Area
Diritto del Lavoro

Topic
Licenziamento

Pasquale Dui e Luigi Antonio Beccaria

N° 232

13 novembre 2024

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Licenziamento durante il periodo di prova nonostante la durata relativamente breve del rapporto

Il periodo di prova nel rapporto di lavoro

In via generale, durante o al termine del periodo di prova le parti sono libere di recedere dal contratto senza obbligo di motivazione (Cass. 17 novembre 2010 n. 23224; Cass. 12 marzo 1999 n. 2228) e senza obbligo di dare il preavviso o di pagare la relativa indennità sostitutiva (art. 2118 c.c.).

La discrezionalità di recedere del datore di lavoro sussiste anche quando la prova sia stata effettivamente superata in modo positivo sotto il profilo professionale.

Anche in questo caso, infatti, il datore di lavoro è libero di recedere sulla base di una valutazione del comportamento complessivo del lavoratore, desumibile dalla sua correttezza e dal modo in cui si manifesta la sua personalità.

Il recesso datoriale è considerato illegittimo se:

  1. la prova non è stata in concreto consentita.
    Ciò avviene, ad esempio, quando:
  • al lavoratore non sono state attribuite concretamente le mansioni (Cass. 8 febbraio 2000 n. 1387);
  • la verifica è stata condotta su mansioni diverse da quelle di assunzione (inferiori o superiori: Cass. 3 dicembre 2018 n. 31159; Cass. 22 maggio 2015 n. 10618);
  • il lavoratore dimostra che il periodo è stato inadeguato a permettere un'idonea valutazione delle sue capacità (Cass. 6 giugno 1987 n. 4979);
  1. il licenziamento è riconducibile ad un motivo illecito (come, ad esempio, una ragione discriminatoria) o estraneo al rapporto di lavoro (come, ad esempio, l'invalidità del lavoratore).

Spetta al lavoratore dimostrare (art. 2697 c.c.) l'esistenza di una di queste situazioni per ottenere l'annullamento del recesso (C. Cost. 22 dicembre 1980 n. 189; Cass. 18 gennaio 2017 n. 1180).

In caso di recesso illegittimo il lavoratore ha diritto a terminare il periodo di prova, oppure a ottenere il risarcimento del danno (Cass. 3 dicembre 2018 n. 31159; Cass. 27 marzo 2017 n. 7801).

Il caso esaminato dal Tribunale di Arezzo, 7 ottobre 2024

Un caso interessante di licenziamento durante il periodo di prova, nonostante un mese e mezzo di lavoro, è quello affrontato dal Tribunale di Arezzo, nella sentenza 7 ottobre 2024 (R.G. 596/2024).

Con ricorso depositato al Tribunale suddetto, il lavoratore interessato (un dirigente) ha agito nei riguardi della società esponendo:

che veniva assunto dalla resistente, interessata ad affidargli il progetto di staccare dalla casa madre la sezione Oro da investimento attraverso una new.co che sarebbe poi stata quotata in borsa;

che nell'aprile 2023 le parti si incontravano per la firma della lettera di intenti, convenendo di iniziare la collaborazione a decorrere dal 4 settembre 2023;

che la società gli chiedeva di acquisire esperienza nel campo degli acquisti o delle cessioni di azienda, cosicché si rendeva disponibile ad iscriversi a sue spese ad un corso della SDA Bocconi sul tema, sostenendo il costo di Euro 4.500,00;

che era dunque assunto con contratto a tempo indeterminato del 4.9.2023, previo superamento di un periodo di prova di 6 mesi, ai sensi del CCNL Dirigenti aziende produttrici beni e servizi sottoscritto da Confindustria e Federmanager, come Dirigente con la qualifica di Responsabile dell'Area "Oro da investimento";

che, quindi, si dimetteva dal precedente lavoro, trasferendo la sua famiglia;

che iniziava a lavorare presso la resistente;

che, in data 23.10.2023, il responsabile delle risorse umane gli riferiva il mancato superamento del periodo di prova con conseguente licenziamento.

