Tre punti da non trascurare prima che sia troppo tardi
Nei momenti di crisi abbiamo imparato a diffondere meme positivi. Vi sarà capitato di sicuro di leggere che non vi sia nulla di meglio di una bella crisi per cambiare, probabilmente attribuito a diversi personaggi storici.
La necessità del contagio positivo nelle comunità umane è uno degli splendori della progettazione evolutiva della nostra specie di cui non sempre siamo consapevoli.
Essere umani vuole dire nell’universo conosciuto essere gli unici a possedere caratteristiche come la ragione, la consapevolezza dell’esistenza individuale, il senso di comunità, tutti elementi che ci consentono di vivere scegliendo e di vivere con e per gli altri, vivendo anche per sé.
Questi elementi sono le costituenti più di base della nostra esistenza e i mattoni sui quali costruiamo le nostre esperienze collettive come comunità e su una scala più ridotta come organizzazione.
Sono elementi che un periodo difficile come quello che abbiamo vissuto ha messo in difficoltà, ma che oggi ci possono aiutare a capire come ripartire.
Da qui quindi si deve muovere per una riflessione sul futuro delle organizzazioni che voglio condividere con voi toccandone tre aspetti per me particolarmente importanti.
In primo luogo, dobbiamo riconoscere che sebbene la nostra incertezza sia molta, il futuro delle organizzazioni non è deterministico, ma dipenderà dalle nostre decisioni collettive e individuali.
Quindi, sebbene sia comprensivo rispetto a chi mi chiede delle risposte certe, l’ansia dell’incertezza è una sensazione che i CEO e i top manager devono imparare a vivere.
Va benissimo come vedremo raccogliere informazioni con le survey interne, sviluppare benchmark, collezionare articoli della stampa internazionale, ma ricordiamoci che sono informazioni, suggerimenti e che alla fine spetterà a noi decidere.
È quello che come Orgtech ripetiamo a tutte le organizzazioni con cui collaboriamo in questa fase nella quale si deve andare a definire un nuovo modello operativo di funzionamento.
Questo modello non può essere solo il risultato di quello che fanno gli altri, ma deve trarre linfa e valore da una riflessione sul futuro che un gruppo manageriale ha la responsabilità di fare.
In secondo luogo, la complessità della trasformazione che dobbiamo fare ci deve portare a riconoscere che non sarà la transizione da A a B, cioè che non c’è un modello chiaro e ben definito, ma un lungo sentiero di sperimentazione e apprendimento che ci porterà verso un nuovo modo di organizzare il nostro lavoro e penso anche la nostra società, visto che da sempre le attività economiche strutturano i rapporti primari tra persone in una data società e quindi definiscono i modelli di organizzazione sociale.
Su quest’ultimo punto è ad esempio interessante capire se l’esperienza che abbiamo fatto invertirà la direzione del processo di inurbamento che sembrava inarrestabile.
Cosa potrà succedere nel momento in cui il lavoro potrà essere svolto anche con una distribuzione territoriale delle persone molto eterogenea?
Troveremo ancora valore nella concentrazione urbana? E nel caso a quale valore faremo riferimento?
Questo punto al di là delle ricadute esterne all’impresa è particolarmente delicato perché gran parte dei modelli organizzativi che possediamo ha l’obiettivo di aiutare a replicare in modo accurato e affidabile le azioni del passato, mentre il sentiero di sperimentazione richiederà di sviluppare capacità flessibili di adattamento e valutazione delle alternative di progettazione.
Inevitabilmente dobbiamo aspettarci molte resistenze e difficoltà a partire purtroppo proprio dalle funzioni che più di altre si occupano di ordine e standardizzazione come la gestione delle risorse umane.
Poiché il percorso che dobbiamo fare determina le attrezzature e le guide, è chiaro che sarebbe sbagliato accettare la lusinga di chi già si affretta a definire new normal strutturati o peggio ancora del tutto modellati su quanto fanno le organizzazioni in media.
La media è esattamente il punto in cui non si vuole mai essere quando si guarda al futuro e in generale alla propria capacità di competere nel mercato.
Il terzo ed ultimo punto riguarda in modo ancora più specifico chi si occupa di gestione delle risorse umane.
L’avvento di nuovi modelli di lavoro e di una nuova organizzazione spazio-temporale della prestazione di lavoro non può essere ridotto ad una soluzione organizzativa o tecnologica.
Al di là di richieste forse eccessivamente negoziali (come il riconoscimento dei costi aggiuntivi del lavoro a casa) che però sono la cartina di tornasole di un rapporto ormai ridotto in molte organizzazioni quasi solo a un puro scambio economico in logica di reciproca strumentalità, è evidente che l’esperienza di molte persone è che la flessibilità di organizzazione del proprio tempo sia un nuovo elemento del rapporto tra persona e organizzazione.
In quanto tale, non si può solo aggiungere, ma deve essere considerato in termini di impatti su quel sottile equilibrio che sta alla base del contratto psicologico (le aspettative e i contributi non formalizzati, ma promessi e attesi, come ad esempio le possibilità di crescita e carriera).
La semplice circostanza che alcune persone possano in virtù del loro ruolo riconfigurare la prestazione spazialmente e che altre non possano farlo (pensiamo agli operatori di macchina o agli addetti della GDO) diventerà un tema critico quando questa differenza non sarà dovuta ad atti legislativi come i DPCM o più in generale ad una pandemia terribile come quella che stiamo ancora vivendo.
Si configura un possibile terremoto nell’assetto del rapporto tra persona e organizzazione che dovrà rideterminare i criteri di equità relativi.
Questo perché sappiamo dalla ricerca che una delle determinanti principali della soddisfazione è l’equità percepita e che l’equità percepita è sempre relativa, ovvero definita dalla comparazione di quanto vale per me e di quanto vale per le altre persone nell’organizzazione.
Serve in fondo una sorta di nuovo contratto sociale nelle organizzazioni che ridetermini una volta assorbita la probabile estensione del lavoro ibrido o a distanza gli equilibri per tutti.
Queste tre scelte (definizione della propria posizione strategica, incrementalismo evolutivo delle soluzioni e nuovo contratto sociale interno) sono le vere sfide del futuro delle organizzazioni.
Le soluzioni tecniche ed organizzative, non sono sfide, ma per l’appunto soluzioni la cui sostenibilità dipende dalle tre scelte che ho qui tratteggiato.
Ma la prima vera domanda con cui vi lascio è se questi tre aspetti hanno già uno spazio nelle vostre organizzazioni.
Se la risposta fosse no, credo sia urgente porle al centro del vostro executive Committee.
Tratto da "Personale e Lavoro n° 633 - Maggio 2021" - Uno dei servizi dell'Abbonamento ISPER
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