Area
Diritto del Lavoro

Topic
Giurisprudenza

Maurizio de la Forest de Divonne

N° 36

28 ottobre 2020

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Covid-19 e diritto allo smart working: il requisito della compatibilità delle mansioni svolte dal dipendente con il lavoro agile

Il Tribunale di Roma, con una recente ordinanza del 20 giugno 2020, ha espresso il seguente principio: “nell'ambito della peculiare emergenza sanitaria da COVID-19 la necessità di controllare un figlio disabile, per il quale risulta certificato il ruolo svolto dalla madre come presenza di fondamentale importanza per il suo equilibrio e stabilità, risulta meglio garantita dalla possibilità per la lavoratrice stessa di svolgere presso la propria residenza, in modalità smart working, i compiti assegnati a quest'ultima dalla ASL datrice presso il luogo di lavoro.

L'accoglimento della richiesta della ricorrente di svolgere l'attività in modalità smart non pregiudica l'espletamento del servizio alla stessa assegnato e non è incompatibile con esso”.

L’emergenza sanitaria da Coronavirus ha condotto all’emanazione di numerosi provvedimenti normativi che hanno inciso su diverse materie: un caso emblematico, già oggetto persino di interventi giurisprudenziali, è rappresentato dal c.d. smart working (o lavoro agile).

Riprendendo quanto già precisato nell’articolo dello scorso Maggio sul tema (“Covid-19: illegittima la collocazione unilaterale in ferie se è possibile ricorrere al lavoro agile”), si ricorda che lo smart working (disciplinato nel nostro ordinamento dalla L. n. 81/2017) costituisce non uno speciale rapporto di lavoro, bensì una particolare modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, che può essere effettuata in qualunque luogo (a casa, ma anche in azienda) e, quando eseguita fuori dai locali aziendali, in qualunque tempo.

A causa della pandemia in essere, il Governo ha modificato la disciplina prevista dalla L. n. 81/2017, prevedendo (ove possibile) l’utilizzo prioritario del lavoro agile sino al termine dell’emergenza sanitaria, anche in assenza degli accordi individuali richiesti dalla predetta legge, e “raccomandando” tale modalità di lavoro semplificato in particolare per alcune categorie di lavoratori, considerate più vulnerabili (come già aveva avuto modo di chiarire il Tribunale di Bologna, con provvedimento del 23 aprile 2020, in un caso analogo a quello oggetto di commento).

Il Tribunale di Roma, riprendendo i concetti e i principi già evidenziati dai Giudici bolognesi, aggiunge un quid pluris rispetto alla semplice esistenza dei requisiti previsti dalla normativa vigente (nel caso di specie, la disabilità). È enfatizzato, infatti, con la pronuncia in esame, il requisito dell’effettiva compatibilità del lavoro agile con l’attività lavorativa che il dipendente è chiamato concretamente ad eseguire.

Il caso di esame, infatti, muove dal rifiuto opposto da un’azienda sanitaria locale rispetto alla richiesta di una lavoratrice, assistente socio-sanitario, di svolgere il nuovo incarico assegnatole dalla datrice di lavoro con modalità di lavoro agile.

La richiesta della dipendente si fondava sul presupposto dell’esistenza di ben due familiari (madre e figlio) con gravi disabilità e sull’impossibilità di prestare loro adeguata assistenza in caso di presenza lavorativa presso i locali aziendali.

L’ASL resisteva in giudizio sostenendo la legittimità del provvedimento datoriale, poiché era stata costituita una task force aziendale temporanea (ove la lavoratrice era stata inserita), per collaborare alle indagini epidemiologiche e all’attività di sorveglianza e diffusione del virus Covid-19.

Le ipotesi oggi previste di “diritto” allo smart working, individuate dai provvedimenti governativi emergenziali, riguardano: (1) i lavoratori dipendenti disabili in condizione di gravità o che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità grave (art. 39 D.L. n. 18/2020 - Decreto Cura Italia, che richiama l'articolo 3, comma 3, della L. n. 104/1992); (2) i lavoratori genitori dipendenti che abbiano almeno un figlio minore di 14 anni, a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito per sospensione o cessazione dell’attività lavorativa, o che non vi sia altro genitore non lavoratore (art. 90 D.L. 34/2020 - Decreto Rilancio); (3) i lavoratori maggiormente esposti a rischio di contagio da virus, in ragione dell'età o della condizione di rischio derivante da determinate patologie o situazioni (art. 90 D.L. n. 34/2020, come modificato dalla legge di conversione n. 77/2020).

Tutte le ipotesi suddette prevedono, comunque, quale condizione necessaria per poter operare da remoto, che lo smart working sia compatibile con le caratteristiche della prestazione lavorativa in concreto da eseguire.

Nel caso di specie, il Tribunale di Roma ha accolto il ricorso presentato dalla lavoratrice, riconoscendole il diritto allo svolgimento delle nuove mansioni in modalità di lavoro agile.

Ciò in quanto è emerso che, alla luce delle concrete attività che la lavoratrice avrebbe dovuto eseguire all’interno della nuova équipe sanitaria, tali mansioni potessero essere effettuate da remoto, senza pregiudicare l’attività a servizio del pubblico.

In altri termini, il Tribunale Romano ha ritenuto che non fosse necessaria, per quelle particolari attività, un’effettiva presenza in ufficio della lavoratrice.

Merita di essere segnalata un’altra recente pronuncia resa, sullo stesso tema e dopo pochi giorni, dal Tribunale di Mantova in data 26 giugno 2020.

In tal caso, pur riscontrando, come nel caso appena esaminato, la sussistenza dei requisiti previsti dalle disposizioni emergenziali in materia di lavoro agile (presenza di un figlio minore di anni 14 da sorvegliare), è stata, invece, dichiarata l’incompatibilità delle mansioni che il lavoratore avrebbe dovuto svolgere (gestione dei parcheggi e attività straordinarie non prevedibili) con il lavoro da remoto.

Il Giudice Lombardo ha, quindi, rigettato il ricorso del dipendente, ritenendo necessaria la sua presenza in loco, anche alla luce del fatto che la moglie del lavoratore operava già in smart working.

Le due pronunce suddette, di segno opposto, consentono di concludere nel senso che il diritto di avvalersi del lavoro agile in forma semplificata non può essere considerato un diritto assoluto ed inderogabile del lavoratore, anche in presenza dei requisiti previsti dalla normativa.

Occorre, infatti, sempre verificare, caso per caso, che lo svolgimento dell’attività lavorativa da remoto sia compatibile con le caratteristiche delle mansioni da svolgere.

Ricordiamo, peraltro, che la disciplina dello smart working semplificato, che (al di là delle ipotesi particolari esaminate sopra) consente sostanzialmente al datore di lavoro di decidere in modo unilaterale la messa in lavoro agile dei propri dipendenti, trova applicazione, allo stato, sino al 15 ottobre (N.d.r.: alla data di pubblicazione sino al 31 dicembre).

Oltre tale data, salvo ulteriori proroghe o diverse disposizioni Governative, si tornerà alle regole ordinarie in materia di smart working (L. n. 81/2017), che presuppongono il necessario accordo individuale delle parti. Si dovranno, pertanto, stipulare accordi con un numero ingente di lavoratori, che vorranno o dovranno proseguire con il lavoro da remoto, con conseguenti problemi organizzativi per le aziende.

Commento a cura dell'Avv. Maurizio de la Forest de Divonne

Tratto da "Sentenze e Commenti" - Settembre 2020 - Uno dei servizi dell'Abbonamento ISPER