“Per un apprendimento trasformativo”
Suggestioni per la formazione nel XXI secolo
Abbiamo assistito, a seguito dell’emergenza pandemica, ad una forte accelerazione dei processi di cambiamento storico che si innesta ai recenti mutamenti determinati dalla crescente globalizzazione degli scambi commerciali, delle informazioni e conoscenze, all’interno di ambienti tecnologici sempre più sofisticati (caratterizzati da una vasta gamma di nuove tecnologie in stretto rapporto sinergico1
Un cambiamento di scenario repentino che pone attenzione su temi rilevanti - ormai improrogabili -, quali la sostenibilità ambientale, la progressiva urbanizzazione del pianeta, l’evoluzione demografica e le crescenti disuguaglianze.
La crisi da pandemia ci sta definitivamente allontanando da una difesa cieca in un progresso inarrestabile; costatiamo, dunque, come la storia avanzi per cambiamenti bruschi, salti e mutazioni improvvise. Emergenze impreviste, accompagnate da trasformazioni repentine che impattano su organizzazioni, persone e territori.
Come rispondiamo in termini di atteggiamenti, comportamenti, azioni, in questa nuova era determinata dall’incertezza, dalle crisi continue e dai frequenti cambiamenti?
Cambia il paesaggio in cui tutti noi siamo immersi, cadono tutte le nostre più fervide convinzioni, insieme alle nostre abituali mappe cognitive.
Ognuno di noi affronta il dipanarsi di questo nuovo scenario con visioni contrapposte: chi adotta una visione del mutamento con un atteggiamento “adattivo-difensivo”; chi intravede un’occasione per avviare un “cambiamento paradigmatico”, radicale, di rottura con le pratiche precedenti.
La prima visione - di pura resilienza, di mero adattamento - sembra ormai non determinare sostanziali cambiamenti (culturali) nei comportamenti degli individui: essi si trovano in una condizione di fragilità, di mera reattività a cambiamenti esogeni (improvvisi ed imprevisti), con l’impossibilità di esprimere una fattiva progettualità; la seconda visione, invece, pone gli individui in una condizione di “antifragilità” (per utilizzare un termine caro al noto saggista libanese Nassim Nicholas Taleb) che, in virtù di un atteggiamento proattivo, consente di non subire il cambiamento, ma di porre, invece, quelle condizioni necessarie per una reale trasformazione: un’opportunità generatrice di nuove possibilità, dunque, e rinnovate potenzialità realizzative.
Sappiamo, però, che la gestazione di cambiamenti di paradigma avvengono con grande difficoltà; essi portano con sé sofferenza e disorientamento, per le resistenze dovute a vecchie pratiche e modelli di comportamento, con sistemi strutturati su solidi modelli culturali provenienti da altre epoche.
La scena attuale, sempre più dominata dalle incertezze e dalle imprevedibilità, è assai più frammentata e asimmetrica della precedente, foriera di maggiori rischi e conflitti, precedentemente trascurati (disuguaglianze, esclusione sociale, discriminazioni).
Stiamo assistendo ad un lento declino anche degli approcci tradizionali nel campo dell’educazione e dell’apprendimento, oltreché dell’orientamento, che non sembrano rispondere efficacemente alle nuove sfide lanciate da questa epoca di rottura con le precedenti.
Una fase nuova che richiede rinnovati setting educativi con un apprendimento orientato su scienza, tecnologia, ingegneria e matematica (STEM), senza dimenticare l'importanza dello sviluppo di quelle competenze necessarie a sostenere le sfide del nuovo millennio: creatività, pensiero critico, lavorare in team, imprenditorialità, auto-apprendimento, intedisciplinarità.
In uno scenario in continua evoluzione - in cui gli incessanti cambiamenti impongono la trasformazione di molti ambienti organizzativi, del lavoro e delle professioni -, diventa sempre più centrale e strategico il ruolo dell’educazione e della formazione, ma soprattutto il nostro modo di pensare e immaginare l'apprendimento.
È in tale contesto che intendo sottolineare, attraverso la personale esperienza maturata come formatore aziendale e, in particolare, di docente (facilitatore), come sia necessario ripensare e riprogettare gli strumenti e i metodi che guidano molti interventi formativi.
La didattica esperienziale, per progetti, che ho utilizzato in questo ultimo decennio (precedentemente all’Università dell’Aquila - Dipartimento di Ingegneria Industriale e dell'Informazione ed Economia - e attualmente presso l’Università di Roma Tor Vergata - Dipartimento di Storia, Patrimonio culturale, Formazione e Società) oltrepassando la classica modalità frontale e direttiva, ben si innesta in questo processo di trasformazione profonda, poiché ricorre a metodologie e strumenti utili ad adeguare l'apprendimento e la progettualità ai nuovi scenari.
