Area
Cultura delle Risorse Umane

Topic
Smart Working

Alessandra Mazzei
Alfonsa Butera

N° 150

25 gennaio 2023

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Nuovi orizzonti del lavoro ibrido: il caso dell'onboarding dei neoassunti

Dal lavoro da remoto al lavoro ibrido

Negli ultimi anni le modalità di lavoro hanno conosciuto una progressiva evoluzione.

Se anche alcune organizzazioni adottavano il lavoro da remoto prima del 2020, è indubbio che lo sviluppo di una nuova cultura lavorativa abbia subito un’intensa accelerazione a causa della pandemia di Covid-19 e il lavoro da remoto continuerà a essere praticato anche in futuro da un numero elevato di organizzazioni e lavoratori.

Si affermano così i contesti di lavoro ibrido: un luogo e tempo di lavoro in cui presenza nello stesso spazio e connessione remota, esperienza fisica e digitale si fondono.

Se questa fusione avviene in modo virtuoso, sia per l'individuo sia per l’organizzazione è possibile massimizzare i benefici delle due modalità di lavoro: in presenza e da remoto.

Da un lato il lavoro in presenza rende possibile gestire in modo efficace l'ambito sociale e relazionale: esso consente di coltivare le relazioni interpersonali, agevola lo sviluppo del senso di appartenenza e della coesione organizzativa e favorisce la creatività di gruppo.

Dall’altro lato il lavoro da remoto consente di migliorare la gestione dell'ambito operativo e strumentale: permette di guadagnare efficienza, riduce il tempo per gli spostamenti e migliora la capacità delle persone di concentrarsi nello svolgimento di attività lavorative che richiedono particolare focus (Mazzei et al., 2023).

I contesti di lavoro ibrido creano sinergie tra i benefici del lavoro in presenza e di quello da remoto e allo stesso tempo risentono di alcuni limiti intrinseci a quest’ultima componente.

Il lavoro da remoto infatti crea rischi di isolamento sociale, di eccesso di numero di ore lavorate, di stress per l’uso intenso di tecnologie, di commistione tra vita lavorativa e personale, di riduzione di comunicazione informale ed estemporanea, di difficoltà nella creazione di una cultura organizzativa condivisa (Mazzei et al. 2021 e 2023).

Questi limiti rendono più complessi una serie di processi basati su relazioni informali, simbolismo e vicinanza fisica come quelli di condivisione di convinzioni profonde e di conoscenza implicita.

L’onboarding dei neoassunti nei contesti di lavoro ibrido

Ne deriva per le aziende la necessità di rivedere diversi sistemi gestionali e organizzativi quali la creazione e il sostegno della cultura organizzativa, l’apprendimento on the job, il supporto dell’employee engagement.

Uno dei processi potenzialmente più impattati dai contesti di lavoro ibrido e quindi forse da ripensare è quello della socializzazione dei neoassunti alla cultura organizzativa e al lavoro.

I neoassunti sono coinvolti in modo specifico in un processo di inserimento noto come onboarding: esso è funzionale a sostenere la transizione dei nuovi arrivati da outsider dell’organizzazione a insider impegnati, coinvolti, soddisfatti e intenzionati a rimanere con la loro organizzazione (Bauer et al., 2007; Perrot et al., 2014).

Il processo di onboarding implica l’impiego di programmi di orientamento per i nuovi arrivati, ovvero di formazione finalizzata a introdurli al loro lavoro (Saks & Gruman, 2012), e di tattiche di socializzazione, ovvero modalità con cui l’organizzazione struttura le esperienze dei neoassunti (Jones, 1986).

Inoltre fa leva su una serie di agenti di socializzazione, per esempio capi, supervisori, colleghi e mentori che facilitano l'inserimento dei neoassunti fornendo loro informazioni, feedback, risorse e supporto (Kammeyer-Mueller & Wanberg, 2003).

Un processo efficace di onboarding di un neoassunto conduce al cosiddetto adjustment.

Quest’ultimo comprende tre domini: il ruolo, l’organizzazione e le relazioni (Cooper-Thomas et al., 2020).

Il dominio del ruolo include la comprensione dei compiti e delle aspettative degli altri; il dominio dell’organizzazione, si riferisce alla comprensione di storia, struttura, regole e politiche non scritte; e il dominio delle relazioni, legato alla necessità del nuovo arrivato di stabilire relazioni efficaci e soddisfacenti con i colleghi per integrarsi socialmente.

Se l’adjustment è il più immediato risultato dell’onboarding, il processo conduce poi a ulteriori esiti quali per esempio la soddisfazione sul lavoro, il benessere e l’intenzione di rimanere nell’organizzazione (Bauer et al., 2007; Cooper-Thomas et al., 2020).

