Ripensare l’organizzazione del lavoro
Luca Solari
La pandemia e il conseguente lockdown hanno rappresentato una sfida importante alle imprese italiane anche per i tempi che non hanno consentito di prepararsi.
Rapidamente le imprese hanno dovuto attrezzarsi per continuare ad operare senza in molti casi potersi avvalere della presenza in ufficio e delle tecnologie infrastrutturali disponibili.
Nelle prime settimane per molte il problema è stato dotare il personale di quei supporti (computer, tablet, software ecc.) che consentissero di spostare l’attività presso il proprio domicilio.
Superata questa prima fase, il problema da affrontare è diventato organizzativo e di processo.
L’impatto non è stato semplice. Le persone si sono trovate a dover organizzare le attività lavorative in un contesto pensato per altri tipi di interazione e quindi armonizzare le esigenze familiari con i tempi e i ritmi del lavoro.
Il management si è visto privato di quegli ancoraggi gestionali di tipo fisico sul quale molti ancora fanno affidamento.
Intendo parlare del fatto che molto del coordinamento quando si sta negli stessi spazi avviene per mutuo aggiustamento ed è emergente.
In sostanza, entro in ufficio e vedo Carlo, il che mi fa ricordare che gli ho affidato un dato compito; mi fermo quindi alla sua scrivania e gli chiedo a che punto siamo.
Non sto ad evidenza parlando del tema ancora più delicato del controllo, ma proprio del tessuto di coordinamento quotidiano nel quale in maniera inconsapevole eravamo immersi.
La seconda fase…
…di gestione della crisi è stata quindi dedicata a capire come trovare dei sostituti di quelle dimensioni che venivano a mancare almeno dal lato delle organizzazioni.
Una prima area è stata quella della socialità, improvvisamente compressa.
Ci si è industriati quindi a organizzare caffè virtuali, attività sportive e ricreative condivise online e momenti di conversazione non orientati solo al contenuto del lavoro.
Una seconda area ha riguardato l’organizzazione dei processi in una logica che è gioco forza diventata molto simile al project management.
Il management ha dovuto prendere consapevolezza delle singole componenti del lavoro delle persone e trovare soluzioni per assegnare le attività, aggiornare e aggiornarsi sull’avanzamento e verificare i risultati.
Nelle organizzazioni più strutturate si è cercato di definire un framework, in altre il processo è stato emergente ma è interessante notare come le soluzioni si siano concentrate su una qualche variante di sistemi che vengono chiamati di OKR (Objective e Key Results) e che promuovevano necessariamente l’autonomia e la presa in carico da parte delle persone, in assenza di una supervisione diretta e continuativa.
A distanza di qualche mese, possiamo dire che in generale le organizzazioni e le persone hanno risposto bene, ma è proprio questo uno dei problemi se guardiamo al futuro.
In primo luogo abbiamo scoperto che esistono preferenze molto diverse tra le persone rispetto alle modalità di fruizione dell’ufficio.
Non che non lo sapessimo, ma fino a quando era normale andare in ufficio, chi lo viveva meno bene era un po’ forzato dalla tradizione.
In quei mesi, invece, ha potuto liberarsi dalla costrizione quotidiana di lunghi tratti di commuting così come delle ritualità sociali e relazionali alle quali si deve sottostare anche se fanno perdere tempo a chi non le vive con l’ansia che hanno manifestato gli orfani delle macchinette del caffè.
In secondo luogo abbiamo visto falsificate molte credenze e alibi dei mesi precedenti.
Facciamo qualche esempio. Ci si diceva che passare al digitale era un percorso difficile e lunghissimo che richiedeva molto investimento di change: falso.
Ci si diceva che era impossibile organizzare lo smart working più di un giorno in settimana: falso.
Ci si diceva che le persone senza supervisione non lavorano: falso.
Sono consapevole che da una credenza mitica non si deve passare all’altra, quindi i miei “falso” sono validi per le generalizzazioni, non per ogni singolo caso.
Queste constatazioni rappresentano le basi per ogni ragionamento sul futuro, ma segnalano che quel processo lento e quasi tettonico (nel senso della sua velocità infinitesimale) è stato sostituito da un terremoto e ora dobbiamo ricostruire.
Nei mesi del lockdown…
…mi sono trovato impegnato nella traduzione e adattamento del libro Freedom management che avevo iniziato a scrivere 5 anni fa, poi pubblicato in inglese (NDA il libro in italiano è oggi pubblicato da Franco Angeli nella Collana AIDP) e ho realizzato che questo terremoto ha affrettato il percorso che vi delineavo.
