Area
Cultura delle Risorse Umane

Topic
Cambiamento

Filippo Ferrari

N° 1

4 febbraio 2020

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La resistenza al cambiamento. Cos’è, come misurarla e fronteggiarla

«E debbasi considerare come non è cosa più difficile a trattare, né più dubia a riuscire, né più pericolosa a maneggiare, che farsi a capo ad introdurre nuovi ordini. Perché lo introduttore ha per nimici tutti quelli che delli ordini vecchi fanno bene, et ha tepidi defensori tutti quelli che delli ordini nuovi farebbono bene...» (Niccolò Machiavelli, Il Principe, cap. 6)

Dal punto di vista organizzativo, il change management è un approccio strutturato al cambiamento negli individui, nei gruppi e nelle organizzazioni che rende possibile (e/o pilota) la transizione da un assetto corrente ad un futuro assetto desiderato. Il change management, inoltre, fornisce strumenti e processi per riconoscere e comprendere il cambiamento e gestire l'impatto umano di una transizione.

La letteratura scientifica mostra che la prontezza al cambiamento (readiness to change) è il principale antecedente di successo nel change management (ne ho scritto in “Personale e Lavoro”, 613, Luglio 2019). Ma spesso non è sufficiente che le persone siano pronte, è anche necessario che non ci siano ostacoli al cambiamento. La resistenza al cambiamento è un fenomeno che influenza il processo di cambiamento, può ritardarne l’inizio, ostacolarne l’implementazione e aumentarne i costi. La letteratura ha individuato fino ad oggi alcuni fattori che sono all’origine di tale resistenza: la scarsa apertura all’esperienza della persona; il cinismo/pessimismo; precedenti esperienze negative; e infine l’ansia relativa al cambiamento. Il primo è un tratto di personalità, quindi misurabile ma, almeno in teoria, non modificabile dall’organizzazione. Gli altri tre invece sono non solo misurabili, ma anche modificabili con opportune pratiche di gestione del personale.

Apertura all'esperienza

É uno dei 5 ‘Grandi fattori di personalità’ e viene utilizzata per studiare e misurare le differenze individuali nelle caratteristiche stabili. Questo fattore correla negativamente con la complessiva prontezza al cambiamento. Le persone con scarsa apertura all'esperienza cercheranno rifugio in un ambiente più familiare. Questi soggetti preferiscono la prevedibilità dell'ambiente a cui sono abituati. L’apertura all’esperienza, trattandosi di un fattore di personalità, si misura con Il Big 5 Questionnaire, il cui utilizzo è riservato per legge esclusivamente ad uno psicologo iscritto all’albo.

Pessimismo (change cynicism)

La letteratura scientifica suggerisce che un ruolo di spicco nei fallimenti della gestione del cambiamento potrebbe anche essere svolto da caratteristiche come il pessimismo (Bordia et al., 2011; Brown et al., 2017; Pettigrew et al., 2001; Wanous, Reichers e Austin, 2000). Esso è definito “un punto di vista pessimista sul successo degli sforzi di cambiamento, perché i responsabili del cambiamento sono ritenuti non motivati, incompetenti o entrambi" (Wanous, Reichers e Austin, 2000, p. 133). Il pessimismo si misura con la versione italiana del questionario di Wanous et al., (2000), da me validato (Alpha di Cronbach = 0,77).

Precedenti esperienze negative (Poor Change History)

Secondo Bordia et al. (2011) gli eventi passati giocano un ruolo importante nel plasmare le reazioni degli individui rispetto agli eventi attuali di un’organizzazione. La ricerca degli autori mira a comprendere il ruolo della storia di precedenti esperienze di cambiamento sulle credenze, gli atteggiamenti e i comportamenti dei lavoratori. Essi sostengono che la storia di gestione del cambiamento e le esperienze individuali collegate al cambiamento, abbiano conseguenze significative nello sviluppo di atteggiamenti duraturi legati al cambiamento (cinismo e apertura al cambiamento) così come sugli atteggiamenti organizzativi generali (fiducia, soddisfazione lavorativa) e sul comportamento (uscita dall'organizzazione). Bordia et al. (2001) hanno sviluppato 8 items per la valutazione delle precedenti esperienze di cambiamento degli individui all’interno dell’organizzazione. Questi item sono stati da me validati per l’uso nel contesto italiano, dimostrandosi affidabili (Cronbach’s Alpha = 0,83).

Ansia

È dimostrato che i livelli di ansia aumentino durante i principali cambiamenti organizzativi. Come James Thompson notò più di 50 anni fa: "...il problema centrale per le organizzazioni complesse è quello di affrontare l'incertezza" (1967, p. 13). L'ansia è un'eccitazione emotiva spiacevole derivante da richieste stressanti o stimoli minacciosi (Lazarus, 1991). Per quanto riguarda le conseguenze del cambiamento, Rafferty e Restubog (2010) riportano che l'ansia da cambiamento si correla negativamente con l'impegno affettivo e positivamente con l'intenzione di smettere e l'attuale turnover organizzativo. L'ansia si misura con la versione italiana della scala dell'ansia breve di Caplan e colleghi (Alpha di Cronbach = 0,77).

