Area
Cultura delle Risorse Umane

Topic
Psicologia del Lavoro

Laura Borgogni, Viviana Cardone, Ferdinando Paolo Santarpia

N° 125

21 giugno 2022

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Resilienza: una risorsa chiave per lo sviluppo proprio e dell’organizzazione

Tra gli effetti maggiori del cambiamento del lavoro e delle organizzazioni può esserci infatti una ricaduta sull’equilibrio delle persone, che devono rispondere alla difficoltà e adottare nuovi modi di lavorare.

Per tale motivo, è necessario ad oggi focalizzare l’attenzione su alcune caratteristiche psicologiche individuali che consentono alla persona di reagire ad un contesto profondamente mutevole, per costruire e modellare il proprio ruolo rinnovato nel contesto lavorativo.

Tra queste, la resilienza riveste un ruolo centrale ed ha riscosso infatti un ampio interesse nel mondo organizzativo.

“Avere un buon livello di resilienza significa guardare le difficoltà occupazionali o la mobilità come una sfida utile a crescere, sapendo che se ne può uscire migliorati, percependo che si è in grado di farcela, producendo anzi cambiamenti positivi per la propria vita professionale” (Sarchielli, 2013).

Avere la capacità di vedere gli ostacoli lavorativi come possibilità di apprendimento e di crescita, di leggere il contesto come fonte d’opportunità, di rispondere e reagire allo stress e ai cambiamenti oggi diventa una componente fondamentale per le persone.

In più, la resilienza influenza sia il benessere del lavoratore, che è meno esposto agli effetti negativi dello stress, sia la sua produttività con dunque delle ricadute a livello organizzativo.

Infatti, se lo stress in ambito lavorativo influisce sui risultati personali e sulle prestazioni, oltre ad essere correlato con alti livelli di depressione ed ansia (Rees et al., 2015), ne consegue che i benefici del lavorare sulla propria resilienza non saranno solo personali ma anche organizzativi.

Il presente contributo si propone dunque di inquadrare il costrutto della resilienza e la sua importanza nell’attuale contesto lavorativo, soffermandosi in particolare sui principali interventi a disposizione per il suo sviluppo o potenziamento.

Definire la resilienza

Cos’è la resilienza?

Certamente essa si riferisce ad un costrutto popolare e un termine sempre più presente nel linguaggio comune e organizzativo.

Ma ne conosciamo realmente le caratteristiche e potenzialità?

Una delle principali difficoltà nel condurre ricerche sulla resilienza è che esistono ampie discrepanze nel modo in cui essa è definita e concettualizzata.

Questa variabilità ha portato ad una certa confusione e controversia nell’applicazione del costrutto, ampiamente definita genericamente come la capacità di riprendersi o di superare avversità.

In termini psicologici e nella sua accezione più moderna, la resilienza riguarda la capacità della persona di fronteggiare gli eventi stressanti, superarli e crescere proprio a seguito di tali eventi, uscendone rafforzati e capitalizzando dall’esperienza vissuta.

Un costrutto simile, oggi molto diffuso nel nostro paese e a cui è stata data particolare attenzione è quello di antifragilità.

Entrambi fanno riferimento infatti alla capacità della persona di fronteggiare gli eventi avversi, svilupparsi e rafforzarsi ulteriormente a seguito di cambiamenti, incertezza e avversità nel contesto lavorativo.

Tuttavia, mentre l’antifragilità si inscrive in una cornice filosofica la resilienza è un costrutto prettamente psicologico e collaudato nella ricerca scientifica.

Secondo Bandura (1986), essa si colloca nella relazione reciproca fra persona, comportamento e ambiente, territorio fondamentale per l’espressione dell’agenticità, e mette in gioco il modo in cui la persona, nell’adattarsi a eventi avversi e che minacciano i propri equilibri personali, si impegna attivamente nell’influenzare in prima persona le circostanze contestuali, nel tentativo di riportarle ad uno stato meno minacciante o di portarle verso un nuovo assetto più congeniale e vantaggioso (Cenciotti, Borgogni, Fedeli, 2011).

Resilienza e risultati organizzativi

Rispetto a quanto riportato dalla letteratura, la resilienza rappresenta una risorsa fondamentale sia per gli individui che per le organizzazioni.