Tali risultati sono influenzati dal grado di adattamento e dall’integrazione sociale del collaboratore (Kammeyer-Mueller & Wanberg, 2003).

Un esito cruciale del processo di onboarding è inoltre lo sviluppo dell’affective commitment (Allen & Meyer, 1990; Cohen & Veled-Hecht, 2010), cioè lo sviluppo di un senso di appartenenza e identificazione che aumenta il coinvolgimento del neoassunto nei propri compiti, la sua disposizione a perseguire gli obiettivi dell'organizzazione e l’intenzione di rimanere nell'organizzazione (Rhoades et al. al., 2001).

L’onboarding dei neoassunti: risultati da una ricerca sul campo

I fattori che possono favorire o rallentare il processo di onboarding sono stati studiati in modo approfondito.

La sfida conoscitiva è adesso comprenderne le dinamiche nei contesti di lavoro ibrido. In particolare, alcune caratteristiche del lavoro ibrido e i relativi effetti negativi, come per esempio la percezione di isolamento sociale (Golden et al., 2008) e lo stress dovuto all'uso intensivo delle tecnologie (Molino et al., 2020), potrebbero inibire l’adjustment dei neoassunti e lo sviluppo dell’affective commitment.

Come già anticipato, le aziende possono sostenere l’onboarding tramite per esempio percorsi specifici di formazione e programmi di induction, attività di mentoring e l’azione di guida dei capi.

Nella fase di onboarding, risulta cruciale inoltre la tolleranza dell’errore, l’attenzione al benessere dei collaboratori, l’ascolto delle loro opinioni.

È stato dimostrato in effetti come le tattiche di socializzazione influenzino il supporto organizzativo percepito e come quest’ultimo risulti correlato all’affective commitment (Allen & Shanock, 2013).

Con particolare riferimento ai capi, è da rilevare poi come i supervisori siano agenti chiave per l’onboarding perché offrono ai neoassunti conoscenze e feedback che li aiutano a rendersi autonomi e sono inoltre nella posizione di influenzare direttamente i compiti e gli obiettivi di lavoro dei nuovi arrivati (Ashforth et al., 2007).

È dunque interessante studiare come si configurano nei contesti di lavoro ibrido quei fattori collegati a un onboarding efficace dei neoassunti, valutando per esempio il supporto che questi ultimi percepiscono da parte dell’organizzazione in generale e da parte dei loro supervisori o capi diretti (Rhoades et al., 2001).

Per esplorare le dinamiche dei fattori che possono supportare o inibire il processo di onboarding nei contesti ibridi, il Centre for Employee Relations and Communication (CERC), il centro di ricerca dell’Università IULM focalizzato sui temi delle relazioni e della comunicazione con i collaboratori, ha condotto uno studio su un campione di convenienza di 109 neoassunti che hanno risposto via web a un questionario tra aprile e giugno 20221.

Per essere inclusi nel campione, i rispondenti dovevano aver iniziato a lavorare nella loro attuale organizzazione dopo gennaio 2021 e lavorare da remoto almeno un giorno alla settimana.

Guardando alle caratteristiche del campione coinvolto, il 19% dei soggetti ha dichiarato di lavorare a distanza 1 giorno a settimana, il 31% 2 giorni a settimana, il 23% 3 giorni a settimana, il 14% 4 giorni a settimana e solo il 13% l’intera settimana.

Considerando i tempi di inserimento dei partecipanti all’indagine nella loro attuale organizzazione, l’11% ha dichiarato di essere entrato tra gennaio e marzo 2021, l'8% tra aprile e giugno 2021, il 10% tra luglio e settembre 2021, il 17% tra ottobre e dicembre 2021 e il 54% tra gennaio e marzo 2022.

Il questionario ha misurato una serie di costrutti usando delle scale già validate da studi precedenti e in particolare: l’adjustment dei neoassunti (Cooper-Thomas et al., 2020), l’affective commitment (Allen & Meyer, 1990), l’isolamento sociale nel contesto di lavoro (Golden et al., 2008), il tecnostress (Molino et al., 2020), il supporto percepito da parte dell’organizzazione in generale e il supporto percepito da parte del proprio supervisore o capo diretto (Rhoades et al., 2001).

Qui di seguito vengono presentati i risultati in termini di valori medi per ciascun item su una scala Likert da 1 a 5.

I rispondenti hanno mostrato in media un adjustment pari a 4,01, misurato con diversi item per ciascuna delle componenti che lo compongono: il ruolo, la conoscenza dell’organizzazione e le relazioni (Fig. 1).

Lo sviluppo delle relazioni con i colleghi è la componente dell’adjustment che risulta più consolidata con un valore medio di 4,24, quindi è positiva anche se migliorabile.

