Area
Cultura delle Risorse Umane

Topic
Lavoro Femminile

Rossella Cardinale

N° 4

12 febbraio 2020

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Parità diversa e competenze evolutive nel mercato del lavoro che cambia

Siamo ormai nella “Società della conoscenza”, quella in cui non è tanto la possibilità di creare idee nuove che ci contraddistingue, ma la possibilità di creare dei link tra idee preesistenti. Le donne, in questo hanno maggiori potenzialità di espressione, perché hanno sempre dovuto negoziare spazi di autonomia orizzontale in organizzazioni fortemente gerarchiche.
Viviamo nella società del cambiamento e la rete (sia intesa come web che come rete di conoscenze) è il driver più importante: una risorsa monetizzabile e da valorizzare. Occorre, allora, ridisegnare la mappa delle competenze che ci servono per crescere.
Non possiamo più vederci come profili professionali verticali e immutabili, ma dobbiamo riprogettarci come “fettine di competenze” orizzontali modulari, che possono essere mescolate e ricomposte a seconda delle esigenze che il cambiamento e la società richiedono.

Sviluppare competenze per cavalcare il cambiamento

Nel mondo economico 4.0 sono cambiate le regole di ingaggio, ed è cambiato il focus dalle opportunità alle potenzialità. Siamo ormai nella “Società della conoscenza”, quella in cui non è tanto la possibilità di creare idee nuove che ci contraddistingue, ma la possibilità di creare dei link tra idee preesistenti. Le donne, in questo hanno maggiori potenzialità di espressione, perché hanno sempre dovuto negoziare spazi di autonomia orizzontale in organizzazioni fortemente gerarchiche.

Viviamo nella società del cambiamento e la rete (sia intesa come web che come rete di conoscenze) è il driver più importante: una risorsa monetizzabile e da valorizzare.

Occorre, allora, ridisegnare la mappa delle competenze che ci servono per crescere. Non possiamo più vederci come profili professionali verticali e immutabili, ma dobbiamo riprogettarci come “fettine di competenze” orizzontali modulari, che possono essere mescolate e ricomposte a seconda delle esigenze che il cambiamento e la società richiedono.

Nel corso dell’ultimo Gamma Forum , Paola Scarpa (Google Client Solution, Data & Insight Director) ha evidenziato come si stanno sempre più diffondendo nuovi modelli di business, in cui contano sempre di più, oltre che le competenze digitali declinate al femminile, la capacità di attivare il pensiero digitale.

Il pensiero digitale (o digital mindset) è ormai riconosciuto come un modello di pensiero che è in grado di integrare la considerazione e connessione di solo alcune delle fasi dei processi con la capacità di mettere in atto azioni orientate al miglioramento, alla crescita e allo sviluppo degli stessi .

Se prendiamo, quindi, il modello di pensiero digitale, come metafora evolutiva del change management, possiamo dire che “il digitale è donna”.

Che cosa vuol dire?

In primo luogo, vuol dire valorizzare la capacità, tutta femminile, di ascolto generativo, consistente nella potenzialità di intercettare i fermenti innovativi del futuro emergente, come fa il mentor che vede nel mentee le potenzialità ancora inespresse.

In secondo luogo, vuol dire esercitare un modello di leadership diffusa, non gerarchizzata, in cui ogni leader crea altri leader e rende la struttura più adatta a fronteggiare il cambiamento.

Il bisogno crescente di una struttura organizzativa circolare e partecipata è, infatti, ormai diventato prioritario.

Come ha rivelato uno studio promosso da Randstad Professionals, realizzato in collaborazione con l’Alta Scuola di psicologia Agostino Gemelli dell’Università Cattolica di Milano, l’80% delle imprese deve fronteggiare una carenza di competenze. Questo perché la priorità resta sempre quella di aumentare la produttività, trattenendo e attraendo i migliori talenti sul mercato.