Infatti, le persone con un alto livello di resilienza sono in grado di crescere professionalmente a seguito di una battuta d’arresto o di una crisi, perché proprio da queste situazioni ricevono la spinta per incrementare sempre di più determinazione e risultati (Fredrickson e Joiner, 2002); riescono a fronteggiare efficacemente le circostanze avverse nel proprio lavoro, a dare un nuovo slancio alla propria carriera professionale a seguito di un fallimento, a vedere i cambiamenti come opportunità di sviluppo e a superare le difficoltà lavorative capitalizzando ed imparando dall’esperienza.

Viceversa, le persone con un basso livello di resilienza non riescono a trovare un modo per risolvere le difficoltà che incontrano sul lavoro, dopo una battuta d’arresto non recuperano con facilità, sono convinte di non poter controllare l’esito degli eventi regolando il proprio comportamento e vedono i cambiamenti del contesto lavorativo come minaccia alle proprie sicurezze.

Sul lavoro, la resilienza si rivela dunque una risorsa chiave per gestire situazioni in cui ci si sente sotto pressione, esposti a frequenti cambiamenti, con sovraccarico di lavoro, o a fronte di insuccessi o fallimenti, o ancora a momenti di incertezza rispetto al futuro e competitività.

Di fronte a tali richieste si verificano risposte differenti: alcuni non riescono a far fronte allo stress associato alle nuove aspettative, altri, viceversa, sembrano non solo adattarsi, ma crescere proprio in queste condizioni.

Infatti, tanto più alto è il livello di resilienza degli individui, maggiore è la loro prestazione lavorativa (Meneghel et al., 2016), che di conseguenza influenza i risultati organizzativi e la competitività delle aziende.

A questo proposito, diversi studi hanno dimostrato che la resilienza si relaziona positivamente con alcuni esiti, sia individuali che organizzativi, come ad esempio la soddisfazione lavorativa, il work engagement (Bande et al., 2015) la crescita dell’azienda ed il benessere dei dipendenti (Nilakant et al., 2016).

Inoltre, essa ha un impatto positivo sui comportamenti di cittadinanza organizzativa (Jung e Yoon, 2015) sulle prestazioni lavorative (Luthans et al., 2005; Meneghel et al., 2016) e negativo sullo stress legato al lavoro, sul burnout e sull’esaurimento emotivo (Shoss et al., 2018).

Dunque, formare e sviluppare nelle persone la capacità di rispondere positivamente alle sfide e ad un contesto che cambia e si evolve rapidamente oggi significa aiutare i dipendenti e le organizzazioni ad avere successo nello scenario lavorativo attuale.

Resilienza: tratto disposizionale o risorsa da sviluppare?

La letteratura scientifica evidenzia che il costrutto della resilienza è stato variamente definito come un tratto, stabile e non modificabile della persona o come un processo (Luthar, Cicchetti & Becker, 2000) e dunque una risorsa da sviluppare.

In base a quanto riportato dalla letteratura, la concettualizzazione di tratto suggerisce che la resilienza rappresenta una caratteristica che consente agli individui di adattarsi alle circostanze in cui si trovano.

Viceversa, la concettualizzazione di processo della resilienza riconosce che si tratta di una capacità che si sviluppa nel tempo a partire dall’interazione persona-ambiente.

In particolare, la concettualizzazione della resilienza come tratto è stata originariamente introdotta da Block e Block nel 1980, utilizzando il termine “ego-resilienza” per descrivere un insieme di tratti che riflettono l’intraprendenza generale, la forza caratteriale e la flessibilità in risposta alle diverse esigenze ambientali.

Individui con alti livelli di ego-resilienza erano caratterizzati da alti livelli di energia, un elevato ottimismo, curiosità e la capacità di staccare e concettualizzare i problemi (Block & Block, 1980).

Gli studi basati sulla concettualizzazione di tratto vedono la resilienza come una caratteristica individuale, una qualità generale della persona che si manifesta in modo coerente e costante nei diversi contesti.

Ciò nonostante, ulteriori studi hanno suggerito che la resilienza non corrisponde ad un tratto relativamente stabile di personalità quanto piuttosto ad un processo dinamico, grazie al quale gli individui capitalizzano dalle esperienze vissute e utilizzano tutte le risorse che hanno a disposizione al fine di perseguire obiettivi elevati e raggiungere risultati positivi.

Nel 1993, Cicchetti & Garmezy sottolineano che la resilienza non è statica ed è probabile che cambi nel tempo ed è esattamente il carattere dinamico della resilienza a distinguerla da altri costrutti ed a rappresentare la sua più grande caratteristica ed unicità (Cicchetti & Garmezy, 1993).

