre domande (Alexa, Siri, ecc.), riconoscendo immagini (Google, ecc.) o suoni (Shazam, ecc.).

Per completare la premessa di contesto, la digitalizzazione è invece il processo che trasforma un qualsiasi dato da analogico a digitale: se questo diventa codice binario, ossia leggibile e utilizzabile da un sistema computerizzato, vuol dire che il dato è stato digitalizzato.

Quindi grazie allo sviluppo del digitale è possibile fornire enormi mole di dati a sistemi in grado (grazie alle tecniche di autoapprendimento proprie del machine learning e del deep learning) di risolvere problemi molto complicati ovvero di svolgere funzioni complesse.

Non c’è dubbio che oggi siamo nel pieno della rivoluzione digitale, il ruolo delle macchine (bot) sta assumendo sempre più centralità nel modo con cui ognuno di noi interagisce con il mondo circostante.

Lo si può osservare quando guidiamo una macchina, utilizziamo il nostro cellulare, guardiamo la televisione, giochiamo con le console di ultima generazione, interroghiamo un motore di ricerca, ecc.

Pensando alle organizzazioni e alle persone, è evidente quanto sia strategico per le funzioni HR comprendere tutto ciò e imparare a governarne lo sviluppo, acquisendo con urgenza le competenze necessarie: possiamo dire che il digitale è come un sesto senso aggiuntivo, che ci dota di qualcosa che fino ad oggi non avevamo, cioè di un’ulteriore lente attraverso la quale interpretare il contesto e che avvolge l’employee experience.

La digitalizzazione e i sistemi di intelligenza artificiale sono strategici più che per le funzioni di ICT, che ne presidiano le tecnologie in quanto tali, per chi si occupa del loro impatto funzionale, quindi per chi si occupa di business da un lato e dello sviluppo del capitale umano e dell’organizzazione dall’altro.

Seppure parliamo di tecnologie di frontiera, già oggi vi sono molteplici ambiti applicativi per i quali possiamo parlare di soluzioni mature, anche nel “catalogo” delle tecnologie applicate ai processi propri delle funzioni HR.

Tra queste, possiamo citare:

  • gli strumenti di gestione della forza lavoro in generale, di rilevazione costi di manodopera, dello scheduling e dei timesheet;

  • gli strumenti per la definizione e il monitoraggio di valutazione delle prestazioni e i sistemi per il feedback;

  • i sistemi di gestione delle politiche retributive;

  • le piattaforme di e-learning, i portali per l’iscrizione ai corsi e il tracking del percorso formativo, i sistemi online per l’assessment delle competenze, gli strumenti per il micro learning, i sistemi di gamification;

  • i portali per la gestione curriculum dei candidati ed il workflow di selezione, l’acquisizione di videointerviste o video cv in fase di candidatura (video-recruiting);

  • le chatbot per rispondere a richieste di informazioni dei candidati.

La digitalizzazione dei processi HR è da interpretare e governare su tre assi, complementari e tutti ugualmente rilevanti.

Il primo è quello del costo comparato al risultato, ossia della produttività e dell’efficienza, che da sempre è il parametro su cui le tecnologie si misurano per verificarne l’utilità.

Da questo punto di vista, grazie all’intelligenza artificiale oggi è possibile delegare ai bot compiti complessi, non solo complicati, con l’atteso effetto di ridurre o addirittura annullare il lavoro umano, oltre ad abbreviarne il tempo di svolgimento.

In secondo luogo la digitalizzazione rende possibile realizzare obiettivi di natura anche qualitativa e di efficacia, ampliando lo spettro funzionale verso le nuove sfide organizzative, come abilitando la trasformazione dell’organizzazione in ottica agile, i sistemi collaborativi innovativi, lo sviluppo di enterprise social network per rinforzare senso di appartenenza e adesione valoriale, la connessione tra sistemi di osservazione dei comportamenti individuali e dei loro effetti sulla prestazione complessiva e i sistemi premianti, la geolocalizzazione a supporto del work force management, ecc.

Ma in ultima istanza, come ulteriore valore aggiunto, grazie alle tecnologie si alimenta il sistema cognitivo dell’organizzazione, rendendo possibile osservare molteplici dati altrimenti non rilevabili, ipotizzarne correlazioni e apprendere in forma sempre più approfondita i meccanismi di influenza reciproca tra fenomeni apparentemente non connessi, sviluppando la capacità di formulare scenari predittivi di eventi ad alto impatto, di costruire team pro tempore ad alta prestazione, ecc.

Se diamo al termine “digitalizzazione” un significato che esula dalla tecnologia (seppure possa sembrare un paradosso) e ci riferiamo al frame culturale, possiamo osservare che la digitalizzazione della funzione HR è un processo evolutivo che corrisponde sotto il profilo dei metodi a quello che è l’evoluzione parallela avvenuta e tuttora in corso di natura sociologica e culturale.

Questo per la semplice ragione che, rispetto al passato, oggi “informatizzare” attività manuali e di ausilio all’agire umano è necessario anche per avvicinare la modalità con cui le organizzazioni trasformano beni e dati in prodotti e informazioni a valore aggiunto a quella che è la modalità in cui le persone imparano nel quotidiano nel comune agire di individui (ricerca di soddisfazione a bisogni primari, vita sociale, ricerca del benessere, ecc.).

