Area
Cultura delle Risorse Umane

Topic
Psicologia del Lavoro

Giacinta Genovese

N° 140

19 ottobre 2022

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Intelligenza artificiale versus intelligenza emotiva?
Attenzione al possibile disorientamento relazionale

La storia ci insegna che l’argomento dell’Intelligenza Artificiale non è limitato alla nostra epoca.

Già nel III secolo A.C. Filone di Bisanzio (ingegnere greco e scrittore) aveva inventato un prototipo di robot con sembianze umane e composto da tubi e molle, il cui scopo era quello di mescolare acqua e vino quando un visitatore poneva in una delle mani una coppa.

Via via si potrebbero citare molti altri autori in là nel tempo che si sono dedicati alla definizione di essere umano, a cercare di capire il suo funzionamento, e che hanno aperto la strada verso i progressivi ragionamenti che ci hanno condotto fino ai nostri giorni (per esempio Hobbes, nella sua opera del 1651, Leviatano, fa un’analogia tra la meccanica del corpo umano- definendola vita umana- e quella delle macchine- definendola vita artificiale).

Sappiamo anche che questo tema da sempre affascina e attrae gli esseri umani ma che apre grandi interrogativi a volte inquietanti: un giorno saranno i robot a dominare la terra?

Con l’ingresso di sistemi sempre più sofisticati, macchine sempre più evolute che fine faranno i lavoratori, quelli umani? Gli algoritmi condizioneranno le nostre scelte, interpreteranno meglio di altri i nostri bisogni, gestiranno le nostre vite?

Se un algoritmo determina che le probabilità di successo di un intervento al cuore su un determinato paziente sono pari al 5%, cosa deciderà il chirurgo?

Come si comporterà la compagnia assicurativa?

Parlare di Intelligenza Artificiale vuol dire necessariamente parlare di questioni etiche, deontologiche, giuridiche.

Dove inizia e dove finisce la responsabilità di chi?

Argomenti ampissimi.

Disorientamento relazionale

Mi occupo di formazione e coaching aziendale e dal 2009 osservo come i lavoratori si adattano e interagiscono con i cambiamenti e con i sistemi di A.I. (Artificial Intellingence).

Considero il loro avvento una reale opportunità di miglioramento della qualità delle nostre vite.

Ritengo, però, che il tema della relazione e dell’utilizzo quotidiano delle Intelligenze Artificiali necessiti di particolare attenzione da parte delle organizzazioni aziendali, poiché potrebbe aprire spazi verso quello che definisco DISORIENTAMENTO RELAZIONALE.

Si tratta dello stato psicologico di spaesamento e confusione mentale generata dal tipo di legame che gli individui potrebbero sviluppare, operando a stretto contatto con le A.I.

Quali possibili impatti avranno le interazioni, sempre più frequenti, dei lavoratori con macchine dotate di intelligenze sofisticatissime?

Cambieranno i comportamenti nei gruppi di lavoro tra le persone?

L’esigenza di approfondire questi argomenti è nata una sera quando, bloccata in autostrada, mi viene in mente che sul mio Iphone4s acquistato da poco esiste un assistente virtuale di nome SIRI!

Provo ad avvalermi dell’assistente chiedendo di indicarmi alberghi sul percorso; nel giro di pochissimo tempo ottengo il risultato sperato.

Ciò che, però, mi aveva profondamente colpito non era stato l’elenco preciso delle scelte suggerite.

Più di tutto mi aveva colpito il modo con cui mi ero rivolta a SIRI e come il sistema si era posto nei miei confronti (“Siri, per cortesia mi indichi un Albergo nei dintorni”? “Certamente Giacinta” …Ho trovato questi…”, “Grazie Siri”, “È stato un piacere”).

Ripensandoci subito dopo, ho pensato fosse accaduto qualcosa di surreale: mi ero rivolta a un assistente virtuale, a un cellulare, come se stessi parlando con una persona in carne e ossa.

Utilizzando, cioè, modalità relazionali che avrebbero reso orgoglioso Daniel Goleman con la sua concezione di Intelligenza Emotiva cioè quell’aspetto dell'intelligenza legato alla capacità delle persone di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole le proprie ed altrui emozioni.

Da queste riflessioni la scelta di passare all’osservazione nel mondo del lavoro.

Focus osservazione

Dal 2011 ho intrapreso un percorso strutturato di osservazione sul tema da me individuato del DISORIENTAMENTO RELAZIONALE, scegliendo di mettere al centro di tale analisi il linguaggio.

Sono partita convenzionalmente dall’assunto che il linguaggio è una forma di comunicazione tra due o più individui; esso si esplica attraverso suoni, gesti, simboli e movimenti dotati di significato che definiscono una lingua comune ad uno specifico ambiente di interazione.

Quindi mi sono focalizzata sui modi di dire utilizzati dai lavoratori (e viceversa) quando si rivolgono alle A.I. e come questi influenzano le “dinamiche relazionali” tra i due soggetti in termini di emozioni.

Le domande iniziali sono state: nell’utilizzo quotidiano delle A.I. quali caratteristiche umane (relazionali) saranno sollecitate, quali andranno perse? Ne acquisiremo di nuove?