Risultano più critiche le componenti della conoscenza del proprio ruolo (media 3,98) e dell’organizzazione (media 3,83). Rispetto alla conoscenza del proprio ruolo, sono critiche in particolare la conoscenza di cosa serve per fare bene (3,89) e delle aspettative del proprio capo riguardo alla propria performance (3,75), altri elementi cruciali per avere consapevolezza sui punti di riferimento da considerare.

Rispetto alla conoscenza dell’organizzazione, sono in particolare molto basse la conoscenza della struttura dell’organizzazione (3,78), delle regole non scritte (3,66) e della storia (3,44), elementi cruciali per avere riferimenti sui comportamenti da tenere e su come muoversi.

I rispondenti di questo campione appaiono dunque piuttosto disorientati rispetto all’organizzazione in cui si trovano, salvo avere percepito la struttura del potere (chi sono le persone più influenti dell’organizzazione: 4,25).

Figura 1
Figura 1: Le componenti dell’adjustment: ruolo, organizzazione, relazioni

Per quel che riguarda l’affective commitment, il campione dei neoassunti coinvolti nello studio ha registrato un valore medio pari a 3,38: un valore più basso rispetto a quello relativo all’adjustment.

Per comprendere il livello di affective commitment dei partecipanti all’indagine è stato chiesto loro di esprimere il grado di accordo rispetto a una serie di affermazioni: alcune con significato positivo (in blu nella Figura 2) e altre di senso negativo (in rosso nella Figura 2).

Nessuna delle affermazioni positive raggiunge un livello pienamente soddisfacente e supera il valore di 4.

I neoassunti coinvolti in questa survey sono tiepidamente propensi a parlare della propria organizzazione all’esterno (3,87), poco interessati a perseguire nella stessa la propria carriera (3), si sentono piuttosto lontani dalla loro organizzazione, di cui sentono poco i problemi (2,96) e che ha poco significato personale per loro (2,88).

Il quadro è quindi quello di un livello di affective commitment insoddisfacente con alcune componenti molto basse.

È ovvio che non è possibile ricondurre interamente tali debolezze al ricorso del lavoro ibrido.

Tuttavia questo studio indica che in un contesto di lavoro ibrido il livello di affective commitment è piuttosto critico.

Figura 2
(Medie su una scala fra 1 e 5)
Figura 2: L’affective commitment

Per quel che riguarda i fattori che inibiscono l’inserimento dei neoassunti in contesti di lavoro ibrido, il CERC ha indagato le percezioni di isolamento sociale nel contesto di lavoro, nell’ipotesi che la condizione di lavoro da remoto potesse peggiorare tali percezioni (Fig. 3).

La media del campione rispetto alla percezione di isolamento sociale nel contesto di lavoro si è assestata su un valore di 2,44: un valore non elevato.

Gli aspetti più critici legati alla percezione di isolamento sono la riduzione del contatto faccia a faccia con i colleghi (2,98) e dell’interazione informale con gli altri (2,91): in effetti proprio quelle forme di comunicazione che la condizione di lavoro da remoto mette più a dura prova.

Figura 3
(Medie su una scala fra 1 e 5)
Figura 3: L’isolamento sociale nel contesto di lavoro

Per quel che riguarda invece lo stress legato all’impiego di tecnologie intensificato dalle condizioni di lavoro ibrido, il campione ha registrato un valore medio di 1,93.

Anche la percezione complessiva di stress non è dunque emersa come particolarmente intensa.

Nello specifico, lo studio ha indagato il livello di stress del campione rispetto a tre dimensioni (Fig. 4): la dimensione dell’overload tecnologico, che riguarda il fatto che le tecnologie spingono a lavorare sempre più velocemente e più a lungo modificando le abitudini lavorative; la dimensione dell’invasione tecnologica, relativa all'effetto invasivo delle tecnologie che porta i collaboratori a sentire l’esigenza di essere costantemente connessi, rendendo più sfumati i confini tra vita lavorativa e vita personale; la dimensione della complessità tecnologica, che porta i collaboratori a sentirsi inadeguati rispetto alle proprie competenze tecnologiche.

Secondo i partecipanti all’indagine le due percezioni di stress più rilevanti riguardano da un lato un aspetto di overload tecnologico, cioè la percezione di dover lavorare sempre più velocemente (2,34), e dall’altro un aspetto di complessità tecnologica, cioè la percezione di non avere tempo per aggiornare le proprie capacità tecnologiche (2,26).

