Area
Cultura delle Risorse Umane

Topic
Leadership

Giorgia Marchetti

N° 38

11 novembre 2020

Visualizzazioni 1382

Leadership ai tempi dello smart working

Introduzione

 

Le vecchie logiche del controllo oggi non funzionano più.

La trasformazione digitale e, in misura ancora maggiore, gli ultimi avvenimenti legati alla diffusione del Covid-19, hanno avviato, in Italia, una serie di cambiamenti cui le imprese non hanno potuto non rispondere.

Tra questi, vi è stata una forte accelerazione verso una “nuova” prospettiva del lavoro, ovvero verso l’adozione dello smart working.

Tuttavia, più che di smart working si è trattato per lo più di lavoro da remoto, sollecitato dall’emergenza in atto, per mettere in sicurezza milioni di lavoratori italiani.

Come già ampiamente descritto dalla letteratura in merito, lo smart working, che rappresenta una rivoluzione in termini di organizzazione e raggiungimento dei risultati, non riguarda esclusivamente il dove lavorare, ma anche e soprattutto il quando e il come.

Di conseguenza, le logiche sottostanti sono totalmente differenti dal remote working (lavoro a distanza appunto).

Tuttavia, ai fini della nostra trattazione, è stato interessante indagare il concetto di smart working, che, nonostante questo periodo sia stato applicato parzialmente (solamente rispetto al “dove”) dalla maggior parte delle aziende presenti nel paese, nel periodo pre-covid, ha avuto seri e forti impatti nella riorganizzazione interna di chi invece lo ha introdotto a regime.

Infatti, secondo gli ultimi dati rilevati dal Politecnico di Milano, nel 2019 i lavoratori in mobilità hanno raggiuto i 570.000, il 20% in più rispetto al 2018, con lievi aumenti percentuali nelle grandi imprese, nelle pmi e nella pubblica amministrazione.

I dati, ma in generale il concetto stesso di smart working, ci portano a fare due riflessioni: la prima è che non può essere applicato per “moda”, in quanto ci sono business che lo consentono e altri in cui non è strutturalmente possibile.

La seconda, è che non è più sufficiente ragionare in termini esclusivamente razionali e di hard skills, ma capire le logiche sottostanti e i suoi impatti, soprattutto verso le soft skills che riflettono i comportamenti.

La cultura aziendale è la chiave di volta.

Il cambiamento culturale risulta necessario laddove, per implementare lo smart working, deve essere abbandonato il vecchio retaggio aziendale secondo cui sarebbe necessaria la presenza fisica sul posto di lavoro e all’interno di postazioni predefinite.

La “cultura del sospetto1”, quella volta al controllo, deve trasformarsi nella cultura della condivisione degli obiettivi e dei risultati.

Hartog, Solimene e Tufani (2015) identificano le cosiddette “3B” dello smart working: bytes, bricks e behaviours.

Le prime due, ovvero la tecnologia e gli spazi fisici, rappresentano le hard skills, mentre l’ultima, i comportamenti, rappresenta le soft skills.

All’interno di questo articolo ci occuperemo proprio dei comportamenti, che, a differenza dei primi due, rappresentano tuttora “un’area grigia” all’interno del quale le imprese non sanno ancora bene come muoversi.

Questo è vero tanto per i dipendenti quanto per chi li guida, che, di fronte al cambiamento delle logiche del lavoro, necessita di nuovi strumenti con cui affrontarlo.

Sicuramente, da parte del lavoratore vi deve essere la giusta motivazione intrinseca a voler cambiare, ovvero quella che, secondo la teoria dell’autodeterminazione, viene raggiunta se l’individuo acquisisce autonomia, padronanza e percepisce significatività rispetto a quanto svolto nell’ambito del proprio lavoro.

Lo smart working fa proprio questo: attraverso l’elemento della delega, trasferisce all’individuo il potere di decidere come, quando e quanto lavorare purché venga raggiunto l’obiettivo prestabilito.

Dall’altro lato vi deve essere però la fiducia da parte di un leader capace di cogliere le sfide lanciate dall’era digitale e di saperle, non solo introdurre nell’organizzazione, ma integrare all’interno dei processi aziendali.

Riassumendo, deve essere in grado di:

  • rapportarsi in maniera collaborativa e aperta;

  • responsabilizzare i suoi collaboratori attraverso il meccanismo della delega;

  • facilitare la condivisione, non esserne un ostacolo;

  • adattarsi alle varie esigenze dei suoi collaboratori;

  • lavorare, perché detiene le competenze, e guidare team virtuali.