Nel tempo, si è ipotizzato che altri fattori, personali e organizzativi, correlassero con la resistenza al cambiamento, ma non hanno finora trovato riscontro nella ricerca. Ad esempio, non ha mai trovato supporto l’ipotesi che la complessiva resistenza al cambiamento aumenti con l’età, sebbene l’apertura all’esperienza diminuisca con il progredire dell’età (Costa et al., 1986). Secondo Bovey e Hede (2001), la resistenza è una parte naturale del processo di cambiamento e si verifica perché il cambiamento implica andare verso qualcosa di ignoto. Nel loro studio gli autori propongono due tipi di strategie di intervento per aiutare la direzione a lavorare con la resistenza individuale:

  1. Informazione: gli interventi basati sull'informazione hanno lo scopo di creare consapevolezza e comprensione dei processi inconsci e di come questi influenzino le motivazioni e i comportamenti di un individuo in un ambiente che cambia. Questi interventi devono essere idealmente supportati da interventi di consulenza.
  2. Interventi di consulenza: si concentrano su attività progettate per assistere le persone, singolarmente o in gruppo, ad analizzare, interpretare e capire come i propri meccanismi di difesa influenzino le loro percezioni e le motivazioni verso il cambiamento.

Per illustrare concretamente, come si procede per valutare i fattori sopraesposti in un cambiamento organizzativo, nel paragrafo seguente è descritto uno studio di caso.

Uno studio di caso

La ricerca-intervento qui descritta è stata realizzata all’interno di un’azienda ospedaliera universitaria del centro-nord Italia. In questa struttura le Unità Organizzative preesistenti sono state accorpate in una struttura di maggiori dimensioni. Il cambiamento ha coinvolto tutti i professionisti presenti e ha creato anche nuovi profili/ruoli, soprattutto infermieristici. Il personale è aumentato numericamente: molti professionisti hanno conosciuto questa realtà lavorativa con la sua apertura. Altri erano già presenti nelle unità organizzative che sono state fuse nella nuova struttura.

Lo scopo della ricerca era quello di misurare le correlazioni tra alcune caratteristiche individuali (cinismo, prontezza al cambiamento, individual change history) e di gruppo (es. periodo di ingresso nell’organizzazione, appartenenza o meno alle unità organizzative pre-esistenti) e l’impatto sull'esito del cambiamento sia dal punto di vista individuale che organizzativo (ansia, intenzione di dimettersi, intenzione di chiedere il trasferimento).

Dalla ricerca emerge una correlazione positiva e statisticamente significativa tra le esperienze negative di cambiamento precedenti (PCH) e l’anzianità di servizio (tenure). Ma emerge anche un’interessante correlazione negativa tra l’anzianità di servizio e l’ansia: l’anzianità di servizio ha dunque un impatto positivo sul livello di ansia del soggetto coinvolto nel cambiamento organizzativo. Dai dati presenti in letteratura (Bovey e Hede, 2001), i livelli di ansia dei lavoratori tendono ad aumentare durante i cambiamenti organizzativi e i soggetti che imputano la loro ansia alle circostanze organizzative, tenderanno a resistere maggiormente al cambiamento. Secondo quanto emerso da questo studio, l’anzianità di servizio del lavoratore ha dunque un effetto protettivo rispetto all’ansia. Questo è un aspetto centrale per chi riveste un ruolo di gestione nel cambiamento organizzativo: il management può infatti decidere di riconoscere al personale con maggiore anzianità di servizio e quindi più esperto, un ruolo chiave nella diffusione di informazioni tra pari per ridurre i fenomeni di resistenza al cambiamento.

Questo studio ha evidenziato che il personale che presenta un alto livello di pessimismo rispetto ai cambiamenti organizzativi che lo coinvolgono, mostra una maggiore propensione a lasciare l’organizzazione. Questa correlazione positiva va a confermare un dato già noto in letteratura (Wanous et al., 2000). Vi sono inoltre dati in letteratura (Brown et al., 2000) che confermano correlazioni negative tra cinismo e impegno organizzativo, comportamento di cittadinanza organizzativa e soddisfazione lavorativa.

Dallo studio emerge inoltre una correlazione positiva tra l’anzianità di servizio e le passate esperienze negative sul cambiamento organizzativo. La persona con una maggiore anzianità di servizio sembra dunque essere stata coinvolta in maggiori esperienze passate insoddisfacenti rispetto al cambiamento. Questo dato, anche se già noto in letteratura, acquista un valore interessante alla luce dei risultati sui livelli di ansia: nonostante maggiori esperienze negative sul cambiamento, il personale con più esperienza (maggiore anzianità di servizio) riesce comunque a contenere maggiormente il proprio livello di ansia

Conclusioni

Nonostante siano proposte diverse definizioni e metodi per gestire l’attuazione del cambiamento, le organizzazioni segnalano ancora un alto tasso di fallimento delle loro iniziative. La letteratura fornisce molti casi sui cambiamenti organizzativi, tuttavia, il tasso di fallimento delle iniziative di cambiamento è di circa il 70% (Al- Haddad S., Kotnour T., 2015). Questo articolo suggerisce che, individuando e misurando i fattori specifici (e le loro relazioni spesso ‘nascoste’), è possibile prevenire e gestire gli ostacoli al cambiamento, aumentandone il tasso di successo, e riducendo l’impatto sul vissuto delle persone coinvolte.