Seguono poi per rilevanza tutte e tre le percezioni legate allo stress da invasione tecnologica: i partecipanti all’indagine hanno infatti messo in evidenza il fatto di sentire la propria vita personale invasa dalle tecnologie (2,26), di essere costretti a rimanere a contatto con il lavoro anche durante il tempo libero per via delle tecnologie (2,00) e di trascorrere meno tempo con la propria famiglia a causa di queste ultime (1,96).

L’indagine ha dunque rilevato la particolare sensazione di stress legata all’invasione tecnologica: un rischio che nel dibattito pubblico viene ricondotto alla necessità di accordare ai lavoratori il cosiddetto diritto alla disconnessione.

Figura 4
Figura 4: Il tecnostress e le sue componenti: overload, invasione e complessità tecnologica

Dall’indagine è emerso per i soggetti del campione una discreta percezione di supporto da parte della propria organizzazione, con una media di 3,75 (Fig. 5), e da parte dei supervisori o capi diretti, con una media di 3,82 (Fig. 6).

I partecipanti all’indagine hanno mostrato sufficiente fiducia nel fatto che un proprio errore commesso in buona fede possa essere perdonato dall’organizzazione (3,86): un aspetto cruciale in considerazione di quella che può essere una fonte rilevante di ansia per un neoassunto.

Ugualmente discreta ma non soddisfacente è la percezione che l’organizzazione sia pronta a fornire aiuto al collaboratore in caso di problemi (3,82) o di necessità particolari (3,80).

Figura 5
(Medie su una scala fra 1 e 5)
Figura Figura 5: La percezione del supporto da parte dell’organizzazione

Per quel che riguarda la percezione di supporto da parte del supervisore o capo diretto, lo studio ha rilevato in particolare come i neoassunti si sentano discretamente ascoltati rispetto alle opinioni che esprimono (3,87) e accolti nelle loro esigenze in termini di benessere (3,82).

Figura 6
(Medie su una scala fra 1 e 5)
Figura 6: La percezione del supporto da parte del supervisore

Conclusioni

In conclusione da questo studio preliminare su un fenomeno nascente e quindi quasi sconosciuto, emerge che il contesto di lavoro ibrido non compromette gli spazi per realizzare efficaci processi di onboarding e sviluppare l’adjustment e l’affective commitment.

L’indagine rileva infatti una carenza di comunicazione informale e di contatto faccia a faccia con i colleghi, che per natura si riducono per via del lavoro da remoto, ma in generale i neoassunti non si sentono isolati sul piano sociale.

Questo potrebbe essere spiegato dal fatto che il lavorare e interagire a distanza è oramai diventata una consuetudine per tutte le generazioni in età da lavoro.

In questo contesto deve essere però fronteggiato lo stress da tecnologia.

Nel complesso questo non è elevato, tuttavia è percepita una crescente invasione tecnologica, la spinta a lavorare sempre più velocemente e la difficoltà ad aggiornare in modo continuo le proprie competenze tecnologiche.

È probabile che la composizione del campione, caratterizzato per il 74% da giovani di età fino ai 25 anni, abbia temperato le percezioni di isolamento sociale e di tecnostress indotto dalla condizione di lavoro da remoto: è verosimile che le nuove generazioni abbiano sviluppato dimestichezza nell’uso delle tecnologie e siano più inclini a gestire le relazioni anche in modalità digitale.

Le aziende si trovano in un momento di transizione e da questo studio preliminare appare come siano necessari maggiori investimenti in termini di interventi sia organizzativi sia legati ai rapporti con i capi diretti, in modo da rafforzare la percezione dei neoassunti di essere supportati.

Infine è da notare come la ricerca sull’evoluzione dei contesti organizzativi verso una configurazione ibrida sia solo all’inizio.

Resta molto da fare e probabilmente sarà necessario rivedere i fondamenti della conoscenza e della pratica manageriale mettendo in discussione finanche concetti come adjustment e affective commitment.

Anche i modelli di indagine e le scale di misurazione dovranno essere rivalutati per verificarne ancora l’attualità. Le opportunità del lavoro ibrido sono molte e tutte da esplorare: è necessario uno sforzo per adeguare immediatamente tutti gli strumenti di analisi e di gestione di cui disponiamo.


Bibliografia

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Note

  1. Questo studio fa parte del programma di ricerca “L’evoluzione del patto psicologico tra azienda e collaboratori. Il caso dell’onboarding dei neoassunti in contesti di lavoro ibridi”, è stato diretto da Alessandra Mazzei e il team è stato composto da Alfonsa Butera, Sara Conti, Chiara Fisichella e Silvia Ravazzani.

Tratto da "Personale e Lavoro n° 651 - Gennaio 2023" - Uno dei servizi dell'Abbonamento ISPER

Foto di Daniel Büscher da Pixabay
Frecce: elaborazione su foto di Veronica Bosley da Pixabay