A conferma di quanto sostenuto precedentemente da Cicchetti e Garmezy (1993), è stato successivamente dimostrato che la componente genetica ha un peso quasi irrilevante nel manifestarsi della resilienza e che essa è da considerarsi, piuttosto, come un processo che si protrae lungo l’intero corso della vita (Masten, 1994).

Tale risorsa, si sviluppa dunque autonomamente nel tempo secondo le sfide, i rischi e i fattori stressanti della vita quotidiana e consente di reagire alle avversità con forza e risorse sempre maggiori.

In effetti, questa prospettiva è particolarmente significativa perché suggerisce che la resilienza è una caratteristica ampiamente malleabile, e come tale è possibile svilupparla attraverso interventi mirati.

A tal proposito, la ricerca sulla formazione alla resilienza nell’ambito lavorativo ha fornito prove che tale risorsa è suscettibile di cambiamento (Arnetz et al., 2009).

Dunque, la resilienza emerge dalle interazioni quotidiane e può anche essere appresa nel tempo attraverso programmi di formazione per lo sviluppo individuale.

Inoltre, la resilienza è stata esaminata come un processo in termini di capacità di prosperare in circostanze difficili e di fronte ad avversità ed è stata anche indicata come crescita post-traumatica (Tedeschi & Calhoun, 1995).

A conferma di ciò, Kaplan (1999) sostiene che la resilienza permette di raggiungere livelli di sviluppo che vanno oltre quello che sarebbe stato raggiunto in assenza di stress.

Nel 2002, Richardson cerca di superare la contrapposizione tra la concettualizzazione della resilienza come tratto o come processo rileggendo le due diverse posizioni assunte all’interno del dibattito come due fasi, due “ondate di ricerca”, all’interno dell’evoluzione degli studi sulla resilienza (Richardson, 2002).

Rispetto alla diatriba tra tratti resilienti innati o apprendibili egli sostiene che le qualità resilienti sono presenti in misura diversa in ognuno di noi fin dalla nascita, ma allo stesso tempo possono essere diversamente potenziate durante l’arco di vita.

La resilienza avrebbe quindi una doppia natura, di tratto, e quindi disposizionale, e di processo.

Inoltre, a partire da diverse ricerche emerge l’idea che tra i possibili meccanismi psicologici, responsabili della capacità di adattarsi agli eventi stressanti in modo rapido ed efficiente con una conseguente reintegrazione resiliente, vi siano l’appraisal e il coping, meccanismi che sono parte del più ampio processo di regolazione delle emozioni.

La regolazione delle emozioni fa infatti riferimento a un insieme eterogeneo di processi attraverso i quali le emozioni vengono regolate.

Nella quotidianità della vita le persone sono costantemente impegnate a valutare (appraisal) ciò che succede attorno a loro e a rispondere (coping) in modo selettivo e finalizzato a ciò che si presenta come un pericolo, una minaccia o una ricompensa.

Le emozioni sono l’esito di come l’ambiente è valutato dal soggetto in relazione al proprio benessere e al raggiungimento dei propri obiettivi.

Differenti valutazioni conducono a differenti emozioni.

È quindi il significato delle situazioni in quanto stimoli e non la loro natura oggettiva a costituire il fattore determinante per l’occorrenza delle diverse emozioni.

Le emozioni non sono solo l’esito del processo di valutazione delle situazioni (appraisal) ma anche del modo con il quale facciamo fronte ad esse (coping).

Il rapporto tra coping ed emozioni è infatti bidirezionale dove l’uno influenza le altre e viceversa (Folkman & Lazarus, 1988).

L’appraisal e il coping oltre ad essere strettamente in relazione tra loro, giocano un ruolo fondamentale all’interno del processo di gestione delle emozioni e di reintegrazione della resilienza.

Infatti, come si vedrà, nonostante essi rappresentino concetti differenti dalla resilienza, diversi percorsi di formazione presenti in letteratura hanno lavorato sulla valutazione cognitiva e sulla regolazione emotiva per lo sviluppo della resilienza.

Interventi per sviluppare la resilienza

Lo studio sulla resilienza ha guadagnato slancio nella letteratura occupazionale a partire dagli studi di Luthans (Luthans, 2004) e l’attenzione allo sviluppo di questa risorsa nel contesto lavorativo è stata almeno in parte dovuta al rinnovato interesse per la promozione del benessere psicologico (Seligman & Csikszentmihalyi, 2000), piuttosto che l’attenzione fino a quel momento focalizzata sulla ricerca del problema (Keyes, 2007).

