Area
Diritto del Lavoro

Topic
Licenziamento

Antonio Martinelli

N° 123

14 giugno 2022

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Simulata malattia e ritardata guarigione: quando il dipendente “furbetto” può essere licenziato?

La Corte di Cassazione (ordinanza n. 26709 del 1° ottobre 2021) ha statuito che “È legittimo il licenziamento per giusta causa del lavoratore in malattia che svolge attività extralavorativa idonea a pregiudicare la ripresa del servizio, poiché in contrasto con gli obblighi di correttezza e buona fede, nonché di fedeltà e diligenza”.

La pronuncia riguarda l’impugnativa del licenziamento intimato ad un lavoratore per aver tenuto, durante il periodo di assenza dal lavoro per malattia, uno stile di vita incompatibile con la patologia che lo affliggeva (lombosciatalgia acuta), nonché idoneo a pregiudicarne la guarigione o il tempestivo rientro in servizio.

I Giudici di merito hanno ritenuto il licenziamento legittimo sulla base delle conclusioni degli accertamenti medico-legali, alla luce dei quali è emerso come le attività, svolte dal dipendente durante il periodo di assenza dal lavoro (movimentazione di sacchetti di terriccio), avessero prolungato la malattia.

Il Tribunale e la Corte di Appello hanno, quindi, ritenuto lo svolgimento di altra attività, da parte del dipendente in malattia, idoneo a giustificare il recesso del datore di lavoro, per violazione dei doveri di correttezza, buona fede, diligenza e fedeltà.

Il lavoratore licenziato ha presentato ricorso in Cassazione, evidenziando come le condotte poste in essere durante il periodo di malattia costituissero meri incombenti di vita quotidiana, tali da non poter giustificare un licenziamento per giusta causa.

Nel rigettare il ricorso, la Suprema Corte ha ricordato che lo svolgimento di altra attività, da parte del dipendente assente dal lavoro per malattia, può giustificare il recesso del datore di lavoro non solo nelle ipotesi in cui tale attività “sia di per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, dimostrando quindi, una fraudolenta simulazione”, ma anche quando l’attività stessa “in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio”.

Per di più, in quest’ultimo caso, non assume alcuna rilevanza, secondo l’ordinanza in esame, la “tempestiva ripresa del lavoro alla scadenza del periodo di malattia”: ben può la parte datoriale procedere al licenziamento disciplinare, in ragione della mera violazione degli obblighi contrattuali di diligenza, correttezza, buona fede e fedeltà, insiti nel rapporto di lavoro.

Per dovere di completezza, è opportuno precisare che esistono pronunce giurisprudenziali che, contrariamente al provvedimento oggetto di commento, hanno considerato compatibili con lo stato di malattia varie attività svolte dal lavoratore, tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto.

A titolo esemplificativo, si segnala il caso di una lavoratrice licenziata perché, durante il congedo per malattia causato da una tendinite, aveva lavorato per qualche ora al giorno come cassiera nella pasticceria del compagno: in tal caso, il licenziamento è stato ritenuto illegittimo, in considerazione del carattere sporadico delle attività svolte, come tali inidonee a peggiorare lo stato di salute della dipendente (cfr. Cass. Civ., sentenza n. 13270/2018).

Analogamente, è stato dichiarato illegittimo il licenziamento di un camionista che, durante il periodo di malattia per sindrome ansioso-depressiva, è stato sorpreso a lavorare nella tabaccheria della moglie: tale attività, di carattere discontinuo e non pericoloso, non è stata ritenuta tale da determinare un rischio per la rapida ripresa del lavoro (cfr. Cass. Civ., sentenza n. 30417/2017).

In definitiva, dalle numerose pronunce relative a licenziamenti intimati durante il periodo di malattia di un lavoratore, si ricava che l’eventuale svolgimento di attività extra lavorative durante l’assenza dal lavoro non è, di per sé, vietato, ma deve essere esaminato caso per caso.

In particolare, il datore di lavoro deve attentamente valutare tutte le circostanze concrete, al fine di procedere ad un licenziamento legittimo, verificando, in particolare, la compatibilità tra l’attività svolta ed il tipo di patologia da cui è affetto il proprio dipendente, l’eventuale inidoneità dell’attività a pregiudicare il recupero delle energie psico-fisiche, nonché i possibili indici di simulazione fraudolenta della malattia stessa.

Il licenziamento per giusta causa è il solo provvedimento espulsivo consentito durante i periodi di irrecedibilità dal rapporto di lavoro per malattia (c.d. periodo di comporto: art. 2110 c.c.).

Tuttavia, i datori di lavoro non devono accontentarsi della mera scoperta dello svolgimento di un’altra attività da parte del dipendente ritenuto “infedele”.

Infatti, la casistica giurisprudenziale insegna che, in caso di problematiche fisiche, la valutazione del Magistrato è più facilmente prevedibile (si pensi al dipendente con patologie all’anca, sorpreso a correre una maratona); viceversa, se la patologia è di carattere psichico, la discrezionalità del Giudice è decisamente elevata (una gita al lago del dipendente affetto da depressione potrebbe, anzi, essere considerata benefica e tale da accelerare, piuttosto che ritardare, la guarigione).

A rendere ancora più incerto l’esito dell’eventuale giudizio vi è la considerazione che ragioni di riservatezza dovrebbero, in linea di principio, impedire al datore di lavoro di conoscere la diagnosi, per la quale il dipendente invia i certificati di malattia.


Tratto da "Sentenze e Commenti" - 155 - Maggio 2022 - Uno dei servizi dell'Abbonamento ISPER

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Frecce: elaborazione su foto di Veronica Bosley da Pixabay