Comincia ad emergere la necessità di formare nuovi manager e un nuovo stile di leadership che sappia guidare quelli che Arianna Dagnino (2001), definisce i “nuovi nomadi”, soprattutto alla luce degli ultimi avvenimenti in cui è risultato fondamentale saper lavorare a distanza con gli altri, motivarli e gestirli.

Verso una leadership “agile”

Come osservato da Peter Cappelli, nel suo articolo pubblicato sul mensile di Harvard Business Review (2018), l’agilità caratterizza non più solo l’ambito tecnologico, ma anche altre funzioni, tra cui l’HR, ed è soprattutto per questo che sta cambiando radicalmente il modo “in cui le organizzazioni assumono, sviluppano e gestiscono i loro collaboratori”.

La smartness2 portata dall’era digitale ha evidenziato l’arretratezza (non solo tecnologica) e la rigidità degli schemi aziendali, a favore di una maggiore flessibilità.

La risposta a questo cambiamento consiste nell’evoluzione del modello di gestione del personale dall’approccio “corrente”, in cui l’individuo è considerato un mero fattore produttivo e in cui i capi/manager ricoprono il ruolo di controllori, a quello “strategico” in cui le risorse sono considerate veri e propri asset strategici guidati da capi/manager in veste di coach e leader.

Mentre il primo, che fa uso dell’approccio top down, può essere ricondotto a un modello di leadership verticale, il secondo, con i cambiamenti apportati dall’industria 4.0 nelle dinamiche sociali, organizzative e tecnologiche, risulta adattarsi meglio a uno stile di leadership orizzontale che, come lo smart working, attraverso l’elemento della fiducia e della delega mira a suscitare maggior coinvolgimento e collaborazione tra i partecipanti e rende più fluidi i processi comunicativi.

Un altro elemento di fondamentale importanza per la leadership è l’integrazione tra gli aspetti puramente hard, come la riorganizzazione degli spazi fisici e l’uso della tecnologia che richiede strumenti e formazione alla base, e quelli soft, che riguardano invece l’attenzione alle dinamiche emotive e sociali del singolo e del gruppo.

Oltre all’integrazione, il secondo elemento, presente nella gestione strategica, è quello della condivisione.

Si parla infatti di leadership “condivisa” intendendo per essa la distribuzione di ruoli e responsabilità sempre maggiori, che preveda il coinvolgimento dei propri collaboratori anche nelle linee strategiche d’impresa.

La leadership orizzontale permette quindi di mettere le persone sullo stesso piano, e questo ne influenza positivamente la percezione del loro ruolo e importanza all’interno dell’organizzazione.

La risposta al cambiamento da parte del leader non può mancare di altri due elementi:

  • flessibilità: intesa come risposta immediata a un input che porta ad una riorganizzazione interna che comprende anche l’aspetto dell’esecuzione e del controllo;

  • comprensione della complessità organizzativa: la capacità di avere una visione complessiva dei cambiamenti per capire come muoversi.

La smart leadership, oltre che partire da questi elementi e da quelli dello smart working, mantiene alcuni tratti tipici dei modelli preesistenti.

Grazie all’analisi della letteratura è stato possibile identificarli e ipotizzare, in base a quanto detto, che la leadership agile sia anche:

  • partecipativa: relativa allo spirito di squadra che il leader digitale deve essere in grado di creare soprattutto nella gestione dei team virtuali;

  • visionaria: capace di guardare al futuro per prevedere e anticipare il cambiamento, aumentando la qualità delle performance nel presente;

  • trasformazionale: il leader diventa ispiratore e motivatore. Come affermano Iannotta M. e Meret C. (2020), la leadership trasformazionale “prevede che il leader funga da modello per ispirare i propri collaboratori e creare le migliori condizioni affinché essi diano il meglio di sé, facendo in modo che le persone considerino gli interessi di gruppo (e organizzativi) come superiori rispetto a quelli personali, e favorendo il raggiungimento di performance lavorative superiori”.

  • facilitativa: il compito del leader agile è quello di facilitare i processi e la comunicazione verso e tra i collaboratori;

  • etica: la correttezza delle azioni è alla base di una buona fiducia. L’etica abbraccia anche altri temi ancor oggi molto discussi, come l’abuso del controllo e del “diritto alla disconnessione”.

In base a quanto detto finora, si potrebbe definire lo smart leader colui che “reinterpreta il suo ruolo secondo i principi dell’agilità, responsabilità e delega. Rappresenta una figura dinamica, che introduce l’innovazione non solo tecnica, ma anche di pensiero, intendendo per essa, la capacità di aprirsi e rinnovarsi continuamente nell’odierna era digitale. Infine, è colui che mette le persone al centro di tutti questi processi, alla base del quale pone la fiducia”.

Un esempio da cui poter prendere spunto è rappresentato dalle imprese native digitali.