A questo proposito, diversi ricercatori hanno promosso nel tempo programmi di formazione per:

  • prevenire lo stress, considerato come il principale onere per l’efficacia organizzativa e il benessere dei dipendenti;

  • sviluppare la resilienza, che è emersa come risorsa fondamentale su cui lavorare e punto centrale di molti interventi preventivi.

Rispetto all’efficacia degli interventi sulla resilienza, diversi studi hanno dimostrato che la formazione di questa risorsa può avere delle conseguenze positive tanto sullo sviluppo individuale del soggetto, quanto sulla sua prestazione e produttività.

Infatti, è stato riscontrato che la formazione sulla resilienza ha un impatto positivo su vari esiti di salute mentale e benessere soggettivo nei dipendenti (ad es. Arnetz et al. 2009; Grant et al., 2009; Pipe et al. 2012).

Inoltre, alcuni studi hanno rilevato vantaggi in termini di prestazioni, inclusi aumenti nel raggiungimento degli obiettivi (Grant et al., 2009), produttività (Pipe et al., 2012), e aumento delle prestazioni efficaci (Arnetz et al., 2009).

La maggioranza dei programmi di formazione presenti in letteratura mira a sviluppare uno stato di benessere come mezzo di prevenzione primaria (Masten, 2007) e utilizza un approccio cognitivo-comportamentale per sviluppare la resilienza.

A seguire si passano dunque in rassegna alcuni dei protocolli utilizzati.

Una metodologia di intervento è quella elaborata nel 2010 da Luthans e colleghi (Luthans et al., 2010).

Essi hanno sviluppato un programma di formazione online e di persona per aumentare le quattro componenti del Capitale psicologico (PsyCap), soffermandosi in particolare sulla resilienza che unita all’autoefficacia, all’ottimismo e alla determinazione, consente alle persone di rispondere efficacemente alle sollecitazioni del contesto (Luthans et al., 2007).

In particolare, il programma incoraggia i dipendenti a prendere in considerazione situazioni di lavoro in cui si sono sentiti o si sentono bloccati, analizzandole in termini di risorse e vincoli, e li porta a pensare ai fattori che potrebbero cambiare in quelle specifiche circostanze.

Il corso include anche esercizi di autoriflessione e sviluppo di consapevolezza, in cui i dipendenti riflettono sui loro pensieri, comportamenti ed emozioni passati in diverse situazioni di lavoro e su come ciò che hanno appreso nella sessione di formazione potrebbe facilitare le loro prestazioni in situazioni future.

Inoltre, diversi programmi di sviluppo della resilienza nascono nel contesto militare con lo scopo di aumentare la capacità dei soldati di rispondere in modo adattivo alle richieste stressanti.

La maggioranza degli esercizi utilizzati si basano su accettazione del trauma, controllo e regolazione delle emozioni, rilettura dell’esperienza da nuovi punti di vista e creazione di piani d’azione.

Essi sono molto interessanti poiché possono essere riadattati ed utilizzati nel contesto lavorativo più ampio.

Ad esempio, il Master Resilience Training (MRT; Reivich, Seligman, & McBride, 2011), si basa sul modello ABC di Albert Ellis: C (conseguenze emotive) non deriva direttamente da A (avversità) ma da B (le proprie convinzioni sull'avversità).

A partire da questo modello, le persone possono imparare a separare i B, i pensieri sulla situazione (ad esempio: “sono un fallimento”), da C, ovvero le emozioni generate da questi stessi pensieri (ad esempio sentirsi giù di morale per il resto della giornata).

Dunque, possono apprendere come allontanarsi efficacemente dalle convinzioni irrealistiche sulle avversità.

I risultati di questo studio ci dicono che i soldati migliorano la propria capacità di rilettura positiva degli eventi e le proprie prestazioni a seguito dell’intervento.

Quest’ultimo può dunque essere applicato con successo alle organizzazioni per migliorare le propensioni individuali e di gruppo a contrastare attivamente il fallimento.

Inoltre, una pista di intervento stimolante e il linea con questa prospettiva può essere quella che con il nostro gruppo di ricerca della Sapienza abbiamo approfondito nel 2021.