Certo è che, per utilizzare software evoluti e che sono costruiti con i parametri delle Intelligenza Artificiale (IA) nei processi di gestione delle Risorse Umane, bisogna innanzitutto sia superare le resistenze legate all’automatizzazione di processi normalmente gestiti da esseri umani con e per esseri umani, sia essere consapevoli dei rischi che questa operazione comporta.

Diverse aziende hanno già affrontato e stanno affrontando questo tema con soluzioni standardizzate o personalizzate.

L’applicazione di IA nei processi di recruiting e selezione, per esempio, è una realtà sia per organizzazioni specializzate nella selezione che per grandi aziende manifatturiere o che erogano servizi diversi. Monster utilizza per la selezione dei candidati sistemi di video interviste che effettuano uno screening iniziale di coloro che vogliono accedere a determinate posizioni.

Il passaggio successivo è fatto con interviste fatte da persone fisiche. Esistono però delle start up che stanno sperimentando la digitalizzazione per leggere le espressioni facciali dei candidati.

Sul mercato si trovano algoritmi che permettono di fare pre screening di grandi quantitativi di CV o chatbot, come Vera, progettata da una start up russa, che può fare interviste e creare classifiche dei candidati. Video interviste che consentono di ridurre i tempi di prescreening e restituire valutazioni al recruiter sono state introdotte da Enel. Anche Intesa Sanpaolo utilizza già sistemi di video interviste e sta lavorando su sistemi che consentiranno di creare gli abbinamenti ideali tra posizioni e candidati.

Negli assessment, in una logica di gamification, Intesa ha introdotto algoritmi che consentono di ricreare virtualmente l’esperienza fisica.

Intesa Sanpaolo sta introducendo diversi sistemi IA in supporto ai processi di Human Resource Management, nella logica del contesto di digital transformation che la banca ha abbracciato. Utilizza per esempio un algoritmo che attraverso una serie di variabili permette di costruire un piano di successione, creando ranking di persone che potrebbero ricoprire potenzialmente un certo ruolo. Inoltre sta lavorando alla progettazione di un gestore virtuale, costituito da una chatbot, che consenta di liberare tempo dei ruoli di gestione HR da attività amministrative e ripetitive.

Parimenti Enel ha sposato e investito in un programma di People Digital Transformation, creando l’assistente virtuale, Joy, che consente di conversare in modo naturale e fornire risposte ad esigenze specifiche.

Joy utilizza sul profilo digitale di ciascuna persona che comprende skill, interessi, lingue parlate e aspirazioni di carriera.

Enel ha inoltre introdotto robot dalle sembianze umanoidi in spazi fisici dedicati all’assistenza di problemi tecnologici e utilizza analytics predittivi per gestire le mole di dati a disposizione sui dipendenti per aiutare nel processo di sviluppo e crescita del personale.

Sempre nell’ambito della esemplificazione va citata anche Unilever, che ha messo al centro della sua strategia HR, a livello globale, sia la filosofia del Future of Work e l’employability sia il data driven HR.

L’azienda utilizza infatti algoritmi in grado di incrociare i dati delle persone con i dati del business.

Questo consente di cercare le “persone giuste per il posto giusto”, mappare le posizioni aperte sul mercato relative a un job, pensare a programmi di retention per posizioni considerate a rischio di uscita dall’organizzazione.

Attraverso una piattaforma apposita poi si possono dare feedback in tempo reale ai singoli individui e scambiarsi feedback tra team.

È evidente dunque che i sistemi avanzati di tecnologia, gli algoritmi e l’IA aiuteranno sempre più anche i ruoli HR a liberarsi da compiti ripetitivi, come l’assistenza sui processi amministrativi, moltiplicare in modo impensabile operazioni di ricerca informazioni e screening di dati, come nel caso del recruiting e dell’analisi dei cv, fare previsioni o costruire modelli predittivi anche sui singoli individui.

Nella misura in cui gli algoritmi inglobano in sé sistemi di machine learning e rilevano correlazioni, dando ordine alla complessità di input e utilizzando quanto appreso nel passato, possono costruire modelli predittivi che aiutano a prendere decisioni più basate su dati e fatti, come l’assunzione di persone, la loro promozione, gli interventi di retention.

Qui però si annidano alcuni pericoli, di cui gli HR manager devono essere consapevoli.

Innanzitutto è dimostrato da casi e ricerche che negli algoritmi si annidano i bias cognitivi e culturali di chi li costruisce e questi possono portare danno sia nelle attività di selezione sia in quelle di sviluppo, soprattutto se autoalimentate dall’apprendimento automatico. Poi la complessità del mondo reale e la personalità degli individui sono spesso più articolate dei dati che si riescono a inferire e inserire e richiedono, nel prendere decisioni, una capacità di giudizio umano che è fondamentale.

Se è vero che le macchine vincono oggi contro molti giocatori di scacchi, solo quando i campioni si avvalgono anche dei dati delle macchine questa alleanza diventa invincibile.

Sarà dunque necessario, in un futuro che è sempre più presente, avere profili di professionalità HR non solo in grado di prendere decisioni in un mondo complesso, ambiguo e altamente mutevole, ma anche capaci di conoscere le nuove traiettorie di sviluppo della IA e gestire ciò che di utile gli algoritmi ci possono dare, integrandoli con il giudizio e l’esperienza che solo le persone possono sviluppare.

Tratto da "Personale e Lavoro n° 631 - Marzo 2021" - Uno dei servizi dell'Abbonamento ISPER