Tra le più avanzate teorie sulla leadership ispirazionale, la Teoria U di Otto Scharmer, professore al MIT di Boston, auspica, ad esempio, il passaggio da un vecchio “ego-sistema”, incentrato esclusivamente sul benessere ego-centrato, a un “eco-sistema”, in grado di occuparsi del benessere di tutti.

E questa trasformazione non può che svilupparsi attraverso una nuova consapevolezza che, partendo dall’individuo si estenda ai gruppi, alle aziende, alle forze della politica e dell’economia.

Questo modello, tuttavia, attualmente stenta a decollare.

C’è ancora molto lavoro da fare nel mondo della managerialità e imprenditoria femminile, dove non è ancora tenuta, a mio avviso, in adeguata considerazione la capacità di fare squadra, ormai diventata un fattore abilitante alla crescita delle organizzazioni.

E queste sono barriere “di testa”, ancora piuttosto radicate in molti contesti sociali e culturali, più legate a stereotipi e ad automatismi comportamentali, che alla reale misurazione di inefficacia dei risultati.

Le norme ci aiutano?

Nel contesto italiano, secondo il Rapporto ASviS 2019 , per ciò che concerne la lotta alla “disuguaglianza di genere e l’empowerment femminile, l’Italia dispone di un sistema di buone leggi , ma negli anni recenti si è assistito a un forte depotenziamento degli strumenti di attuazione.

Devono essere approvate in tempi brevi le proposte di legge assegnate alla Commissione Lavoro della Camera per il superamento del divario retributivo di genere e per favorire l’accesso delle donne al lavoro. Le misure puntano anche a premiare le aziende che contrastano efficacemente il divario retributivo e/o facilitano la conciliazione tra vita privata e lavoro. Importante appare anche la proposta di estendere a un numero maggiore di aziende l’obbligo (previsto nel Codice delle Pari Opportunità per le aziende pubbliche e private che occupano oltre 100 dipendenti) di redigere, almeno ogni due anni, un rapporto sulla situazione del personale e sulla retribuzione effettivamente corrisposta”.

Nel contesto europeo, nonostante i più recenti dati Eurostat 2019 sul Gender Gap mostrino una crescita del tasso di attività delle donne italiane, il dato resta comunque il più basso in Europa, segno che la parità di genere continua ad essere un miraggio - sia che si parli di retribuzione, sia che si parli di percentuali di impiego.

Sebbene nel secondo trimestre del 2019 il tasso di attività delle donne italiane sia aumentato ulteriormente raggiungendo il 56,8%, resta comunque il più basso in Ue con oltre il 43% delle donne in età da lavoro fuori dal mercato.

E se si restringe l’analisi alla fascia compresa tra i 25 e i 54 anni la situazione, se possibile, peggiora ulteriormente: solo il 68,3% delle donne sono nel mercato, contro l’80,5% della media Ue: questo significa che quasi un terzo della popolazione femminile potenziale resta inattiva, svalorizzando le proprie risorse, sia in termini di autorealizzazione che dal punto di economico e sociale.

Attivare il cambiamento lavorando su sé stessi

Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”, diceva il Mahatma Gandhi e questo è stato un po’ il mantra del mio percorso professionale, trasformatosi strada facendo.

Dopo oltre venti anni di esperienza aziendale manageriale, cerco ora di aiutare i giovani e le donne - attraverso percorsi di empowerment personali o di gruppo - a sviluppare il proprio talento in armonia con i bisogni dell’organizzazione cui appartengono: cavalcare il cambiamento, scoprendo sé stessi.

Per farlo è indispensabile imparare non solo ad autovalutarsi, ma ad autovalorizzarsi.

Come? Lavorando su chi siamo e su chi vorremmo essere. Se ci abituiamo a pensarci come ci vorremmo, lo diventeremo.