“Sviluppare la resilienza con la psicologia positiva” è un percorso modulare che unisce la teoria alla pratica.

Attraverso esercizi di autoriflessione e questionari self report che consentono di rilevare la propria modalità di rilettura e interpretazione degli eventi, si accompagna il soggetto nel processo di riconoscimento e ristrutturazione dei propri pensieri per uno sviluppo resiliente.

Particolarmente interessante è inoltre l’intervento di Burton et al (2010), basato sulla “Acceptance and Commitment Therapy” (ACT), che utilizza l’accettazione e strategie di consapevolezza per sviluppare la resilienza psicologica attraverso un processo fondamentale di defusione cognitiva (cambiare il proprio rapporto con i pensieri).

In particolare, il termine fusione viene qui considerato come l’essere “incollati” alle esperienze interiori, quali pensieri o emozioni, e guardare il mondo attraverso le loro lenti; praticare la defusione significa invece non lasciarsi agganciare da questi eventi interni, ma apprendere a notare i pensieri distinguendoli dalla realtà (Polk, Shoendorff, Webster, Olaz, 2016).

Un’altra linea di sviluppo riguarda la promozione della resilienza attraverso le narrazioni emozionali.

Il ricorso alla scrittura per promuovere il benessere dell’individuo è nato dalla tradizione psicoterapeutica (Smith & Greenberg, 2000) ma può allo stesso tempo essere interessante per l’intervento nel contesto lavorativo.

L’atto di costruire una storia personale aiuta infatti le persone a comprendere meglio le proprie esperienze, attribuendogli un significato, e dà ad esse un senso di controllo sulla propria vita (Pennebaker & Seagal, 1999).

Noam (Noam, 1996) parla di “living biography” sostenendo che sono i significati personali e il modo in cui le persone interpretano gli eventi a forgiare le esperienze che si stanno vivendo.

Anche se il rapporto tra il narrarsi e l’essere resiliente sembra essere saldo, esso risulta tuttavia poco esplorato a livello pratico.

Si ritiene dunque che il potere della scrittura possa servire come veicolo per produrre delle narrazioni personali in grado di influenzare in senso positivo le reazioni umane di fronte ad eventi stressanti ma si necessita di ulteriori studi per valutarne l’efficacia nel contesto lavorativo.

Altri studi che concernono lo sviluppo della resilienza hanno costruito il loro programma su principi relativi al coaching (Sherlock-Storey et al, 2013) o pratiche basate sulla consapevolezza del momento presente (Jennings et al., 2013).

Sulla base di alcune recenti critiche rivolte agli interventi per lo sviluppo della resilienza focalizzati esclusivamente su un approccio individuale, altri studi si sono concentrati su un approccio integrato, che vede il contesto e la leadership come due elementi fondamentali nel processo di sviluppo resiliente dei dipendenti (Kuntz et al., 2017).

In particolare, tali studi hanno proposto una serie di iniziative di rafforzamento della resilienza che riflettano il processo di miglioramento reciproco tra dipendenti e organizzazione.

Lo sviluppo della resilienza dei dipendenti e dell'organizzazione si basa quindi sulla misura in cui quest’ultima apprezza i dipendenti e i loro contributi, promuove il coinvolgimento, facilita l'apprendimento continuo, garantisce chiarezza e allineamento degli obiettivi e mantiene una prospettiva onnicomprensiva in base alla quale siano prese in considerazione sia le esigenze lavorative che quelle non lavorative (ibidem).

Ciascuno dei programmi di formazione sulla resilienza sopra descritti ha fornito prove dell'efficacia della formazione.

Tuttavia, tali prove spesso riguardano miglioramenti della salute, del benessere o delle prestazioni in un'unica rilevazione a seguito dell’erogazione della formazione mentre relativamente pochi studi hanno esaminato l’efficacia dei programmi di formazione sulla resilienza nel tempo.

Dunque, si ritiene che quest’ultima osservazione possa essere un punto di inizio per future ricerche rispetto all’intervento sulla resilienza, risorsa fondamentale e sempre più necessaria nell’attuale contesto lavorativo.

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Sitografia

Sarchielli (2013), La resilienza di carriera - come affrontare il mercato del lavoro, Psicologia Contemporanea https://www.psicologiacontemporanea.it/blog/la-resilienza-di-carriera


Tratto da "Personale e Lavoro n° 645 - Giugno 2022" - Uno dei servizi dell'Abbonamento ISPER

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