Queste imprese, che operano esclusivamente su internet, hanno un’organizzazione al proprio interno diversa da quelle tradizionali.

Alessandro d’Adda (2017) individua quattro caratteristiche principali che dovrebbero possedere le imprese nate sul digitale:

  • centrata sui dati: i dati digitali costituiscono per queste imprese la principale fonte per lo svolgimento della loro attività. Un’impresa che implementa la smart leadership, dato l’intenso uso delle tecnologie, non può non far uso anch’essa dei dati;

  • il cliente al centro: le imprese sono nate per soddisfare le esigenze dei clienti che si fanno sempre più numerosi e soprattutto mutevoli. La smart leadership, come si è visto, effettua lo stesso ragionamento per il dipendente (employee centric);

  • innovativa: l’innovazione percorre tutta l’impresa, dai processi organizzativi a quelli strategici. Rappresenta un fattore centrale anche per la smart leadership;

  • velocità e agilità: fungono, entrambe, da filo conduttore di tutti i processi tanto nelle imprese digitali quanto, nello specifico, nella smart leadership.

Figura
Figura: La smart leadership in chiave digital3

Conclusioni

Le sfide che dovranno raccogliere le imprese da qui ai prossimi anni sono numerose: dalla riorganizzazione interna del lavoro alla transizione verso un nuovo modello di leadership; dal cambiamento culturale all’affermazione di una nuova prospettiva manageriale.

In più, il fattore innovativo sarà l’elemento chiave per l’introduzione di nuovi strumenti digitali con cui poter misurare le performance e rendere i processi anche più smart e veloci, senza esercitare un eccessivo controllo sui dipendenti.

Sebbene l’Italia sia stata la prima a legiferare sullo smart working, è pur vero che continua ad essere uno dei Paesi rimasto ancora indietro da questo punto di vista.

A causa del suo tessuto imprenditoriale caratterizzato da pmi che fanno dell’accentramento della proprietà il loro principale cardine, quali saranno gli sviluppi dello smart working e dello stile di leadership?

Certo è che, così come riporta Spring Professional sul suo sito4, “dovrà essere uno stile con una forte focalizzazione sulla collaborazione e sulla valorizzazione dei collaboratori e della loro capacità di innovazione e problem solving”.

Bibliografia

  • Accenture Strategy, (2014). La trasformazione digitale, Looking Forward, 8, 31-32.

  • Beecham S., Michael G., (2003). Smart Leadership in tough times, Supervision, 64, 23-26.

  • Cappelli P., Tavis A., (2018, aprile). L’HR diventa agile. Harvard Business Review, 4, 20-29.

  • Dagnino, Arianna. (1996). I nuovi nomadi. Pionieri della mutazione, culture evolutive, nuove professioni, Castelvecchi editore.

  • Finkelstein S., Jackson E.M., (2005, settembre/ottobre). Immunity from implosion: building smart leadership, Ivey Business Journal, 1-6.

  • Gallo P., Hlupic V., (2019, gennaio/febbraio). Verso una leadership 4.0. Harvard Business Review, 1/2, 100-104.

  • Hartog, K, L., & Solimene, A., & Tufani, G., (2015). The Smart Working Book [PDF] Disponibile presso:

  • Iannotta M., Meret C., (2020). Flessibilità, coerenza, integrazione: tre leve per una leadership efficace a supporto dello smart working, 1-8.

  • Maglione R., (2018, maggio). Cultura digitale e soft skills per la gestione del cambiamento. Harvard Business Review, 5, 29-30.

  • Iaselli R., (2018). Leadership Orizzontale: a che punto siamo? Leadership&Management Magazine, 1-3.

  • Valdes, P. (2018, gennaio/febbraio). La leadership Manageriale nell’era della trasformazione digitale (e oltre). Harvard Business Review, 1/2, 84-91.

  • Taner, B., Aysen, B. (2013). The Role of Resonant Leadership in Organizations, 1st Annual International Interdisciplinary Conference, 24-26 April 2013, Azores Islands, Portugal.

  • https://www.digital4.biz/hr/smart-working/osservatorio-smart-working-2019/

  • https://www.ilsole24ore.com/art/le-quattro-caratteristiche-chiave-un-azienda-digitale-

  • https://www.osservatori.net/it/ricerche/infografiche/smart-working-diffusione-flessibilita-infografica

Note

(1) Hartog, Solimene, Tufani, 2015, The Smart Working Book, pag. 96.

(2) Smartness = agilità

(3) Elaborazione propria

(4) https://www.springitaly.com/it-it/news/insight/articoli/stile-di-leadership/

Tratto da "Personale e Lavoro n° 627 - Novembre 2020" - Uno dei servizi dell'Abbonamento ISPER