Abbiamo molti esempi concreti e visibili di come la tecnologia ci mette di fronte a cambiamenti incredibili: macchine sempre più simili agli umani e viceversa.

Pensiamo agli sviluppi straordinari in campo medico: protesi che diventano gambe, braccia, mani.

Microchip che ci permettono e permetteranno di sentire, vedere, di controllare il Parkinson, dispositivi che recupereranno o potenzieranno la memoria umana.

Organi fabbricati con meravigliose stampanti che consentiranno di superare il problema dei donatori.

Come dire che le differenze tra uomini e macchine diventeranno sempre più sottili non solo per questo scambio di parti relative al corpo ma anche (o forse soprattutto?) dal punto di vista psicologico; sarà sempre più complesso identificare una distinzione netta tra umani e non umani nel momento in cui questi ultimi saranno in grado di manifestare pensieri propri o emozioni.

Cosa rende un essere umano tale?

Fattori analizzati e metodo

  • I fattori osservati sono stati i seguenti:

1) Empatia (ascolto-comprensione)

2) Fiducia (affidabilità-responsabilità).

  • Ho scelto di monitorare quante volte venivano utilizzate (nelle comunicazioni tra lavoratori e A.I. della durata di almeno 5 minuti) parole chiave e espressioni considerate connotanti rispetto alla natura della relazione (empatica o funzionale. Esempio: non hai capito, grazie mille, per favore, mi aiuti, ciao, sono contento, è stato un piacere, dammi, cercami, etc.). Il criterio è stato quello di individuarle tra il linguaggio usato abitualmente tra esseri umani.

  • Il metodo e gli strumenti utilizzati sono stati l’osservazione (affiancamento nelle attività quotidiane), focus group, questionari.

  • Il campione (che non si può definire rappresentativo perché non posso chiamare questa esperienza una ricerca) è costituito da circa 250 lavoratori (impiegati, tecnici, team leader).

  • I settori delle Aziende dove ho portato avanti questa osservazione sono stati 3: informatico, chimico, ospedaliero.

Risultati

I risultati ottenuti evidenziano un 27% di lavoratori (circa 70 su 250) che hanno trovato più semplice collaborare con colleghi virtuali.

Le motivazioni addotte riferiscono risposte del tipo: “sai che non hanno secondi fini”, “sai che non possono tradirti”, “sai che difficilmente sbagliano”, etc.

Come dire che considerano, questa relazione, più rassicurante.

La relazione lavoratore-A.I. può rappresentare una relazione rifugio, che non espone, cioè, le persone a insicurezze, emozioni negative, ansie, timori?

Può essere, quindi, definita più affidabile?

Evidenzio anche che le parole e le espressioni utilizzate da questo 27% nell’interazione con i colleghi virtuali, non possono venire considerate fredde o esclusivamente funzionali (solo una piccolissima parte si è rivolta con uno stile vicino al comando).

Devo dire che la percentuale mi ha sorpreso tanto quanto le motivazioni elencate.

Da qui si sono aperte altre domande che andranno approfondite.

Una tra tante: il valore del teamwork, i valori di condivisione emotiva, di appartenenza, la capacità e il “gusto” dell’affrontare sfide, del raggiungere risultati, del condividere sconfitte, possono essere questi elementi replicabili anche nelle relazioni tra umani-non umani?

Perderemo, nel tempo, quelle competenze relazionali che costituiscono una ricchezza importante per le aziende e le persone che vi fanno parte?

Conclusioni

Siamo solo all’inizio di un cambiamento epocale, ma che prosegue velocissimo.

Ritengo che il mondo del lavoro (come anche quello della psicologia clinica) debba già attrezzarsi per gestire e affrontare possibili difficoltà causate dalle relazioni tra esseri umani sempre più coinvolti con sistemi non umani ma pensanti, comprensivi, partecipativi, disponibili, efficaci, affidabili, capaci.

È in questa nuova zona di scambio, in possibili nuove tipologie di legame che potremmo disorientarci.

Occorre pensare a momenti di riflessione sugli aspetti qui riportati, organizzando incontri nelle aziende che aumentino, almeno in queste fasi, il livello di consapevolezza dei lavoratori (che più di altri utilizzano A.I.) su quali sono i potenziali rischi di impoverimento personale.

Disorientamento relazionale corrisponde a impoverimento personale?

Se sì, anche fuori dal contesto lavorativo? Un’ipotesi da vagliare.

Questo articolo non può e non intende dare risposte certe o esaustive su un argomento di tale ampiezza; di fatto, l’obiettivo è condividere riflessioni ed evidenziare punti di attenzione.

Personalmente continuerò ad approfondire l’argomento del DISORIENTAMENTO RELAZIONALE, dal momento che potrebbe diventare a breve un punto di vulnerabilità nelle organizzazioni aziendali.


Tratto da "Personale e Lavoro n° 648 - Ottobre 2022" - Uno dei servizi dell'Abbonamento ISPER

Foto di 0fjd125gk87 da Pixabay
Frecce: elaborazione su foto di Veronica Bosley da Pixabay