Un metodo che sollecita chi apprende ad attivarsi come protagonista consapevole e responsabile del proprio progetto di sviluppo professionale (D. Barricelli, 2020)2.
Un percorso di apprendimento che, alternando momenti di studio individuale e di lavoro in gruppo, fornisce conoscenze, competenze e abilità per contestualizzare gli apprendimenti acquisiti ed in via di acquisizione, individuando aree e ambiti di specializzazione su cui orientare la propria progettualità.
Le consuete attività di monitoraggio sul processo formativo, che accompagnano ogni personale esperienza didattica, contribuiscono a far emergere interessanti considerazioni, soprattutto sull’approccio metodologico e sul suo adattamento ad una didattica a distanza “forzata”, a causa dell’emergenza pandemica.
La distanza forzata ha imposto una necessaria riorganizzazione di risorse e strumenti per consentire la migliore "regia" del percorso di apprendimento in condizioni totalmente mutate.
Grazie alla condivisione di obiettivi, finalità e strumenti, tra gli attori coinvolti nel processo formativo (discenti, formatori, coordinatori, facilitatori, testimoni del mondo delle professioni e del lavoro), attraverso uno sforzo corale si è potuto realizzare il miglior trasferimento di conoscenze e competenze cognitive di più elevato valore: la capacità di lavorare in gruppo (spesso trascurata nell’apprendimento direttivo tradizionale), per obiettivi (con tempi e output definiti grazie alla redazione dei project work di gruppo), ricorrendo a frequenti feedback descrittivi, attraverso l’assunzione di responsabilità sull’assegnazione di compiti definiti, con un orientamento al risultato e la relativa contestualizzazione dell’apprendimento acquisito.
Incentivare questa modalità formativa, interdisciplinare, esperienziale, per progetti, significa offrire a chi apprende strumenti e metodi per sviluppare una maggiore autonomia e responsabilità, anche grazie all’attivazione di una solida e consolidata rete di collaborazioni esterne che completa e arricchisce l’esperienza di apprendimento.
Un diverso approccio, rispetto ai tradizionali interventi direttivi (di tipo top-down), che alimenta il protagonismo di quanti sono coinvolti in percorsi formativi, necessario a superare il ricorrente “apprendimento bulimico”, che tutto ingoia senza assaporare, poiché limita potenzialità e talenti, ma soprattutto la crescita e lo sviluppo individuale e professionale in un contesto dominato da complessità e interdipendenze sistemiche.
Un tipo di“apprendimento trasformativo”, dunque, (ben descritto dal sociologo statunitense Jack Mezirow3 che ne ha coniato il termine) che ben rappresenta i momenti critici che ognuno di noi vive di fronte ai cambiamenti; nelle ricorrenti condizioni di incertezza nelle quali ci troviamo a vivere, ci rimodelliamo, ci rinnoviamo, re-impariamo, rielaboriamo le nostre conoscenze, sviluppiamo le nostre mappe, accrescendo quelle abilità necessarie a gestire in maniera efficace i cambiamenti.
Un atteggiamento necessario per rimettersi in gioco, per cambiare la propria visione del mondo, aprendosi agli stimoli che vengono percepiti come nuovi attraverso una conoscenza pertinente, contestuale e globale, in grado di pensare e dialogare senza indugio con l’incertezza.
Un modello di apprendimento adatto a formare i professionisti e gli imprenditori del presente e del futuro, anche attraverso adeguati percorsi di supporto alle molte persone che affrontano, e affronteranno sempre più, frequenti momenti di transizione e cambiamento.
Cresce, dunque, la consapevolezza di ricostruire nuove progettualità, maggiormente condivise e partecipate, per orientare alla complessità e all’interdipendenza di nuovi ambienti sociali, educativi e organizzativi, in cui “fondere il metodo e il rigore scientifico con la progettualità pratica e l’apprendimento di tipo trasformativo” (Butera, F., 2020)4
Note
1 - Rif. Glenn J. C. (Millennium Project) "Work/Technology 2050 — Scenarios and Actions". Definite Next Technologies, che includono: robotica, biologia sintetica, scienze computazionali, nanotecnologia, quantum computing, stampa 3D e 4D, Internet of Things, scienza cognitiva, web semantico, aumento dell’intelligenza umana, blockchain, veicoli autonomi, conscious-technology.
2 - Barricelli D., “Work Life Project. Progettare il proprio percorso di vita professionale”, Aracne, Roma, 2019.
3 - Mezirow J.,“La teoria dell'apprendimento trasformativo. Imparare a pensare come un adulto”, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2016.
4 - rif. M. Tiraboschi, in postfazioni, Butera F., “Organizzazione e società”, Marsilio, Milano, 2020.
Tratto da "Personale e Lavoro n° 630 - Febbraio 2021" - Uno dei servizi dell'Abbonamento ISPER