L’azienda, nelle sue difese, asserisce:

che voleva fondare una new.co, che si sarebbe dovuta occupare di attività da Oro da investimento e di quotarla in borsa;

che riteneva opportuno cercare non già un quadro ma un manager, che avesse uno standing più elevato, affinché potesse guidare l'azienda verso questo ambizioso obiettivo;

che, attraverso comuni conoscenze, incontrava il lavoratore il quale vantava una pregressa esperienza nel settore investimenti, e manifestava quindi di avere competenze che interessavano alla società per poter sviluppare questo business;

che, una volta iniziato il rapporto dì lavoro, si accorgeva che il lavoratore non fosse la figura adatta per ricoprire tale ruolo.

Lo svolgimento del processo

A seguito degli accertamenti processuali è risultato che il ricorrente è stato messo nelle condizioni di svolgere il suo ruolo di Dirigente, e quindi di guida per l'azienda in questo nuovo percorso che intendeva intraprendere, ma che l’Amministratore non lo ha ritenuto adatto alle proprie esigenze di sviluppo, che richiedevano un approccio più incisivo e commercialmente "aggressivo", a fronte di un atteggiamento invece più conservativo del ricorrente.

Con riferimento al patto di prova, parte ricorrente non ne contestava la validità, quanto piuttosto la congrua durata.

Il ricorrente si limitava ad assumere che un mese e mezzo non fosse un lasso di tempo sufficiente per la prova, ma non allegava - né chiedeva di provare - in che modo non gli fosse stato consentito di esperire un'adeguata prova.

Il lavoratore, in buona sostanza, nelle sue motivazioni del ricorso non ha fornito una adeguata prova circa la congruità - ovvero la sufficienza - del periodo di lavoro di un mese e mezzo, nulla deducendo a questo preciso riguardo, in ordine alla sua attività espletata ed al contesto funzionale di inserimento nel ruolo e nella funzione contrattualmente assegnatagli.

Il Giudice precisa, infatti, che tale periodo gli ha comunque consentito di interagire con le funzioni chiave aziendali, di rapportarsi con un team di vendita e di produrre una bozza di piano industriale, così confermando di essere stato messo nelle condizioni di poter lavorare.

Pertanto, il periodo di prova espletato - seppur breve - è comunque stato idoneo a mettere in luce le capacità professionali e personali del dirigente.

Capacità che, tuttavia, non sono state apprezzate dalla società resistente nel quadro della propria discrezionalità imprenditoriale.

Ciò in quanto, ai sensi dell'art. 2096 c.c., come già detto, durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o d'indennità.

Infatti, il datore di lavoro può liberamente recedere dal rapporto durante il periodo di prova, nel momento in cui abbia effettivamente consentito l'esperimento, sia assegnando realmente al lavoratore le mansioni per cui era stato assunto in prova, sia concedendogli un lasso di tempo ragionevole e sufficiente a verificare che la prova sia stata superata, o sia fallita.

In questi termini è stata accertata la legittimità del licenziamento (sul punto, incidentalmente, cfr. App. Milano, 8 marzo 2023, n. 258; più in generale, Cass., 13 settembre 2003, n. 13498).

Non essendo stato previsto nel contratto un tempo minimo di prova ed avendo messo il ricorrente nelle condizioni per poter effettivamente svolgere il proprio lavoro, è ben possibile che la resistente - già dopo un mese e mezzo - si sia accorta che le qualità professionali del dirigente non rispecchiassero quelle ricercate per quella specifica figura lavorativa.


Articolo scritto per "ISPER HR Review" - n° 232 del 13 Novembre 2024 - da Pasquale Dui e Luigi Antonio Beccaria

Immagine di apertura: elaborazione su Foto di Denny Franzkowiak da Pixabay
Frecce: elaborazione su foto di Veronica Bosley da Pixabay