Tanto più saremo radicate nella consapevolezza che le nostre risorse costituiscono anche un potenziale economico che, se adeguatamente valorizzato, contribuirà anche alla crescita del Paese, tanto più le nostre azioni risulteranno autentiche e verranno ascoltate. È un processo di evoluzione creatrice, per dirla alla Bergson . La vita è, infatti, una «creazione» che continuamente «disfa» la materia, mediante processi di organizzazione «invisibili» dei quali l’organismo «visibile» costituisce soltanto una temporanea realizzazione.

Siamo noi a dover scrivere la nostra storia.

Se dovessi, quindi, dare un consiglio alle giovani donne che studiano e che un giorno si affacceranno al mercato del lavoro, mi vengono in mente tre parole chiave.

La prima è sostenibilità.

Per che cosa mi sento portata? Quali attività mi ingaggiano profondamente? Quali mi danno energia, anziché togliermela?

L’energia femminile è fluida come l’acqua, aiuta ad abbattere le barriere, a integrare, ad armonizzare. Ed è la risorsa che ci potrà aiutare a conciliare vita familiare e professionale, se taglieremo un vestito su misura per noi e impareremo a rispettare i nostri bisogni.

La sostenibilità è anche e soprattutto un tema ambientale, diremmo di ecologia delle relazioni. Le teorie sulla leadership ispirazionale, cui abbiamo accennato in precedenza, ci parlano di ascolto generativo e intuizione come qualità che veicolano una leadership orientata al bene comune, in cui chi guida fa da catalizzatore della crescita del gruppo. E in questo le donne sono molto brave.

La seconda è consapevolezza delle proprie risorse, sia in termini di visione che in termini di autodeterminazione.

Gran parte delle credenze limitanti che ostacolano il nostro sviluppo, vengono da copioni appresi nel nostro percorso di crescita. Sono frutto, cioè, di adattamenti inconsci alla richiesta di aderenza a modelli esterni.

Riuscire a osservare consapevolmente questi meccanismi e a trasformare le risposte reattive in risposte proattive, orientate al riconoscimento dei nostri bisogni profondi, libera energie preziose da orientare nella direzione dell’autorealizzazione personale e professionale. Del resto etimologicamente la parola “svilupparsi” significa “togliere i viluppi”.

La terza è connessione.

Viviamo nell’epoca delle connessioni, del fare rete, della simbologia immaginale. Il nostro cervello funziona per connessioni. La società della Conoscenza si alimenta di connessioni. Le donne sono molto brave in questo, perché naturalmente portate a contaminare, a riutilizzare a integrare il pensiero.

Per affrontare le sfide della complessità e poter surfare sulle onde del cambiamento le competenze trasversali e il mind-set digitale sono alleati indispensabili. Ma occorre anche saper integrare competenze logiche e di problem solving, capacità di lavorare in gruppo e di condividere le conoscenze e competenze emotive, per leggere correttamente e tradurre in comportamenti efficaci i bisogni delle persone e delle organizzazioni.

Conclusioni

Per affrontare qualunque processo formativo o auto-formativo con una logica evolutiva e realmente proiettata al futuro, occorre dotarsi di strumenti trasversali che ci consentano di aprire la mente a nuovi mondi, ma anche attivare quella gender sensivity che consente, in ogni contesto, di includere, diversificare e quindi rendere poliedrica la visione del sistema.

Affrontare tutte queste visioni, traducendo in competenze trasversali gli output che ci vengono forniti, significa attivare un nuovo paradigma in cui uomini e donne possano realmente essere tutti connessi.

Fare rete e lavorare sul network, che è ormai la risorsa chiave del XXI secolo, vuol dire anche impegnarsi a fare da ponte per il passaggio generazionale.

Dobbiamo investire sui giovani e veicolare nuovi modelli integrati in cui il mondo dell’educazione, il mondo professionale e il contesto sociale e familiare possano parlarsi e condividere risorse e obiettivi.

Solo così potremo contribuire fattivamente a rompere gli schemi e ad essere finalmente il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo.

Tratto da "Personale e Lavoro - Rivista di cultura delle Risorse Umane" n. 619 Febbraio 2020 - Uno dei servizi dell'Abbonamento ISPER