Da inizio ‘900 abbiamo vissuto una stagione di incredibile successo di un archetipo di progettazione dell’organizzazione estremamente efficace e caratterizzato da:
- l’importanza della scomposizione delle attività in attività elementari;
- l’applicazione ad esse di un pensiero scientifico volto a migliorarne l’efficienza e l’efficacia;
- la definizione di standard da diffondere;
- l’attribuzione delle attività in misura più o meno esclusiva a singole persone in virtù del loro ruolo e
- il controllo della loro applicazione tramite strumenti diretti (controllo burocratico, controllo tecnologico) o indiretti (controllo sociale, auto-controllo, allineamento degli obiettivi).
L’emergere della centralità dell’organizzazione nei processi economici, politici e sociali è stato così pervasivo da non risultare quasi notato.
In fondo ogni azione ha come correlato un tema di organizzazione, sia esso un movimento sociale come ad esempio l’ambientalismo o politico come ad esempio la Brexit.
E il modo di fare organizzazione si è variamente declinato attorno a questo archetipo, anche, ironicamente, quando chi si organizzava era sulla carta un avversario di questo stesso modello.
Come aveva intuito Chandler, però, l’emergere di nuove forme di tecnologia per il coordinamento ha progressivamente creato lo spazio per sperimentazioni molto diverse.
Le tecnologie di interconnessione diffuse, l’accresciuto livello di scolarità (non solo nei paesi più ricchi) e la riduzione del costo di accesso alla tecnologia hanno aperto ad una possibile concezione radicalmente diversa di organizzazione.
Quel tipo di organizzazione emergente che abbiamo sperimentato durante i mesi del lockdown, caratterizzata potenzialmente da:
- l’importanza della modularità del rapporto tra attività e ruoli organizzativi;
- l’orientamento a logiche di innovazione iterativa;
- la definizione di prototipi da continuare a testare e mettere in discussione;
- l’attribuzione delle attività in relazione alle competenze a prescindere dai confini di ruolo e
- la sostituzione del controllo con la condivisione di un purpose diffuso.
Questo processo è in corso, stimolato dalle tecnologie che lo abilitano, ma anche da cambiamenti importanti nelle tecnologie sociali, ovvero i principi e i valori che si diffondono in relazione a come regolare le relazioni tra persone.
Si configurano tutti gli elementi per una transizione di archetipo che ci dovrà portare a logiche di progettazione radicalmente diverse da quelle sulle quali abbiamo esperienza.
Si apre quindi una stagione di sperimentazione sempre più interessante che ha come perno l’emergere di nuovi valori quali la libertà, la ricerca di significato e la collaborazione spontanea.
Ne sono esempi parziali alcune delle prime sperimentazioni come le organizzazioni agili, le olocrazie o i modelli di lean start-up interna.
Il disegno organizzativo del futuro dovrà trovare soluzioni che si basino su:
- una infrastruttura di informazione, di comunicazione, di condivisione della conoscenza, di collaborazione e di scambio;
- un sistema di ruoli basato su livelli multipli e stratificati di partecipazione rafforzati dall’estrema modularità delle attività;
- una mappa interattiva di disegno e riprogettazione istantanea dell’organizzazione;
- un processo spontaneo di generazione di variazione attraverso uno o più momenti di generazione continua di entropia nell’organizzazione;
- una struttura dati, che fornisca continuamente evidenza di quel che sta succedendo a ciascuno.
Se questo accadrà, come sono portato a pensare, si richiederà una trasformazione epocale del ruolo manageriale, verso quello che per assenza di termini migliori ho chiamato freedom management, un ossimoro solo apparente.
Se oggi i ruoli sottratti in tutto o in parte dalle attività operative dirette si occupano di controllarle e guidarle, in futuro dovranno agire come attivatori, come progettisti estemporanei, come sperimentatori, in sostanza come attrattori di processi iterativi ed evolutivi di innovazione.
Le Direzioni Risorse Umane a lungo abituate a rendere meno estemporaneo il funzionamento organizzativo dovranno quindi a loro volta attrezzarsi per generare varietà invece che prevedibilità.
Un nuovo ruolo, questo sì davvero strategico perché legato a filo doppio alla capacità delle imprese di competere.
Tratto da "Personale e Lavoro n° 626 - Ottobre 2020" - Uno dei servizi dell'Abbonamento ISPER